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alla solennità delle nozze mancò l'omaggio della poesia in forma d'un portentoso sonetto epitalamico dell'immortale Marini:

      Vide Tebe due soli a le nefande

      Opre crudeli, allor che 'l fier Tieste

      Le mense formidabili e funeste

      Colmò di sozze e tragiche vivande.

      E due ne vide ancor Roma la grande,

      Quando l'esequie dolorose e meste

      Pianse di lui, ch'or nel seren celeste

      Fatto lucida stella, i raggi spande.

      Ecco or su 'l picciol Reno a gli occhi nostri

      Non minor meraviglia il Ciel produce,

      Non d'orror ma d'onor prodigi e mostri.

      Coppia, ov'arde valor, beltà riluce,

      Tu quasi un sole a noi doppio ti mostri,

      O de la fosca età gemina luce22.

      In Bianca riluceva la beltà della nonna e della madre; era un angiolo, e ce l'attesta una lista di “motti„ pubblicati anni dopo e ricopiati poi dal Ghiselli, nella quale essa per un verso solo ebbe lode piú grande che tutte le belle gentildonne bolognesi del tempo suo. Giacché poco importa che a Francesca Sampieri convenisse dire:

      Santi i costumi son, sante son l'opre,

      e a Laura Pepoli:

      Alma real degnissima d'impero,

      e ad Orsina Leoni Magnani:

      Al tuo presumer ben s'agguaglia il merto.

      Non stimo grave danno non aver veduta Isabella Angelelli

      Nelle ruine ancor bella e superba;

      forse fu piena di grazia Benedetta Pinelli Ercolani

      Oh quanto è ritrosetta, oh quanto è schiva!,

      e furon forse desiderabili Imelda Lambertini,

      Primavera nel volto e nella testa,

      e Pierina Legnani:

      Bruna sei tu ma il bruno il bel non toglie;

      dovette anche recare certa consolazione piegare a soavi atti donne come Costanza Cospi,

      Un sí bel viso, un cuor di tigre e d'orsa!;

      Aurelia Marsili,

      Beltà ch'asconde un cuor ritroso e schivo;

      Laura dall'Armi,

      Mirata de ciascun passa e non mira,

      e la contessa Bianchi

      Campeggiar d'occhi e fulgorar di sguardi;

      né dovettero spiacere le carezze di Ginevra Isolani

      Oh bella man che mi trafigge il cuore!;

      ma quale de' gentiluomini bolognesi non avrebbe ceduto magari l'amore di tutte per l'amore della sola Bianca Bentivogli Barbazza

      Alli spirti celesti in vista eguale – ?23

      Dicono che Bianca Cappello ebbe i capelli biondi e gli occhi neri (io non ricordo la tela in cui la ritrasse il Bronzino); il poeta Rinaldi pareva ammirare in Pellegrina Bonaventura il candore della carnagione nel lume dei neri occhi e nel riflesso dei capelli neri; a Bianca Barbazza, rassomigliante in questo alla madre piú che alla nonna, fu pure attribuita la vivacità del “nero e del bianco„ in altra serie di “motti„, parte satirici e parte laudatori. Eccone alcuni:

      Piombino da muratore – Virginia Ricordati Maranini

      Il zibellino – Dorotea Albanesa Bulgarini

      La mula del papa – N. Simoni Peppia

      Il guardo soave – Diana Barbieri Rinieri

      Il parapetto – Caterina Caccialupi Alamandini

      La Ninfa – Livia Rossi Fantuzzi

      La modesta – Camilla Beri Bandini

      La tramontana – Camilla Orsi Leoni

      La buona – Camilla Orsi Ghisellieri

      La favorita – Doratrice Oro Gambari

      La matrona – Silvia Orsi Sampieri

      La pensosa – Valeria Lambertini Guidotti

      La buona notte – Claudia Fantuzzi Paltroni

      Il delfino, La cassa di noce – Camilla Fantuzzi Bandini

      Il buondí – Clementina Orsi Ercolani

      Il falcone – Orsina Foscherari Favi

      L'Armida, Il Giardino d'Amore – Lodovica Amorini Campeggi

      La parlatrice – Olimpia Guerrini Ghiselli

      La splendida – Ippolita Campagni Ghiezzi

      Il bianco et il nero – Bianca Bentivogli Barbazzi24.

      Ma le sembianze di Bianca Bentivogli meritaron ben altro che l'insulsa indeterminatezza di questi attributi! Ella, “sole di beltà„, come la chiamò il Malvasia nella Felsina pittrice, per arte di Guido Reni si rivide immortale in figura d'una Cleopatra che Andrea Barbazza acquistò, non so l'anno, e Antonio Bruni credette di rendere in rima:

      … Non sembra in tela espressa,

      Perché il pittor l'avviva, amor l'ancide;

      Le dà spirto il pennel, l'angue l'uccide25.

      Cosí dunque, con lieve sforzo di fantasia, possiamo imaginare Bianca nell'effusione di tutto il giovanile splendore a quella festa che né pure un anno dopo le sue nozze, al carnevale del 1615, fu data nel palazzo del Podestà, e che per magnificenza d'apparati e vestiari e novità d'invenzione e per la nobiltà dei cavalieri che vi tornearono – con essi anche il Barbazza e il fratello di Bianca Alessandro – parve meravigliosa e degna d'imperituro ricordo26.

      Ne era venuta l'idea a parecchi gentiluomini i quali avendo ricercato una sera, come solevano di frequente per passare le ore, “qual fosse la piú espedita via d'acquistare la grazia dell'amata donna„, né essendo riusciuti ad accordarsi sulle varie proposte, avevan risoluto di rimettersene al giudizio delle armi. Detto, fatto; e per l'operosità in ispecie di Gabriele Guidotti, che inventò favola e macchine, curò l'allestimento del teatro e instruí i cavalieri, il 2 marzo a un'ora di notte tutta l'eletta società di Bologna poté convenire all'atteso divertimento.

      Tre ordini di gradini e tre ordini di logge accolsero gli spettatori: nei gradi a mezzodí le dame; di fronte a loro il cardinal legato Capponi e i magistrati; a destra e a sinistra i cavalieri. Nella scena dell'azione s'ergeva un tempio dorico circondato d'alberi; nell'alto, al principio, s'aprí una nube e apparve Giove in mezzo agli dei; e a lui Venere, con a lato il figliuolo cui accennava, chiese licenza di scendere in terra per soccorso e consiglio delle misere donne. Giove, manco a dirlo, assentí, e la nuvola si rinchiuse. Ed ecco uscire dal tempio un coro di sacerdoti, i quali si disponevano a sacrificare alla dea un leone un capro e un drago, quando a suono d'una musica sí dolce che – asserisce uno il quale l'udí, non io – “tutti gli spettatori sembrava ardessero del soavissimo fuoco d'Amore„, comparvero Venere e il figlio e l'amico di casa, Marte. Amore liberò le belve dall'imminente sacrificio:

      E questo altar or sia – disse —

      Il tribunale ove porrò la seggia

      Per

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<p>22</p>

Fra gli Epitalami del Marini.

<p>23</p>

Ghiselli, T. XXII, p. 525-529.

<p>24</p>

Ghiselli, T. XVIII, pag. 370 e seg.

<p>25</p>

Malvasia, Felsina Pittrice, p. IV, pag. 42.

<p>26</p>

Ghiselli, T. XXIII, pag. 462-579. A stampa: Breve descrizione della festa nella gran sala del Sig. Podestà l'anno 1615, il dí 2 di marzo: Bologna, Stamperia Camerale.