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che giacevano sotto i sedili del corridoio.

      Alcune bardature di giunchi sfilacciati e selle montate sulle ringhiere bastarono a convincermi che tutti i piani fatti a Bogotà da Emigdio, impressionato dalle mie critiche, si erano infranti contro quelle che lui chiamava le baracche di suo padre. D'altra parte, l'allevamento del bestiame minuto era notevolmente migliorato, come dimostravano le capre di vari colori che appestavano il cortile; e vidi lo stesso miglioramento nel pollame, poiché molti pavoni salutarono il mio arrivo con grida allarmanti, e tra le anatre creole o palustri, che nuotavano nel vicino fossato, alcuni dei cosiddetti cileni si distinguevano per il loro comportamento circospetto.

      Emigdio era un ragazzo eccellente. Un anno prima del mio ritorno a Cauca, suo padre lo mandò a Bogotà per avviarlo, come diceva il buon signore, a diventare un mercante e un buon commerciante. Carlos, che allora viveva con me ed era sempre al corrente anche di ciò che non doveva sapere, si imbatté in Emigdio, non so dove, e me lo piazzò davanti una domenica mattina, precedendolo quando entrò nella nostra stanza per dirgli: "Amico, ti ucciderò di piacere: ti ho portato la cosa più bella.

      Corsi ad abbracciare Emigdio che, in piedi sulla porta, aveva la figura più strana che si possa immaginare. È sciocco pretendere di descriverlo.

      Il mio compaesano era arrivato carico del cappello con i capelli color caffè e latte che suo padre, Don Ignacio, aveva indossato nelle settimane sante della sua giovinezza. Sia che fosse troppo stretto, sia che pensasse che fosse bello portarlo così, l'oggetto formava un angolo di novanta gradi con la nuca del nostro amico, lunga e irsuta. Quella struttura magra; quelle basette magre e smunte, che corrispondevano ai capelli più sconsolati nella loro negligenza mai visti; quella carnagione giallastra che scrostava il ciglio della strada assolata; il colletto della camicia infilato senza speranza sotto i risvolti di un gilet bianco le cui punte si odiavano a vicenda; le braccia imprigionate nel colletto della camicia; le braccia appuntate nel colletto della camicia; le braccia appuntate nel colletto della camicia; le braccia appuntate nel colletto della camicia; le braccia appuntate nel colletto della camicia; le braccia incastrate nelle maniche di un cappotto blu; i calzoni di chambray con ampi passanti di cordova e gli stivali di pelle di cervo lucidata erano più che sufficienti a suscitare l'entusiasmo di Carlo.

      Emigdio aveva in una mano un paio di speroni dalle grandi orecchie e nell'altra un pacco voluminoso per me. Mi affrettai a liberarlo di tutto, soffermandomi un attimo a guardare severamente Carlos che, sdraiato su uno dei letti della nostra camera da letto, stava mordendo un cuscino, piangendo a dirotto, cosa che per poco non mi provocò il più sgradito imbarazzo.

      Offrii a Emigdio un posto nel salottino; e mentre sceglieva un divano a molle, il poveretto, sentendosi sprofondare, fece del suo meglio per trovare qualcosa a cui aggrapparsi nell'aria; ma, persa ogni speranza, si tirò su come meglio poté e, quando fu in piedi, disse:

      –Che diavolo! Questo Carlos non riesce nemmeno a rinsavire, e adesso! Non c'è da stupirsi se per strada rideva dell'appiccicamento che mi avrebbe fatto. E anche tu? Beh, se queste persone qui sono gli stessi diavoli, cosa ne pensi di quello che mi hanno fatto oggi?

      Carlos uscì dalla stanza, approfittando di un'occasione così felice, ed entrambi potemmo ridere liberamente.

      –Che Emigdio! -disse al nostro visitatore, "siediti su questa sedia, che non ha trappola. È necessario che tu tenga il guinzaglio.

      –Sì", rispose Emigdio, sedendosi con sospetto, come se temesse un altro fallimento.

      –Che cosa ti hanno fatto? -Rispose più di quanto Carlos avesse chiesto.

      –Avete visto? Stavo per non dirglielo.

      –Ma perché? -insistette l'implacabile Carlos, gettandogli un braccio intorno alle spalle, "diteci.

      Emigdio era finalmente arrabbiato e non potevamo certo accontentarlo. Qualche bicchiere di vino e qualche sigaro sancirono il nostro armistizio. Per quanto riguarda il vino, il nostro connazionale ha osservato che il vino arancione prodotto a Buga era migliore e l'anisete verde della Paporrina più venduto. I sigari di Ambalema gli sembravano inferiori a quelli che portava in tasca, infilati in foglie di banano secche e profumati con foglie di fico e arancio tritate.

