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Top. Albertazzi Adolfo
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isbn
Автор произведения Albertazzi Adolfo
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Prese a dozzina la nuova maestra una vedova, vecchia di forse sessant'anni, piccola e grassa; col viso grinzoso, cotto dal sole. Gli occhi vivi; non brutta, e ridente. Ma doveva essere avara, perchè il vitto, abbondante e buono ai primi giorni, andò scemando in quantità e qualità; e nei modi la vecchia dava a vedere una rozzezza inasprita dai pregiudizi e dalle costumanze incivili. Così, faceva che l'ospite desinasse e cenasse sempre sola, sebbene la tavola fosse apparecchiata per due; per l'ospite e per il figlio Agostino, il tiranno.
Questi mercanteggiava in bestiame; ai paesi e alle fiere del monte e della pianura. Era bell'uomo e villanzone. Incontrandosi con Elena, ai primi giorni, si toccava appena la falda del cappello, senza dir nulla; di poi, disse, senz'altro complimento:
– La saluto, maestrina.
D'una volgarità stupida nei brevi discorsi, i suoi motti tendevano sempre ad allusioni sensuali. E avvolgeva Elena d'occhiate lunghe e fredde, da mercante speculatore e da buongustaio mutevole.
Non li temeva essa, quegli occhi; l'assicurava la superiorità dell'intelletto e dell'animo.
La turbavano, al contrario, le occhiate della madre. Quella vecchia espansiva e gioconda con tutti gli altri, aveva mutato aspetto con lei; non dissimulava nello sguardo come una preoccupazione continua, una segreta diffidenza, un'antipatia a stento repressa. Perchè? Elena sdegnava interrogarla.
Il disgusto però le crebbe quando s'avvide che quella osservazione ostile la seguiva anche fuori di casa, da altri; fuori, divenne anzi sgarberia manifesta, dispettosa insolenza. La ragazza della bottegaia l'aspettava su la soglia della bottega per voltarle, vicina, le spalle; la moglie del medico condotto o fingeva di non vederla o rispondeva al saluto chinando appena il capo e fuggendo; la sorella del sarto sorrideva con ironia maldestra; l'ostessa… Che avevano, insomma, coloro? Che aveva fatto, lei, a quelle donne?
Quando potè saperlo, rise. Ingenuamente la madre di una scolaretta le disse un giorno:
– Per quassù lei è una maestra troppo giovine e troppo bella!
Ah ah! Ecco che cosa avevano! Gelosia; invidia; timori d'oscuri pericoli.
Via! Stessero pur tranquille, tutte! Non mirava, no, a rapire l'amante a nessuna, il marito a nessuna, il figliuolo a nessuna! Nè si curò più della guerra esterna.
Ma in casa, per queto vivere, volle subito sollevar la vecchia dello strano sospetto ch'ella cercasse d'innamorarle il figlio. Appena di lui udiva i passi o la voce, scappava nella sua camera.
E la signora Filomena, la vecchia, non tardò ad accorgersi del proposito e a dimostrar gratitudine. Talvolta, piano piano, toccando con l'indice la punta del naso per impor silenzio, entrava a porgerle un uovo appena fatto; talvolta la chiamava dolcemente di sotto la finestra perchè scendesse a prendere un po' di sole con lei.
– Venite giù, poverina! Vi farà bene. E tanto insisteva che bisognava accontentarla. Sedevano a solatio, davanti alla casa e di lato al pozzo e alla catapecchia ov'erano il forno, il porcile e il pollaio. Sotto al fico, dal piede bianco di cenere, la Filomena dipanava matasse all'arcolaio e cantarellava a bassa voce; Elena, seduta sulla panca del bucato, tra l'olla e la siepe su cui asciugavano fazzoletti e borracci, o cuciva o guardava le galline che andavano a letto. Montavano per la piccola scala sbalzando a una a una di piolo in piolo e misurandosi ogni volta, con la testa alta, allo slancio. Su! Ma lassù, là dentro, seguiva un rimescolio di voci e di proteste; e alcune malcontente atterravan di volo e tornavano a beccare nel truogolo. Tra i galletti ancora a terra intervenivano le ultime risse; gli ultimi assalti alle galline proterve. Le oche (non mancavano due oche) si spollinavano a vicenda affondando il becco tra le piume e scuotendo la coda; e il gatto si leccava e lisciava, beato.
