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voi dite di essere, di voler essere cacciatore? No! – gridava e gli agitava, avanti e indietro, sotto il naso, la mano sinistra con l'indice teso – . No! Cacciatore tu, giovinotto, non sarai mai! mai! Non sei, tu, che un signorino, un ricco! – E aveva nella voce il disprezzo di chi accusa una brutta azione. – Già! perchè avete dei soldi, molti soldi, voi signori, voi ricconi, vi credete lecito tutto: ogni indelicatezza, ogni sopruso, ogni usurpazione di affetti, di cose care! Ma ci sono delle cose che non si vendono, che non si comprano! Tientelo a mente, giovinotto mio!

      Diego Tarelli aveva lui pure sangue romagnolo nelle vene; nondimeno si contenne. Riflettè che aveva a fare non solo con un mezzo matto o un matto intero, ma con lo zio di Elena. E borbottava delle scuse.

      – Non credevo d'offenderla… Mi scusi… Mi perdoni…

      – Che scusare e perdonare! Vattene e buon giorno!

      – Sì! Buon giorno!

      Il giovinotto se ne andò chiudendo di colpo la porta.

      E il signor Prospero si accasciò su la seggiola.

      – È lui! – mormorava – . È lui l'innamorato di Elena!

      Bella lezione, però, gli aveva data!

      Tale lezione, infatti, tale innamorato che appena fu fuori Diego Tarelli temè il crollo della sua felicità in causa di quel matto zio e di quel benedetto e maledetto cane; e corse alla Congregazione dal signor Adelmo Marzioli a chiedergli la mano della figlia.

      V

      Confermandosi nell'ipotesi per cui si era arrabbiato, il signor Prospero ebbe un rigurgito di amarezza in gola; poi si sentì pieno di male il cuore. E si sfogò a inveire, entro di sè, contro la nipote. Stupida! Infatuarsi d'un Tarelli! Credere avesse buone intenzioni e si proponesse davvero di sposar lei! Non dubitare che egli amoreggiasse per divertimento! Stupida! – Poi inveì di nuovo contro quel gaglioffo che lusingava, per divertimento, una ragazza onesta, la nipote di Prospero Marzioli! canaglia! briccone!

      Se non che, a pensarci, comprendeva ora come la richiesta di comprar Top fosse stata un pretesto e come la visita, con i salamelecchi e le adulazioni, dovesse avere avuto uno scopo anche più ignobile: stringere amicizia con lo zio; ingraziarselo, servirsi di lui meglio che del cane. – Ragazzaccio! Tu sei furbo, ma…

      Più furbo lui, lo zio!, quantunque non arrivasse a immaginar tutta la verità. Questa: mancato il sussidio del collare, giudicando troppo rischioso il gettito dei biglietti e delle letterine dal muro del cortile, oh che restava all'Elena se non suggerire a Diego il mezzo suggerito dallo zio a lei: il buco della serratura?

      Nè lo sfogo sollevò il signor Prospero; egli non ebbe riposo nel cuore e nella testa. Adesso voleva e non voleva parlar alla nipote, esortarla a metter giudizio o, no, tacere. Finchè l'ira di nuovo prevalse.

      No; l'Elena non meritava i suoi consigli! Non aveva avuto fiducia in lui; non ne aveva: corresse dunque al castigo; alla delusione! E, dopo tutto, per lei sarebbe meglio. Non s'innamorerebbe più così facilmente; forse non si mariterebbe mai; vivrebbe nel bene dei suoi e dello zio. Questo, questo egli, ora, sperava!

      «Egoista!» gli gridò la coscienza; e mentre si ascoltava sorpreso, «egoista» gli sembrò ripetessero dalle gabbie, piangendo e cantando, le creature schiave della sua vita inutile; «egoista!» sembrò affermar anche Top, che era stanco di dormire e desiderava andar fuori, in campagna, a caccia.

      Onde Prospero Marzioli, più afflitto che mai, si alzò, prese lo schioppo, passò il braccio nella cinghia; si diresse alla porta da cui il bracco l'aveva preceduto. Ma sulla soglia ristette.

      E tornò indietro; e venne all'uscio a figger lo sguardo nel buco della serratura. Non vide nessuno. Elena! Elena! Chiamarla? Non ne ebbe la forza.

