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ragioni.

      Miceni s’era già messo a scrivere, ma qui alzò le spalle con movimento quasi impercettibile ma completato da un sorriso ad aperta provocazione.

      Asserivasi di Sanneo che gridava finché non trovava opposizioni e certo era che non amava le questioni e che per quanto stava in lui le evitava. Finse di non aver visto il gesto di Miceni e se ne andò.

      Miceni era rosso in modo che sotto ai baffetti neri brillava la pelle colorata; si sentiva stridere più fortemente del solito la sua penna sulla carta. Terminata la lettera, gettò con violenza la penna sul tavolo e gridò:

      – Vuole che faccia anch’io come ha fatto White!

      Dopo di aver consegnata la lettera a Sanneo spiegò ad Alfonso che anche a lui era possibile di emanciparsi da Sanneo, perché a costui bastava la corrispondenza con Vienna e l’Italia, e poteva lasciare a lui esclusivamente la corrispondenza con la Germania!

      – Il signor Maller sa quanto io valga!

      Si capiva che Sanneo nei giorni susseguenti agiva con premeditata moderazione perché non rifiutò alcuna lettera di Miceni il quale del resto andava a chiedergli tutte le istruzioni a cui i pochi notabene di Sanneo lo costringevano.

      Ballina gridava:

      – È dunque così che bisogna trattarlo per farlo buono?

      White si congratulava con Miceni e gli domandava che riconoscesse di non aver fatto altro che imitarlo debolmente.

      – Il resto non si farà attendere di troppo! – rispose Miceni trionfante e indicò loro la meta a cui tendeva.

      Ballina protestò in nome della giustizia:

      – Adesso che la tratta bene sarebbe suo il torto se ancora volesse far baruffe.

      Nel timore di perdere il suo impiego non aveva mai avuto il coraggio di reagire contro alcun superiore; fra gl’impiegati della corrispondenza era il peggio trattato e invidiava coloro che potevano dire le proprie ragioni. Anche White cercava di calmare Miceni: non gli era troppo simpatica la propria azione vista in altrui.

      Ma Miceni non volle udire ragione. Nell’impazienza di fare la sua brava ribellione, non fu capace di attendere l’occasione propizia, pur sapendo che non poteva tardare di molto a presentarsi, perché Sanneo aveva periodicamente delle giornate di forte irritabilità nelle quali facilmente si lasciava andare a parole che anche in direzione sarebbero stati costretti a biasimare. Fu sua la colpa se Sanneo con tanta facilità ottenne la vittoria.

      Una domenica, un impiegato della stessa corrispondenza gli diede l’incarico, in iscritto come al solito, di scrivere subito a un cliente per invitarlo con energia di rimettere la copertura per differenze risultate in affari di borsa. Quantunque sapesse che l’ordine era stato dato da Sanneo, avendo il desiderio di andarsene, Miceni non lo eseguì e dichiarò che domenica non lavorava. L’impiegato riferì la risposta a Sanneo il quale andò su tutte le furie. Corse da Miceni e senza chiedere spiegazioni, con la schiuma alla bocca, gridò:

      – Scriva immediatamente questa lettera! – e gettò l’avviso sul tavolo.

      – Oggi è domenica, – rispose Miceni livido e tremante; il suo coraggio era voluto e la sua natura era da vile. – Di domenica io non lavoro.

      Era stato Sanneo che aveva imposto alla corrispondenza di lavorare anche alla domenica mattina, ma cose di premura si eran fatte anche prima che egli divenisse capo; certi lavori non ammettevano dilazioni.

      – Ah! così! – chiese Sanneo con voce pacata. Da un momento all’altro era ridivenuto calmo e se ne andò col suo passo rapido quasi non avesse voluto lasciar tempo a Miceni di modificare la sua risposta.

      Poco dopo fece chiamare Alfonso.

      – La prego, signor Nitti, faccia lei questa lettera.

      Gli parlò con una dolcezza insolita e con voce commossa. Per una lettera di pochi versi trattenne Alfonso per un quarto d’ora abbondante; dapprima gli espose lo scopo della lettera, poscia letteralmente la dettò.

