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L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
Читать онлайн.Название L'assedio di Firenze
Год выпуска 0
isbn 4064066069841
Автор произведения Francesco Domenico Guerrazzi
Жанр Языкознание
Издательство Bookwire
Conobbi la fiera dal sembiante umano: erano le sue imprese la calunnia delle altrui virtù, interpretava come oltraggi i consigli di amore, si tormentava l'intelletto per ravvisare nel benefizio una offesa onde trarne argomento di ricompensarlo con l'odio; vituperò come misfatti i voti più puri dell'anima ardente in fiamma di carità, chiamò la scienza dei grandi follia, avvelenò affetti santissimi, punì il pensiero, insidiò vite e le spense; uguale rimaneva pur sempre l'amico stendere della mano e il sorriso soave e la parola cortese e l'umile invocare dell'Eterno... Io vo' vederti il cuore, o creatura perversa! E un giorno pure ebbi tra le mani un cuore. Egli mi apparve di fuori lucido e liscio, sì che quasi affascinava a vagheggiarlo. Lo tagliai per ispiarne l'interno. Oh! chi descrive la serie infinita delle fibre che vanno l'una confondendosi nell'altra? Chi la serie portentosa delle vene disgradanti senza numero? Con la punta del coltello presi a seguitare la traccia di un filo, vi applicai argutamente il tatto e la vista; nondimeno lo perdei, nè mi riuscì seguitarlo fino al suo principio o al suo termine. Risi della scoperta... Così... così e non altramente doveva essere composto il cuore dell'uomo!
Ma il dolore concetto dissimulava, e quantunque volte un pietoso ufficio mi chiamò a favellare alle turbe, volgendomi ai giovani solamente, però che i tempi mi avessero insegnato come i capelli bianchi non sieno aureola di pazienza a' vecchi capi, ed ogni anno saccheggi una virtù, e l'uomo prima assai di morire diventi cadavere, volgendomi, dico, ai giovani soltanto, gli ammoniva: «Fratelli! io vi conforto ad essere grandi: certo nel proferire sì fatta parola tremo nelle ossa; pure a Dio piaccia che per viltà mi rimanga del manifestare altri sentimenti. Regge il creato una legge dura che impone: Sii grande e infelice: ma un'altra legge impera più universale che comanda: Sii uomo e muori. Ora se nessuna forza può tôrvi la bella morte, che cosa mai presenta la vita onde la conserviate a prezzo del vituperio? Invidiereste voi forse la stilla del cielo che scende tacita e si confonde inosservata nel mare? Chi non amerebbe piuttosto un giorno dell'esistenza dell'uccello, esistenza di canto e di volo; chi non più tosto il minuto del fulmine, minuto di fragore e di luce che il secolo del verme dei sepolcri? Gravi mali vi aspettano, il vostro cuore lacerato si romperà; morrete: ma presso il morire ricorderete l'esilio di Dante, le catene del Colombo, la corda del Machiavelli, il carcere di Galileo, i delirii del Tasso (e non ricordo le morti per ferro, per laccio, per veleno e fin anche per fame, perchè le sventure dei grandi sono troppe e troppo dolorosamente copiose), e di queste memorie vi farete zona di costanza intorno ai reni per durare imperterriti nella miseria, traverso la quale la stirpe dei tormentatori vi travolgerà. La tirannide umana che vi appariva dianzi quasi colosso di bronzo, ora la schernirete vedendo le sue piante di creta, e la sperderete con quella stessa agevolezza con la quale l'angiolo di Dante si sgombrava dal volto il fumo dell'inferno.»
Così favellavano le labbra; l'anima intanto inaridiva nell'amarezza.
Ora dentro di me si levò una voce che disse: «Non sempre Dio si pentì di avere creato l'uomo. Tu vivi in secolo che vinse il paragone di tristezza con ogni più vile metallo[6]. Ricerca per le storie, e troverai tempi secondo il tuo cuore. Circondati di memorie. Dalla virtù dei morti prendi argomento di flaggellare le infamie dei vivi. Le opere famose dei trapassati ti daranno speranza del valore dei posteri: imperciocchè nulla duri eterno sotto il sole, e la vicenda del bene e del male si alterni continua sopra questa terra. Tu vivrai una vita di visioni degli anni passati e dei futuri.»
Apersi il volume della storia, investigando questa epoca di umana felicità, e lessi con l'anelito del moribondo che sospira la luce. Oh quanti giorni consumati invano! Oh quante volte caddi col capo sulle pagine funeste, dolente, non disperato, esclamando: Sarò più avventuroso domani! Venne il domani e il giorno appresso e l'altro, nè da alcun lato si diradava la tenebra. Questa è la storia delle fiere del bosco! Gittai il libro, ma col libro non gittai la conoscenza del male. Notti vegliate su i volumi di coloro che mi hanno preceduto, irresistibile agonia di sapere, qual frutto apportaste all'anima mia? Con l'avvilimento e il dolore ho tessuto il manto funerario alla speranza.
