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Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI. Francesco Domenico Guerrazzi
Читать онлайн.Название Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI
Год выпуска 0
isbn 4064066073381
Автор произведения Francesco Domenico Guerrazzi
Жанр Языкознание
Издательство Bookwire
Sisto V, che fu pontefice (ed avrebbe potuto anche essere carnefice) di Roma, certa volta invitati al Vaticano gli Orsini, i Colonna, i Savelli, i Conti Cènci, ed altri fra i più potenti dei nobili romani, dopo averli trattenuti alquanto in piacevoli ragionamenti si accostava agli aperti balconi, donde, volgendo gli occhi alla sottoposta città, disse ai circostanti: «O la mia vista, siccome suole per vecchiezza, è diventata fosca, o di qualche strano apparecchio vanno ornati stamattina i merli dei palazzi delle Signorie vostre eccellentissime: andate a riscontrare, e in cortesia fatemi assapere quello ch'è.»
Erano i cadaveri penzoloni dei banditi, che nei palazzi di cotesti signori riparavano. Il Papa aveva ordinato si prendessero, e tutti, senza misericordia, ai merli del palazzo s'impiccassero.
Francesco Cènci, per questo e per altri successi avendo ottimamente conosciuta la natura del Papa, reputò opportuno di tirarsi al largo; e finchè ei visse stette a Rocca Petrella, chiamata ancora Rocca Ribalda. Il serpe aveva trovato a mordere la lima.
Di persona, aiutante era molto; e, comunque in là con gli anni, pure bene di salute disposto; se non che, offeso nella diritta gamba, zoppicava. Copioso d'idee e facondo di eloquio, avrebbe acquistato fama di oratore egregio se glielo avessero conceduto i tempi e la lingua, che, ad ogni più leggiera alterazione inciampandogli fra i denti, lasciava adito alla voce come acqua rotta fra i sassi. Di laide sembianze non poteva estimarsi per certo; e non pertanto sinistre così, che giammai seppero ispirare amore, talvolta reverenza, troppo spesso paura. Se togli il colore dei capelli e dei peli, di neri mutati in bianchi; se alcuna ruga di più; se una magrezza maggiore, e una tinta più gialla e biliosa, il suo volto presentava la medesima aria della sua giovanezza. La fronte, mentr'ei posava, appariva segnata appena di una ruga non profonda quale o il rimorso o la cura sogliono imprimere; ma sì sfumata, leggiera, come l'amore descrive, esitando, con la punta estrema dell'ale sopra la fronte della bellezza che declina. Gli occhi, mesti per ordinario, colore del piombo simili a quelli del pesce morto, privi affatto di splendore, contornati da cerchi cenerini, e reticolati di vene violette e sanguigne—pareano cadaveri dentro casse di piombo. La bocca sottile perdevasi fra le rughe delle guance. Cotesto volto sarebbesi adattato ugualmente bene a un santo e ad un bandito: cupo, inesplicabile come quello della sfinge, o come la fama dello stesso Conte Cènci.
Della persona e dei costumi di lui parmi aver detto abbastanza: più tardi m'ingegnerò esporre uno studio psicologico intorno a questo prodigioso personaggio.
Il Conte la sera precedente erasi ritirato di buon'ora nelle sue stanze, insalutati moglie e figliuoli. A Marzio, che gli profferiva i consueti uffici, aveva risposto:
—Va' via: mi basta Nerone.
Nerone era un cane enorme di mole e di ferocia.—Così lo nominò il Cènci, meno in memoria del truce imperatore, che per significare, nel vetusto linguaggio de' Sanniti, forte, o gagliardo.
Coricato appena, prese a dare di volta pel letto: incominciò a gemere d'impazienza: a mano a mano la impazienza diventò furore, e si pose a ruggire. Nerone gli rispondeva ruggendo. Indi a breve il Conte, balzando dalle odiate piume, esclamò:
—Abbiano avvelenato le lenzuola!—Questo si è pur dato altra volta, ed io l'ho letto in qualche libro. Olimpia! Ah! mi sei fuggita, ma io ti arriverò:—nessuno ha da scapparmi di mano—nessuno.—Quale silenzio è questo accanto a me! Che pace qui in casa mia! Riposano:…—dunque non gli atterrisco io?—Marzio.
Il cameriere chiamato accorreva prontissimo.
—Marzio, riprese il Conte, la famiglia che fa?
—Dorme.
—Tutti?
—Tutti; almeno sembra, poichè ogni cosa sia tranquilla in casa.
—E quando io non posso dormire ardiscono riposare in casa mia?—Va', guarda se veramente dormono; oreglia alle stanze, in ispecie quella di Virgilio; sprangale pianamente per di fuori, e torna.
Marzio andò.
—Costui, continuava il Conte, sopra gli altri aborrisco; sotto quella superficie di ghiacciata mansuetudine non iscorrono meno veloci le acque della ribellione: aspide senza lingua, non però senza veleno. Quanto mi tarda, che tu muoia!—
Marzio, tornando, confermava:
—Dormono tutti, anche don Virgilio; ma di sonno travagliato, per quanto può giudicarsi dall'anelito febbrile.
—L'hai sprangata fuori?
Marzio col capo accennò affermativamente.
—Bene; prendi questo archibugio, sparalo traverso l'uscio della stanza di Virgilio, e poi urla con quanto hai di fiato nella gola:—al fuoco! al fuoco!—Così insegnerò a costoro dormire mentre io veglio.
—Eccellenza….
—Che hai?
—Io non le dirò: pietà del ragazzo, che pare ridotto in extremis….
—Continua….
—Ma la è cosa da mettere sottosopra il vicinato.
Il Conte, senza punto turbarsi, pose chetamente la mano sotto al capezzale; e, trattane fuori una pistola, la spiana improvviso contro il cameriere, che tramutò in volto per terrore, e con voce soave gli disse:
—Marzio, se un'altra volta invece di obbedire attenterai contradirmi, io ti ammazzerò come un cane:—-va'.
Marzio andò più che di passo ad eseguire il comando.
È impossibile descrivere con quanto terrore fossero destati le donne e il fanciullo. Balzano da letto, si avventano contro gli usci; ma non li potendo aprire urlano, pregano si dica loro lo accaduto, per amore di Dio aprano, dalla tremenda ansietà gli liberino. Nessuna risposta: spossati tornano a gittarsi sul letto, travagliandosi per un sonno affannoso.
Dopo forse due ore il Conte chiama di nuovo il cameriere, e lo interroga:
—Fa giorno?….
—Eccellenza no.
—Perchè non fa giorno?…
Marzio si strinse nelle spalle. Il Conte tentennando il capo, quasi per irridere se stesso della domanda strana, riprese:
—E quanto tarderà ancora a spuntare l'alba?
—Un'ora.—
—Un'ora!—Ma un'ora è un secolo, è una eternità per chi non può dormire, o mio… sta a vedere, che per poco non aggiungeva—Dio.—Dicono il sonno amico dei santi: se questo fosse, io avrei a dormire quanto i sette dormienti insieme! Che fare adesso? Ah! spendiamo questo avanzo di notte in qualche opera meritoria;—educhiamo Nerone.—
E ordinava a Marzio prendesse certo uomo di paglia, e lo portasse in sala dove mettevano capo le camere delle donne e del fanciullo: egli poi trasse Nerone in altra stanza, lo aizzò, lo inasprì, e poi, spalancato allo improvviso