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che era successo equivaleva a non poterlo neanche vedere, il che significava che non poteva più lavorare, che a sua volta voleva dire non avere più uno stipendio. Non aveva fatto le valigie, quindi non aveva neppure un cambio di vestiti oltre quelli che indossava. E quelli erano sporchi. Il suo petto si strinse. La camicia che aveva addosso sapeva di Ralph, anche se Ralph non l'aveva mai toccata. O forse lo aveva fatto. Aaron non lo avrebbe mai scoperto.

      Si passò una mano sul viso. Sentiva caldo. Voleva abbassare il finestrino, ma aveva paura. Digrignò i denti e iniziò a spogliarsi, cercando di fare del suo meglio visto lo spazio ristretto. Getto i vestiti, le scarpe e i calzini sul sedile posteriore. Sentì qualcosa scricchiolare e si ricordò che Robert gli aveva detto di aver lasciato alcune cose.

      La tristezza lasciò il posto alla paura, che ben presto lasciò il posto alla rabbia. Aaron conosceva bene la rabbia. Lo aveva reso forte. Non aveva bisogno di pensare a niente, quando era arrabbiato, doveva solo agire.

      Completamente nudo, scese dall'auto e aprì la portiera posteriore. Gettò sull'asfalto tutto quello che Robert ci aveva messo, senza controllare neanche cos'era. Soddisfatto, richiuse la portiera e tornò dietro il volante.

      Il motore tornò alla vita con un ruggito e Aaron diede gas. Alcuni minuti dopo, fece un inventario mentale di quello che gli era rimasto. La macchina era sua. Era un regalo di Robert e Jack. Il telefono era suo, ma lo stava pagando Robert. Probabilmente il suo numero sarebbe stato bloccato presto. Aveva bisogno di farsi un altro numero. Robert non voleva certo rischiare che Daniel lo chiamasse. Aaron poteva ignorare i messaggi e le e-mail, ma una chiamata dal suo fratellino… scosse la testa e tornò a concentrarsi.

      Nel portafogli c'erano la patente, alcune carte, qualche tessera fedeltà di negozi a caso e venti dollari.

      Aveva sempre tenuto l'auto pulita ai limiti della follia, conosceva ogni oggetto lì dentro, e, dopo aver buttato fuori quello che gli aveva dato Robert, sapeva che non c'era più niente che avesse un valore.

      Avrebbe dovuto rubare dei vestiti nuovi… ma non poteva certo entrare nei negozi completamente nudo. C'era una coperta nel bagagliaio. Si sarebbe accontentato, per il momento. Era quasi l'alba. Il telefono di Aaron squillò. Sullo schermo apparve un numero sconosciuto. Non era quello che aveva usato Farley in precedenza, ma qualcosa gli disse di non rispondere. Ignorò il proprio istinto.

      “Ciao, bellezza,” disse Farley.

      “Ho restituito i soldi,” sbottò Aaron. “Cosa vuoi?”

      “Non c'è bisogno di usare questo tono,” sogghignò l'uomo. “Volevo solo dirti di informare Silas che, se non sporgerà denuncia, riceverà comunque il suo ultimo stipendio.”

      “Cosa?”

      “Immagino che tu sia rimasto in contatto con lui? Non risponde alle mie chiamate, e questo è un affare abbastanza urgente.”

      “Non sono in contatto con lui.”

      “Ah, capisco. Non importa allora. Addio.”

      “Perché dovrebbe sporgere denuncia?” chiese Aaron. La sua domanda cadde nel silenzio. Farley aveva già riattaccato. Aaron gettò il telefono sul sedile. Dentro di lui prese vita una strana lotta tra il desiderio di richiamarlo e quello di fuggire lontano. Ignorando entrambi i desideri, recuperò la coperta dal bagagliaio e tornò in città.

      Mezz'ora dopo stava parcheggiando nel vialetto della casa di Silas. Il sole aveva appena iniziato a sorgere. La luce del portico era spenta. Aaron riusciva a vedere dei frammenti di vetro per terra. Si strinse la coperta intorno al corpo e scese, avvicinandosi alla casa. Quando bussò alla porta si rese conto che era socchiusa. Entrò in fretta e se la chiuse alle spalle.

      L'interno era devastato. Il divano dove aveva dormito con Silas era squarciato. Il tavolo era stato ribaltato. C'erano carte e frammenti della vita di Silas sparsi ovunque, sul pavimento.