      – Così tocca farla a me! – disse Alfonso a Miceni.

      Miceni si adirò:

      – Se trova con tanta facilità chi gli lavora di domenica, colui che vi si rifiuta finirà sempre coll’aver torto.

      Se ne andò allo scopo di poter poscia asserire che non aveva potuto lavorare avendo avuto eccezionalmente un impegno altrove; dopo fatto quanto da tanto tempo s’era proposto di fare, si trovava evidentemente inquieto e preoccupato.

      Sanneo rilesse la lettera fatta da Alfonso, fece qualche virgola ch’egli non aveva indicata e che Alfonso con la sua esattezza da copista non aveva osato di aggiungere, e con un sorriso di approvazione gli disse:

      – Ma benone! Mi faccia il favore di porla sul tavolo del signor Cellani.

      Non era stato mai tanto cortese.

      Alle nove della mattina del lunedì, Miceni venne chiamato dal signor Maller. In parte White, in parte Miceni stesso riferirono ad Alfonso la scena che ebbe luogo in direzione.

      Miceni era entrato con un saluto fragoroso e un inchino diretto anche a Cellani ch’era presente. White che stava per uscire si fermò ad ascoltare.

      – Il signor Sanneo si lagnò di lei, signor Miceni, – disse Maller molto serio; – perché si è rifiutato ieri di scrivere quella letterina?

      – Ritenevo fossero cose che si potessero fare anche al lunedì, – rispose Miceni; all’ultimo momento s’era deciso di dare una forma dubitativa alla sua risposta.

      – Ma se il signor Sanneo ordina che si devono fare alla domenica, – e Maller alzò la voce – son cose che si devono fare alla domenica.

      La parziale ripetizione della frase di Miceni rendeva più dura la sua risposta.

      – Ad ogni modo – obbiettò Miceni con un tono che chiedeva alla bontà del suo avversario di accettare per buono il suo argomento – è mal fatto da parte del signor Sanneo di obbligarmi a lavorare in giorno festivo.

      – Avevo dato ordine io di fare e di spedire ieri stesso quella lettera, – rispose severamente il signor Maller.

      Miceni ebbe dei suoni inarticolati; non c’era più nulla da rispondere.

      A White fece compassione e uscì.

      L’altra parte della scena fu riportata da Miceni che uscì dalla stanza di Maller lieto come se fosse stato sicuro del fatto suo.

      Si faceva ammirare. Gli era stato dato torto per la questione in giudicato e un altro avrebbe abbandonato la partita per perduta, mentre lui aveva saputo spostarla. Aveva parlato di vecchie storie, in direzione già sapute e per le quali si sapeva che Sanneo era stato biasimato; poi, con disprezzo, – un’altra mancanza di rispetto al suo capo non poteva più nuocergli, – di quei notabene che non avevano altro scopo che d’insudiciare le lettere e di far correre l’impiegato.

      – Il contegno del signor Sanneo con gl’impiegati non è quale dovrebb’essere ed io assolutamente non mi vi adatto!

      Aveva riconquistato tutta la sua sicurezza.

      Venne però chiamato di nuovo in stanza del signor Maller e ne uscì con cera affatto mutata, tanto che Alfonso nulla gli chiese avendo già compreso. Miceni ebbe un risolino che voleva essere sarcastico; con movimenti più decisi pose sul suo tavolo il cappello e la giacchetta da lavoro e disse:

      – Questa è del tutto inaspettata.

      White entrato allora guardò Miceni con fredda curiosità.

      – Lei viene trasferito alla contabilità?

      La vista di chi era stato più fortunato di lui, fece perdere a Miceni quel poco di padronanza di sé che ancora gli era rimasta. Non c’era nulla da ridere, disse, quantunque White non avesse riso; se egli avesse goduto di tante protezioni come White, l’affare avrebbe preso tutt’altra piega. White non si difese e freddo, freddo, sorridente, rispose che sapeva di essere protetto e che non gli dispiaceva che anche gli altri lo sapessero; fece inviperire vieppiù Miceni. Pareva volesse

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