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più di lei, ed era allegrissimo. – E se fosse in collera con me e non tornasse? – continuava Maria a pensare, – alla fin fine, se fosse in collera, quasi non avrebbe torto. Sa di non avermi fatto nulla, e, come a me non va più il contegno verso di noi, a lui non parrà scusabile il mio… Come spiegare il nostro malinteso?… Che fare?… – E s’affannava per cercare il modo di rivederlo presto, e scusarsi, senza aver l’aria di corrergli dietro. Si ricordò in quel punto che il giorno innanzi non aveva voluto donare a Giorgio una fotografia, che piaceva molto, della sua Lalla, perchè, essendo una prima copia, desiderava serbarla per Prospero. Ma adesso, riflettendoci, capiva non essere uomo suo marito da badare alla prima copia piuttosto che alle altre; l’affetto paterno del duca, il quale, del resto, idolatrava la bimba, non capiva certe finezze: domani adunque si manderà a Giorgio la() fotografia domandata. In tal modo, naturalmente, egli sarebbe venuto subito per ringraziarnela, e così spiegandosi reciprocamente, avrebbero finito col far la pace.

      Con questo pensiero si addormentò tranquillamente, e si svegliò la mattina dopo con questo pensiero medesimo. Ancorchè il suo raffreddore non fosse sparito interamente, si alzò presto, e sua prima cura fu di farsi portare il ritratto da mandare a Giorgio.

      – E se vi facessi scrivere a Lalla, colle zampine di mosca, il suo nome sotto?… Certo gli riuscirebbe più gradita l’improvvisata!…

      Apparecchiato l’occorrente, Maria fece chiamare la bambina; ma come il solito quel folletto si era liberato dalla vigilanza di miss Dill, col pretesto di andare dalla mamma, ed invece era fuggito di corsa nel quartierino. del duca, il quale era pieno di tolleranza per i capricci della figliuola. Infatti Lalla vi metteva tutto sossopra e torturava la flemmatica pazienza di Ioh, un piccolo inglese, il vero tipo del groom.

      Lalla era fin d’allora (contava sei o sette anni) l’incarnazione di uno di quei tanti demonietti creati e messi al mondo per la dannazione del genere umano. Amava suo padre fin all’idolatria, perchè in lui aveva sempre il condiscendente d’ogni capriccio, perchè, tollerante, compiacevasi d’ogni sua impertinenza, opponendosi a Maria, quando, più severa, trovava da sgridare e magari da correggere castigando. Egli stesso, senza pensare nè all’educazione, nè alla riuscita di sua figlia, la quale con quei principî non prometteva nulla di buono, si divertiva a giuocare con lei. Le insegnava mariuolerie, si lasciava sfuggire parole un po’ ardite, ridendo come un matto quando la piccina le ripeteva. Egli la faceva correre, la faceva saltare, le insegnava la scherma e l’equitazione; e però il quartierino del duca era l’Eden di tutte le delizie di Lalla. Quando poteva scappare da sua madre e da miss Dill era beata; correva là dentro; quei quadri dai colori vivaci, quelle armi, tutto quel disordine era il suo proprio elemento. Ella rifaceva il soldato, la cantante, l’arcivescovo e la duchessa madre nei giorni di ricevimento. Poi si fermava lungamente a divorare collo sguardo le donne nude, scolpite o dipinte; e benchè il duca le avesse insegnato, per tutelare la sua innocenza, che quelle non erano donne, ma anime sante, Lalla faceva già confronti fra quelle anime e sè. Gli astucci, le cassettine, i cassettini, l’armadio, lo scrittoio di Prospero Anatolio non avevano segreti per la sua curiosità infantile, nè riparo alle sue piraterie quotidiane. Prospero quando cercava qualche cosa che non gli riusciva di trovare, andava su tutte le furie brontolando con Maria e con miss Dill perchè non sapevano educare la bimba.

      Anche quella mattina, dopo che la duchessa l’ebbe fatta chiamare, miss Dill dovette cercarla nello studio del duca.

      – Cattiva! – le gridò Maria quando la fanciullina entrò in camera. – Cattiva! Hai disobbedito a tua madre, e hai detto delle bugie a miss Dill!