Ma già il porco domandava a suo modo la cena; e quando il sole calante accendeva d'una luce d'oro la montagna di là dal fiume, stupenda, la vecchia s'alzava per accontentar il porco, povera creatura, e preparare, dopo, la cena dell'ospite.
Questi gli svaghi a Sant'Elpidio! Questa la vita che compensava tanti studi, tanti sacrifizi! Eppoi? Muterebbe mai sorte pur mutando luogo? Ed Elena Baschi nella presente mortificazione fu presa dallo sgomento del futuro, e pianse la sua bellezza sfiorita entro una scuola, il suo ingegno consunto in opera meschina.
Ma della tristezza accorata in cui cadde a poco a poco, ma della desolazione profonda a cui a poco a poco si abbandonò, nè le fatiche della scuola, nè il disagio domestico, nè la stessa mancanza di affetti (orfana; sola al mondo) potevano rendere bastevole ragione. Un maggior male le rodeva l'anima: come un più segreto affanno; come un'aspirazione dell'anima spossata, e pur avida d'un bene ignoto e inconoscibile. Oh fuggire! oh rompere ogni catena! oh morire!
Piangeva guardando dalla finestra della sua camera la mirabile prospettiva dei monti e del fiume e della valle verde, che l'autunno circonfondeva di una soavità luminosa e di una luminosa pace. E non comprendeva che il maggior male le veniva appunto di là, dal contrasto fra la vita esterna e la sua intima vita, dal discordo fra la tentazione di quel cielo e di quella terra piena d'anima arcana e la sua piccola anima riflessa nel suo povero pensiero ribelle.
La sosteneva in faccia agli altri l'alterigia. E non comprendeva l'inconsapevole consiglio che a viver bene le dava, nella persona della vecchia, l'umiltà. Al contrario, della consuetudine con la vecchia risentiva un'irritazione, un fastidio sempre più grave e ormai pari all'odio.
Già esente da ogni soggezione, la Filomena, anche quando la maestra era in casa, cantava a squarciagola i canti della sua fanciullezza; e cantava con impetuosa gioia, interrompendosi talora sol per ripetere l'usato grido – Oh… là! – , che i ragazzi le mandavano dalla pendice opposta. A sessant'anni! Ebbra di vita, così!
– Pazza! – mormorava Elena, tormentata.
Pazza? O piuttosto in quella donna sopravviveva qualche cosa dell'anima primitiva, quando l'umanità non si era fatta estranea e insensibile alla natura? Naturalmente – senza riflessione, senza contemplazione, senza ammirazione – la vecchia cedeva alle stesse energie di vita, che, indistinte, traevano liete voci dagli animali, e colori e profumi dalle piante, e risplendevano nel fiume, contro i monti, nel cielo. E cantava, così, priva di pensiero, per un ignaro irresistibile consenso del suo spirito alla vita universa.
Se non che, al cader del giorno anche lei si raccoglieva; pensava anche lei. E allora soffriva.
Era un presentimento, conoscendo lei pure il carattere aspro, violento, pericoloso, del figliuolo? o era un'oscura temenza che aveva nel sangue, ereditaria? o un panico per qualche recente ricordo di sanguinoso assalto?
Ogni giorno, all'imbrunire, la madre usciva in mezzo alla strada e vi restava immobile, attendendo, in ascolto. Se percepiva da lungi il noto trotto, tanto diverso a' suoi orecchi da quello d'ogni altro cavallo, gridava forte: – È qui! è qui! – ; come annunciasse al mondo intero una miracolosa salvezza; e rincasava trafelata a scaldar le vivande, mentre Elena si ritraeva, saliva alla sua camera. Ma se l'arrivo di Agostino tardava o mancava, allora la madre cominciava a dolersi: – Oh poveretta me! oh Madonna santa! – ; e dalle parole mormorate appena acuiva la voce a esclamazioni angosciose:
– Gli assassini! Oh Madonna santa, se me l'hanno ammazzato, il mio figliolo? Dio! Dio! me l'hanno ammazzato!
Elena, le prime volte che l'aveva vista e udita in tale ambascia, aveva cercato di quetarla, aveva richiesto il perchè di così atroce spavento.
Con sdegno la vecchia le aveva risposto:
– Non sapete nulla, voi!
Ed Elena ripetendo – è pazza! – se ne andava a letto, tormentata perchè la vecchia sino a notte tarda pregava ad alta voce o gemeva in sogno. E il mercante di buoi, quando tornava a notte tarda, sbatteva la porta, parlava forte tra sè; bestemmiava salendo la scala. Forse ubbriaco?
Elena si alzava