      “Silas,” lo chiamò. Si diresse a grandi passi in cucina e quasi inciampò nella gamba spezzata di una sedia. “Silas, sei qui?” Si tenne la coperta addosso con una mano e afferrò il legno con l'altra, per usarlo come una mazza in caso di bisogno.

      Continuò il giro della casa. La porta del bagno era chiusa. Tenendo su la coperta con le braccia, provò ad abbassare la maniglia. Era bloccata. Bussò. “Silas? Sei lì dentro?” Nessuna risposta.

      Bussò più forte e chiamò di nuovo il suo nome. Ancora nessuna risposta. Fece qualche passo indietro, sperando di guadagnare abbastanza slancio nel corridoio, poi sbatté la spalla contro il legno.

      La serratura si ruppe e l'anta si aprì. Aaron si precipitò dentro il bagno, una mano stretta attorno alla coperta e l'altra intorno alla gamba della sedia. Gli ci volle un lungo secondo per elaborare quello che stava vedendo.

      La stanza puzzava di erba ed era piena di un misto di fumo e vapore.

      Silas era seduto nella vasca da bagno, le sopracciglia sollevate in una espressione allarmata. Si tolse un grosso paio di cuffie e le fece cadere sul pavimento piastrellato. Il suo telefono era appoggiato sul bordo della vasca, collegato alle cuffie. Reggeva una canna proprio sopra il bordo dell'acqua.

      “Ciao, Aaron,” disse. Il suo viso era coperto di varie sfumature di blu e viola. Aveva un labbro spaccato e un occhio così gonfio da essere quasi chiuso. Aveva un brutto taglio su una spalla e il petto era disseminato di lividi. Nonostante le ferite, si accigliò quando vide il volto di Aaron. “È stato Farley?”

      “A fare cosa?” domandò Aaron.

      “A picchiarti. In faccia.”

      “Oh,” fece Aaron, mentre il suo cervello ricominciava a funzionare. “No, non è stato lui. Che ti è successo?”

      Silas scrollò le spalle. “Farley era convinto che avessi rubato i soldi. Il che, tecnicamente, è vero.”

      “Mi dispiace,” mormorò Aaron. Farley aveva ovviamente picchiato Silas, convinto che avesse lui il denaro. “Glieli ho restituiti.”

      Silas inclinò la testa.

      “Ho dovuto farlo,” gli spiegò. “Ha contattato la mia famiglia. Ha mandato a mio fratello un pezzo del video dove noi… di quello che abbiamo fatto.” Scosse la testa. “Mi dispiace. Ho dovuto farlo,” ripeté.

      Silas sbatté le palpebre. “Aaron,” disse lentamente. “Stai indossando una coperta?”

      Aaron si sentì arrossire. “Oh. Ehm, sì.”

      “Hai qualcosa sotto?”

      Aaron scosse la testa.

      “Aaron,” lo chiamò di nuovo Silas. “Le coperte non sono vestiti.”

      “Sì, lo so. Quanto sei fuori? Ti sei fumato anche il sapone?”

      Silas scosse la testa. “Il sapone mica si fuma.” Porse lo spinello ad Aaron. “Vuoi fare un tiro?”

      Aaron sospirò. “Sicuro.” Si avvicinò alla vasca e prese nota delle ferite di Silas. L'acqua del bagno era pulita ma con una leggera sfumatura rosa. Dopotutto Silas era ferito dalla testa ai piedi. Prese la canna. “Stai sanguinando.”

      “Ormai ha smesso di sanguinare.”

      Aaron osservò il taglio sulla sua spalla.

      Silas seguì la direzione del suo sguardo. “C'è solo quell'osso martoriato e il mio naso. È rotto. Il naso, non l'osso della spalla.”

      “Non dovresti bendarlo, o qualcosa del genere?” domandò Aaron.

      “Lo farò più tardi.” Strinse gli occhi mentre lo osservava a fondo. “Chi ti ha colpito?”

      “Mio padre.”

      “Ah. Tuo padre ha visto il pezzo di video che Farley ha inviato a tuo fratello?”

      “Quindi stai prestando attenzione alla conversazione.”

      “Certo,” rispose Silas. “È una cosa seria.” Si guardò intorno nella

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