      Dopo due giorni, il nostro Telemaco era ormai vestito e strigliato a dovere da mastro Ilario; e sebbene gli abiti alla moda lo mettessero a disagio, e i nuovi stivali lo facessero sembrare un candelabro, dovette sottoporsi, stimolato dalla vanità e da Carlo, a quello che lui chiamava un martirio.

      Una volta stabilitosi nella casa in cui vivevamo, ci divertiva nel dopocena raccontando alle nostre padrone di casa le avventure del suo viaggio e dando il suo parere su tutto ciò che aveva attirato la vostra attenzione in città. Per strada era diverso, perché eravamo costretti ad abbandonarlo al suo destino, cioè alla gioviale impertinenza dei sellai e degli ambulanti, che correvano ad assediarlo appena lo vedevano, per offrirgli sedie Chocontan, arretrancas, zamarros, bretelle e mille gingilli.

      Fortunatamente Emigdio aveva già finito di fare la spesa quando venne a sapere che la figlia della padrona di casa, una ragazza spigliata, spensierata e ridente, stava morendo per lui.

      Carlo, senza fermarsi alle battute, riuscì a convincerlo che Micaelina aveva finora disdegnato i corteggiamenti di tutti i commensali; ma il diavolo, che non dorme, fece sì che Emigdio sorprendesse il figlio e l'amata una sera in sala da pranzo, quando credevano che il disgraziato dormisse, perché erano le dieci, l'ora in cui di solito era al terzo sonno; abitudine che giustificava alzandosi sempre presto, anche se tremava di freddo.

      Quando Emigdio vide ciò che aveva visto e udì ciò che aveva udito, cosa che, se solo avesse visto e udito, non avrebbe fatto per la sua e la nostra tranquillità, pensò solo ad accelerare la sua marcia.

      Non avendo alcuna lamentela nei miei confronti, la sera prima del viaggio si confidò con me, dicendomi, tra le tante altre cose, che non aveva alcun peso:

      A Bogotà non ci sono donne: sono tutti… flirt con le sette suole. Quando questa l'ha fatto, cosa ti aspetti? Ho persino paura di non salutarla. Non c'è niente come le ragazze della nostra terra; qui c'è solo pericolo. Vedi Carlos: è un corpus altar, va a letto alle undici di sera ed è più pieno di sé che mai. Lascialo stare; lo farò sapere a Don Chomo perché gli metta le ceneri. Mi fa piacere vederti pensare solo ai tuoi studi.

      Così Emigdio partì, e con lui il divertimento di Carlos e Micaelina.

      Questo, in breve, era l'amico onorevole e amichevole che stavo andando a trovare.

      Aspettandomi di vederlo arrivare dall'interno della casa, mi sono fatta strada sul retro, sentendolo gridare contro di me mentre scavalcava una recinzione nel cortile:

      –Finalmente, sciocco! Pensavo che mi avessi lasciato ad aspettarti. Siediti, sto arrivando. E cominciò a lavarsi le mani, che erano insanguinate, nel fosso del cortile.

      –Cosa stavi facendo? -gli chiesi dopo i nostri saluti.

      –Poiché oggi è giorno di macellazione e mio padre si è alzato presto per andare ai paddock, stavo razionando i neri, il che è un lavoro di routine; ma ora non ho nulla da fare. Mia madre è molto ansiosa di vederti; le farò sapere che sei qui. Chissà se riusciremo a convincere le ragazze a uscire, perché sono diventate ogni giorno più chiuse di mente.

      –Choto! gridò; e subito apparve un omino nero seminudo, con una bella uva sultanina e un braccio secco e sfregiato.

      –Portate il cavallo alla canoa e pulite il puledro per me.

      E rivolgendosi a me, avendo notato il mio cavallo, aggiunse:

      –Carrizo con il retinto!

      –Come ha fatto il braccio di quel ragazzo a rompersi in quel modo? -chiesi.

      –Sono così rozzi, sono così rozzi! È buono solo per badare ai cavalli.

      Presto iniziarono a servire il pranzo, mentre io rimasi con Doña Andrea, la madre di Emigdio, che quasi lasciava il suo fazzoletto senza frange, per un quarto d'ora che eravamo sole a parlare.

      Emigdio andò a indossare una giacca bianca per sedersi a tavola; ma prima ci presentò una donna nera adornata da un mantello pastuziano con un fazzoletto, che portava appeso a un braccio

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