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che, quantunque più vecchio di lui, gli stava curvo dinanzi, nell’attitudine d’un figliuolo. – Il Signore vi ricompenserà, – proseguì il frate: – non mancate di venir domani.

      – Verrò, – rispose il servitore: – ma lei vada via subito e… per amor del cielo… non mi nomini – Così dicendo, e guardando intorno, uscì, per l’altra parte dell’andito, in un salotto, che rispondeva nel cortile; e, visto il campo libero, chiamò fuori il buon frate, il volto del quale rispose a quell’ultima parola più chiaro che non avrebbe potuto fare qualunque protesta. Il servitore gli additò l’uscita; e il frate, senza dir altro, partì.

      Quell’uomo era stato a sentire all’uscio del suo padrone: aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regole più comuni e men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come un’eccezione? E ci sono dell’eccezioni alle regole più comuni e men contraddette? Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’aver dei fatti da raccontare.

      Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo respirò più liberamente, e s’avviò in fretta per la scesa, tutto infocato in volto, commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto. Ma quella così inaspettata esibizione del vecchio era stata un gran ristorativo per lui: gli pareva che il cielo gli avesse dato un segno visibile della sua protezione. «Ecco un filo, – pensava, – un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch’io sognassi neppure di cercarlo! «Così ruminando, alzò gli occhi verso l’occidente, vide il sole inclinato, che già già toccava la cima del monte, e pensò che rimaneva ben poco del giorno. Allora, benché sentisse le ossa gravi e fiaccate da’ vari strapazzi di quella giornata, pure studiò di più il passo, per poter riportare un avviso, qual si fosse, a’ suoi protetti, e arrivar poi al convento, prima di notte: che era una delle leggi più precise, e più severamente mantenute del codice cappuccinesco.

      Intanto, nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo e ventilati disegni, de’ quali ci conviene informare il lettore. Dopo la partenza del frate, i tre rimasti erano stati qualche tempo in silenzio; Lucia preparando tristamente il desinare; Renzo sul punto d’andarsene ogni momento, per levarsi dalla vista di lei così accorata, e non sapendo staccarsi; Agnese tutta intenta, in apparenza, all’aspo che faceva girare. Ma, in realtà, stava maturando un progetto; e, quando le parve maturo, ruppe il silenzio in questi termini:

      – Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi fidate di vostra madre, – a quel vostra Lucia si riscosse, – io m’impegno di cavarvi di quest’impiccio, meglio forse, e più presto del padre Cristoforo, quantunque sia quell’uomo che è – Lucia rimase lì, e la guardò con un volto ch’esprimeva più maraviglia che fiducia in una promessa tanto magnifica; e Renzo disse subitamente: – cuore? destrezza? dite, dite pure quel che si può fare.

      – Non è vero, – proseguì Agnese, – che, se foste maritati, si sarebbe già un pezzo avanti? E che a tutto il resto si troverebbe più facilmente ripiego?

      – C’è dubbio? – disse Renzo: – maritati che fossimo… tutto il mondo è paese; e, a due passi di qui, sul bergamasco, chi lavora seta è ricevuto a braccia aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cugino m’ha fatto sollecitare d’andar là a star con lui, che farei fortuna, com’ha fatto lui: e se non gli ho mai dato retta, gli è… che serve? perché il mio cuore era qui. Maritati, si va tutti insieme, si mette su casa là, si vive in santa pace, fuor dell’unghie di questo ribaldo, lontano dalla tentazione di fare uno sproposito. N’è vero, Lucia?

      – Sì, – disse Lucia: – ma come…?

      – Come ho detto io, – riprese la madre: – cuore e destrezza; e la cosa è facile.

      – Facile! – dissero insieme que’ due, per cui la cosa era divenuta tanto stranamente e dolorosamente difficile.

      – Facile, a saperla fare, – replicò Agnese. – Ascoltatemi bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.

      – Come sta questa faccenda? – domandò Renzo.

      – Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d’accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all’improvviso, che non abbia tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell’e fatto, sacrosanto come se l’avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie.

      – Possibile? – esclamò Lucia.

      – Come! – disse Agnese: – state a vedere che, in trent’anni che ho passati in questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò imparato nulla. La cosa è tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica, che voleva prender uno contro la volontà de’ suoi parenti, facendo in quella maniera, ottenne il suo intento. Il curato, che ne aveva sospetto, stava all’erta; ma i due diavoli seppero far così bene, che lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e furon marito e moglie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo a tre giorni.

      Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e riguardo al pericolo di non ci riuscire: ché, siccome non ricorrevano a un tale espediente, se non persone che avesser trovato ostacolo o rifiuto nella via ordinaria, così i parrochi mettevan gran cura a scansare quella cooperazione forzata; e, quando un d’essi venisse pure sorpreso da una di quelle coppie, accompagnata da testimoni, faceva di tutto per iscapolarsene, come Proteo dalle mani di coloro che volevano farlo vaticinare per forza.

      – Se fosse vero, Lucia! – disse Renzo, guardandola con un’aria d’aspettazione supplichevole.

      – Come! se fosse vero! – disse Agnese. – Anche voi credete ch’io dica fandonie. Io m’affanno per voi, e non sono creduta: bene bene; cavatevi d’impiccio come potete: io me ne lavo le mani.

      – Ah no! non ci abbandonate, – disse Renzo. – Parlo così, perché la cosa mi par troppo bella. Sono nelle vostre mani; vi considero come se foste proprio mia madre.

      Queste parole fecero svanire il piccolo sdegno d’Agnese, e dimenticare un proponimento che, per verità, non era stato serio.

      – Ma perché dunque, mamma, – disse Lucia, con quel suo contegno sommesso, – perché questa cosa non è venuta in mente al padre Cristoforo?

      – In mente? – rispose Agnese: – pensa se non gli sarà venuta in mente! Ma non ne avrà voluto parlare.

      – Perché? – domandarono a un tratto i due giovani.

      – Perché… perché, quando lo volete sapere, i religiosi dicono che veramente è cosa che non istà bene.

      – Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta, quand’è fatta? – disse Renzo.

      – Che volete ch’io vi dica? – rispose Agnese. – La legge l’hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir tutto. E poi quante cose… Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene; ma, dato che gliel abbiate, né anche il papa non glielo può levare.

      – Se è cosa che non istà bene, – disse Lucia, – non bisogna farla.

      – Che! – disse Agnese, – ti vorrei forse dare un parere contro il timor di Dio? Se fosse contro la volontà de’ tuoi parenti, per prendere un rompicollo… ma, contenta me, e per prender questo figliuolo; e chi fa nascer tutte le difficoltà è un birbone; e il signor curato…

      – L’è chiara, che l’intenderebbe ognuno, – disse Renzo.

      – Non bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima di far la cosa, – proseguì Agnese: – ma, fatta che sia, e ben riuscita, che pensi tu che ti dirà il padre? «Ah figliuola! è una scappata grossa;

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