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invocarne l’assistenza: Ada era andata da una zia.

      A me mancò il fiato. Era evidente che Ada mi evitava. Il giorno prima ancora io avevo sopportata la sua assenza ed avevo anzi prolungata la mia visita sperando ch’essa pur avrebbe finito coll’apparire. Quel giorno, invece, restai ancora per qualche istante, incapace di aprir bocca, eppoi protestando un improvviso male di testa m’alzai per andarmene. Curioso che quella prima volta il più forte sentimento che sentissi allo scontrarmi nella resistenza di Ada fosse di collera e sdegno! Pensai anche di appellarmi a Giovanni per mettere la fanciulla all’ordine. Un uomo che vuole sposarsi è anche capace di azioni simili, ripetizioni di quelle dei suoi antenati.

      Quella terza assenza di Ada doveva divenire anche più significativa. Il caso volle ch’io scoprissi ch’essa si trovava in casa, ma rinchiusa nella sua stanza.

      Devo prima di tutto dire che in quella casa v’era un’altra persona ch’io non ero riuscito a conquistare: la piccola Anna. Dinanzi agli altri essa non m’aggrediva più, perché l’avevano redarguita duramente. Anzi qualche volta anch’essa s’era accompagnata alle sorelle ed era stata a sentire le mie storielle. Quando però me ne andavo, essa mi raggiungeva alla soglia, gentilmente mi pregava di chinarmi a lei, si rizzava sulle punte dei piedini e quando arrivava a far addirittura aderire la boccuccia al mio orecchio, mi diceva abbassando la voce in modo da non poter essere udita che da me:

      – Ma tu sei pazzo, veramente pazzo!

      Il bello si è che dinanzi agli altri la sorniona mi dava del lei. Se c’era presente la signora Malfenti, essa subito si rifugiava nelle sue braccia, e la madre l’accarezzava dicendo:

      – Come la mia piccola Anna s’è fatta gentile! Nevvero?

      Non protestavo e la gentile Anna mi diede ancora spesso allo stesso modo del pazzo. Io accoglievo la sua dichiarazione con un sorriso vile che avrebbe potuto sembrare di ringraziamento. Speravo che la bambina non avesse il coraggio di raccontare delle sue aggressioni agli adulti e mi dispiaceva di far sapere ad Ada quale giudizio facesse di me la sua sorellina. Quella bambina finì realmente coll’imbarazzarmi. Se, quando parlavo con gli altri, il mio occhio s’incontrava nel suo, subito dovevo trovare il modo di guardare altrove ed era difficile di farlo con naturalezza. Certo arrossivo. Mi pareva che quell’innocente col suo giudizio potesse danneggiarmi. Le portai dei doni, ma non valsero ad ammansarla. Essa dovette accorgersi del suo potere e della mia debolezza e, in presenza degli altri, mi guardava indagatrice, insolente. Credo che tutti abbiamo nella nostra coscienza come nel nostro corpo dei punti delicati e coperti cui non volentieri si pensa. Non si sa neppure che cosa sieno, ma si sa che vi sono. Io stornavo il mio occhio da quello infantile che voleva frugarmi.

      Ma quel giorno in cui solo e abbattuto uscivo da quella casa e ch’essa mi raggiunse per farmi chinare a sentire il solito complimento, mi piegai a lei con tale faccia stravolta di vero pazzo e tesi verso di lei con tanta minaccia le mani contratte ad artigli, ch’essa corse via piangendo ed urlando.

      Così arrivai a vedere Ada anche quel giorno perché fu lei che accorse a quei gridi. La piccina raccontò singhiozzando ch’io l’avevo minacciata duramente perché essa m’aveva dato del pazzo:

      – Perché egli è un pazzo ed io voglio dirglielo. Cosa c’è di male?

      Non stetti a sentire la bambina, stupito di vedere che Ada si trovava in casa. Le sue sorelle avevano dunque mentito, anzi la sola Alberta cui Augusta ne aveva passato l’incarico esimendosene essa stessa! Per un istante fui esattamente nel giusto indovinando tutto. Dissi ad Ada:

      – Ho piacere di vederla. Credevo si trovasse da tre giorni da sua zia.

      Ella non mi rispose perché dapprima si piegò sulla bambina piangente. Quell’indugio di ottenere le spiegazioni cui credevo di aver diritto mi fece salire veemente il sangue alla testa. Non trovavo parole. Feci un altro passo per avvicinarmi alla porta d’uscita e se Ada non avesse parlato, io me ne sarei andato e non sarei ritornato mai più. Nell’ira mi pareva cosa facilissima quella rinunzia ad un sogno che aveva oramai durato tanto a lungo.