      Lalla non rispose; ma con un salto fu sulle ginocchia di sua madre, e l’abbracciò stretta stretta. Miss Dill uscì.

      – A voi – disse Maria affettando una severità che era uno scherzo – da brava! scrivete qui, sotto questo ritratto.

      – Lasciamelo vedere, mamma.

      – Lo hai già veduto ieri: è il tuo ritratto.

      – Lasciamelo vedere, mammina bella.

      – A te, guarda, sei contenta?

      Lalla fece una smorfia e poi: – Sono stata più ferma di Mimì, non è vero, mamma? – Mimì era una piccola amica… una piccola rivale.

      – Sì, sei stata più ferma di Mimì, la quale per altro è più ubbidiente di te, e non dice bugie. Scrivi da brava.

      – E a chi regali il mio ritratto? al babbo?

      – No, al tuo amico Giorgio.

      – Al mio amico Giorgio? Ma non avevi detto di regalarlo al babbo?

      – Scrivi, presto!

      – Ne darai un altro al babbo?

      – Sì, gliene darò un altro.

      – Quale?

      – Oh Dio! Un altro, come questo! Non farmi arrabbiare, andiamo. – E Maria, tenendo sempre Lalla sulle ginocchia, accostò a sè con una mano un piccolo scrittoio di mogano.

      – Che cosa devo scrivere?…

      – Scrivi… – e Maria, dettando, seguiva cogli occhi la manina di Lalla – scrivi: – Al buon amico…

      – A-mico…

      – Giorgio.

      – Gior-gi-o. – Basta?

      – No! devi scrivere ancora…

      – Che cosa, mammetta?

      – La tua piccola Lalla.

      – Tua piccola Lal-la.

      – Brava! Così! – E Maria fece per toglierle di mano la penna.

      – No! Aspetta. – La bimba, la quale, prima non voleva cominciare, ora non voleva più smettere, e sotto gli occhi meravigliati di sua madre scrisse, dopo la firma: for ever.

      – For ever?! – esclamò Maria, stupita. Lalla guardò la mamma, e col suo intuito precoce, ebbe paura di ciò che aveva fatto.

      – Chi ti ha insegnato a scrivere for ever?

      Lalla, rossa rossa, balbettò, si confuse, e poichè Maria insisteva per sapere la verità, scoppiò in lacrime, e cominciò a strillare. Allora la mamma, fissandola severamente, la minacciò, se non diceva tutto, di regalare Dèsir, il suo cavallino favorito, a Mimì. Era una minaccia che otteneva sempre un grande effetto.

      – Non lo farò più, mamma!… Non lo farò più!…

      – Va benissimo, ma prima mi devi dire tutto…

      – Ho trovato per terra il portafoglio del babbo…

      – Ebbene?…

      – Non sapevo di far male… l’ho trovato per terra…

      – Ebbene?…

      Lalla mentiva; lo aveva tolto invece dal cassettino dello scrittoio, che trovò aperto un giorno, mentre suo padre, nella camera vicina, si mutava d’abito.

      – E dunque? Animo, animo! bisogna dir tutto.

      – E sotto il ritratto di una signora ho veduto scritto così.

      – Dici una bugia.

      – No, no! mammetta! – replicò Lalla, contentissima, – Hai anche tu quel ritratto – e così dicendo, scivolò dalle ginocchia di sua madre, corse nel salotto, prese un album, lo portò a Maria, l’aprì, fece passare i ritratti in fretta; poi fermandosi d’un tratto esclamò:

      – Eccola! È questa qui! – e col ditino indicò il ritratto della Haute-Cour.

      Maria impallidì, e i suoi occhi si empirono di lacrime.

      – Perchè piangi, adesso, mamma?… Non lo farò più. te lo prometto.

      Maria si strinse forte alla sua creaturina, e un singhiozzo, che le veniva dritto dal cuore, aprì lo sfogo ad un pianto dirotto. Lalla, che non capiva nulla, ritornò a piangere anche lei; baciava la bocca, le guance, gli occhi della povera sconsolata, e colla vocina infantile continuava a domandarle: – Perchè piangi, mamma?

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