      Oh! fuggire di là, in campagna, a caccia, con Top, a guarire del male che aveva nel cuore!

      VI

      Rimase alla Valletta una settimana: tempo sufficiente perchè il vecchio contadino, il quale dianzi l'aiutava a tender le reti, a invischiare, o a batter le macchie, si convincesse che il padrone era ammattito del tutto. Aveva mandato a prendere i richiami, la civetta e gli arnesi; ma non si recarono nemmeno una volta al paretaio o nelle larghe a tirar alle allodole. Camminavano su e giù per i campi aspettando che il cane scovasse la lepre, e non sparavano un colpo; e sedevano stanchi alle prode dei fossi. Ivi il padrone o contemplava, vattelapesca chi e che cosa, oppure discorreva in modo che non l'avrebbe capito l'arciprete.

      – La verginità volontaria avvicina l'umanità a Dio. Lo credi?

      – Sissignore – il vecchio rispondeva, fedele al principio che conviene dar sempre ragione ai matti.

      – Da che mondo è mondo la vita fu considerata come una prova dell'uomo e della donna per elevarsi, perfezionarsi l'anima; e l'amore, come s'intende dai più, fu considerato un abbassamento, un prolungamento di quella prova superata soltanto dalla verginità. Lo credi?

      – Dice bene lei!

      E un'altra volta, quel poveretto, tenne al contadino questo bel discorso:

      – Tu negli alberi non vedi che frasche da sfogliare, legna da tagliare e da bruciare; nei fiori non vedi che un ghiribizzo della madre terra; negli uccelli non vedi che materia da umido o da arrosto. Sfòrzati invece a pensare che tutte queste creature sono animate dello spirito che ci dà vita a noi, e starai meglio con loro che con gli uomini e con le donne. Lo credi?

      Il vecchio rispose:

      – Credo sia già suonato mezzogiorno. Andiamo a mangiare, signor padrone?

      Rincasando non si accorgevano, l'uno per la filosofia e l'altro per l'appetito, che Top era scomparso.

      Top, con mirabile puntualità, all'ora di desinare giungeva ogni giorno a casa Marzioli, dove l'Elena gli preparava la zuppa. Mangiava; dormiva; quindi tornava in campagna desideroso di novità.

      Ma ne era più desideroso, di novità, il signor Prospero. E l'ottavo giorno, per interrompere in qualche modo la pena protratta, riprese la via del paese e del camerone.

***

      Il trambusto di lui, là dentro, trasse l'Elena all'uscio, come egli aveva immaginato.

      – Ehi, zio! sono qui: ascolti una parola!

      – Elena!

      Mai chiamandola lo zio aveva avuto una voce così tenera; la voce di chi ha pianto. Aggiunse:

      – Che vuoi?

      – Ho una cosa da dirle; accosti l'orecchio.

      – Son qui.

      Un lungo attimo di silenzio. E l'Elena sussurrò:

      – Non mi attento.

      – Ah – egli fece, pentito a un tratto d'essersi abbassato alla serratura – : ti attentavi però ad attaccar i bigliettini al collare del cane!

      – Bene, zio! – mormorò pronta la ragazza – : lei adesso può star tranquillo; può rimettere il collare a Top.

      Se dal buco della serratura Prospero Marzioli avesse scorto l'universo quale possessione sua, tutta sua, non avrebbe provata tanta gioia!

      Rimettere il collare a Top, star tranquillo, non significava forse che l'amoreggiamento era finito? Senza dubbio il Tarelli, dopo la lezione ricevuta dallo zio, aveva rinunciato all'Elena. Quant'era bello adesso il mondo, sebbene dal buco della serratura non si scorgesse più nessuno e non si udisse più nulla!

      E ora Prospero Marzioli poteva incontrare Adelmo Marzioli senza timori e senza rimorsi.

      L'incontrò poco dopo, che veniva dalla Congregazione. Ma – miracolo! – questa volta parlava prima lui, Adelmo; al solito, però, pacato e conciso.

      – Il figlio di Tarelli ha dimandato l'Elena. A San Martino si sposano.

      Elena – sposa!

      Lo zio Prospero impallidì; diventò rosso; tacque finchè fu certo di poter dissimulare la passione con lo sdegno. Un

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