Guardai l'Italia, e vidi sorgere una gente, sparpagliarsi pel mondo a incatenare la creatura di Dio; poi la pazienza degli oppressi convertirsi in furore, l'antica iniquità caduta, giunti i giorni dell'ira; popoli barbari, come fanno degli armenti i mandriani, cacciarsi davanti altri popoli barbari alla volta delle nostre contrade: inonda il torrente dalle Alpi a Reggio, un trono è leva per sovvertire un altro trono; noi infelicissimi, vinti, portiamo la impronta della caduta di tutti. Dopo le contese sacerdotali succedono le civili. Guelfi e Ghibellini; Bianchi e Neri; Montecchi e Cappelletti; Maltraversi e Scacchesi; Bergolini e Raspanti: sangue gronda ogni sasso alla campagna, sangue ogni torre in città; repubbliche discordi, misere, perpetuamente guerreggianti tra loro; interni ed esterni tiranni, lascivi, avari, paurosi delle tenebre stesse, e pure senza misura crudeli; traditori e traditi; braccia poste all'incanto, anime italiane vendute; città nobilissime patteggianti coi turpi masnadieri; alti inteletti sotto la feroce ignoranza dei sacerdoti curvati; per ultimo, come la tempesta si leva dagli abissi del mare, ecco sorge la tirannide, Briareo maledetto, che le cento mani distende, il cielo e la terra arraffando contamina, snatura anime e corpi, semina il deserto e sta.
E tu, Firenze, figlia generosa di nobile madre, cedesti alla onnipotenza dei fati, come conveniva all'ultimo santuario della italiana libertà! Inclita per magnanime geste, consacrata dal sangue dei martiri, la tua caduta farà sospirare il nostro cuore finchè la creta animata si scaldi al sole dell'opre magnanime. Ahimè! pur troppo la vita dei reami e delle repubbliche è misurata come quella degli individui! Però non ti valse prodezza nè consiglio de' tuoi; giacque la tua libertà sepolta con essi, e luminosi di gloria immortale vivete insieme nello stesso sepolcro.
Non confidate nella speranza: ella è la meretrice della vita.
Dunque un destino inesorato ci condanna, come il serpente antico, a nudrirci per sempre di cenere, a traversare il futuro non movendo altro suono che quello del tergo percosso dalle verghe e del piede avvinto dalle catene?
Chi disse questo! La forza non ha concluso un patto eterno con veruna nazione del mondo. Qual mano di uomo strappò l'ale alla vittoria? A Roma gliele troncava il fulmine, ma tornarono a crescere co' secoli, ed ella fuggì via. Finchè sollevandosi al cielo le vostre braccia sentiranno il peso dei ferri nemici, non supplicate.... combattete: anche col ferro in pugno si prega; anzi cotesta preghiera è la sola che si addica agli oppressi. Iddio sta co' forti! La vostra misura di abiezione è già colma: scendere più oltre non potete: la vita consiste nel moto, dunque sorgerete. Ma intanto abbiate l'ira nel cuore, la minaccia su i labbri, nella destra la morte; tutti i vostri dii caschino in pezzi, non adorate altro Dio che Sabaoth, lo spirito delle battaglie. Voi sorgerete, cadrete, tornerete a sorgere: la vendetta e l'ira vi renderanno immortali. La mano del demonio settentrionale, che osò stoltamente cacciarsi tra le ruote del carro del tempo per arrestarlo, indebolita vacilla e sarà infranta. Se potessimo porgli una mano sul cuore, conosceremmo la più parte delle sue pulsazioni muovere adesso dalla paura. Ma se ci fosse dato di porgli una mano sul cuore, certo non sarebbe per sentirne le pulsazioni... Oh no! viva per morire sotto le rovine dello edifizio che ha fabbricato; prima di restarci sepolto intenda il grido di obbrobrio che mandano gli oppressi sul tormentatore tradito dalla fortuna. La morte percuote del pari gli eroi della virtù e gli eroi del delitto: Ma Epaminonda tenne l'anima chiusa col ferro finchè non conobbe la vittoria della patria, e morì trionfando; lui poi trapassi la spada sul principio della battaglia, e non gli sia tolta dalle viscere finchè non sappia la nuova della sua sconfitta; perisca, soffocato dal fumo dei cannoni che annunzieranno la nostra vittoria; si disperi nell'udire i tamburi che saluteranno l'aurora del nostro risorgimento. Sventolerà un'altra volta la nostra bandiera su le torri nemiche, terribile ai figliuoli dei Cimbri; scoperchierà lo spettro di Mario l'antica sepoltura; un'altra volta trascineremo per la polvere al Campidoglio le corone dei tiranni dei popoli... Ma saremo allora felici? Che importa? Tornino, oh tornino desiderati quei giorni all'orgoglio italiano! Amaro è il piacere di opprimere, ma è pure un piacere; e la vendetta delle atroci offese rallegra ancora lo spirito di Dio...
Qui sorge una voce amica e mormora queste parole: «La scienza