      Ma intanto essa, rossa, si volse a me e disse ch’era rientrata da pochi istanti non avendo trovata la zia in casa.

      Bastò per calmarmi. Com’era cara, così maternamente piegata sulla bambina che continuava ad urlare! Il suo corpo era tanto flessibile che pareva divenuto più piccolo per accostarsi meglio alla piccina. Mi indugiai ad ammirarla considerandola di nuovo mia.

      Mi sentii tanto sereno che volli far dimenticare il risentimento che poco prima avevo manifestato e fui gentilissimo con Ada ed anche con Anna. Dissi ridendo di cuore:

      – Mi dà tanto spesso del pazzo che volli farle vedere la vera faccia e l’atteggiamento del pazzo. Voglia scusarmi! Anche tu, povera Annuccia, non aver paura perché io sono un pazzo buono.

      Anche Ada fu molto, ma molto gentile. Redarguì la piccina che continuava a singhiozzare e mi domandò scusa per essa. Se avessi avuta la fortuna che Anna nell’ira fosse corsa via, io avrei parlato. Avrei detta una frase che forse si trova anche in qualche grammatica di lingue straniere, bell’e fatta per facilitare la vita a chi non conosca la lingua del paese ove soggiorna: «Posso domandare la sua mano a suo padre?». Era la prima volta ch’io volevo sposarmi e mi trovavo perciò in un paese del tutto sconosciuto. Fino ad allora avevo trattato altrimenti con le donne con cui avevo avuto a fare. Le avevo assaltate mettendo loro prima di tutto addosso le mani.

      Ma non arrivai a dire neppure quelle poche parole. Dovevano pur stendersi su un certo spazio di tempo! Dovevano esser accompagnate da un’espressione supplice della faccia, difficile a foggiarsi immediatamente dopo la mia lotta con Anna ed anche con Ada, e dal fondo del corridoio s’avanzava già la signora Malfenti richiamata dalle strida della bambina.

      Stesi la mano ad Ada, che mi porse subito cordialmente la sua e le dissi:

      – Arrivederci domani. Mi scusi con la signora.

      Esitai però di lasciar andare quella mano che riposava fiduciosa nella mia. Sentivo che, andandomene allora, rinunziavo ad un’occasione unica con quella fanciulla tutt’intenta ad usarmi delle cortesie per indennizzarmi delle villanie della sorella. Seguii l’ispirazione del momento, mi chinai sulla sua mano e la sfiorai con le mie labbra. Indi apersi la porta e uscii lesto lesto dopo di aver visto che Ada, che fino ad allora m’aveva abbandonata la destra mentre con la sinistra sosteneva Anna che s’aggrappava alla sua gonna, stupita si guardava la manina che aveva subito il contatto delle mie labbra, quasi avesse voluto vedere se ci fosse stato scritto qualche cosa. Non credo che la signora Malfenti avesse scorto il mio atto.

      Mi arrestai per un istante sulle scale, stupito io stesso del mio atto assolutamente non premeditato. V’era ancora la possibilità di ritornare a quella porta che avevo chiusa dietro di me, suonare il campanello e domandar di poter dire ad Ada quelle parole ch’essa sulla propria mano aveva cercato invano? Non mi parve! Avrei mancato di dignità dimostrando troppa impazienza. Eppoi avendola prevenuta che sarei ritornato le avevo preannunziate le mie spiegazioni. Non dipendeva ora che da lei di averle, procurandomi l’opportunità di dargliele. Ecco che avevo finalmente cessato di raccontare delle storie a tre fanciulle e avevo invece baciata la mano ad una sola di esse.

      Ma il resto della giornata fu piuttosto sgradevole. Ero inquieto e ansioso. Io andavo dicendomi che la mia inquietudine provenisse solo dall’impazienza di veder chiarita quell’avventura. Mi figuravo che se Ada m’avesse rifiutato, io avrei potuto con tutta calma correre in cerca di altre donne. Tutto il mio attaccamento per lei proveniva da una mia libera risoluzione che ora avrebbe potuto essere annullata da un’altra che la cancellasse! Non compresi allora che per il momento a questo mondo non v’erano altre donne per me e che abbisognavo proprio di Ada.

      Anche la notte che seguì mi sembrò lunghissima; la passai quasi del tutto insonne. Dopo la morte di mio padre, io avevo abbandonate le mie abitudini di nottambulo e ora, dacché avevo risolto di sposarmi, sarebbe stato strano di ritornarvi. M’ero perciò coricato di buon’ora col desiderio del sonno che fa passare tanto presto il tempo.

      Di giorno io avevo accolte con la più cieca fiducia le spiegazioni di Ada su quelle sue tre assenze dal suo salotto nelle ore in cui io vi era, fiducia dovuta alla mia salda convinzione che la donna

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