ТОП просматриваемых книг сайта:
L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
Читать онлайн.Название L'assedio di Firenze
Год выпуска 0
isbn 4064066069841
Автор произведения Francesco Domenico Guerrazzi
Жанр Языкознание
Издательство Bookwire
Intanto per altra parte il pontefice s'indirizzava con la sua compagnia al tempio di San Petronio. Precedevano a due a due i camerarii, gli ostiarii, i segretarii apostolici; seguivano dodici dottori dell'antica università di Bologna, ora dianzi da Cesare insigniti con ordine cavalleresco e con la dignità di conti palatini. Quindi otto patrizi della città in abito senatorio, e poco appresso il rettore della università decoroso per vesti purpuree. E gli uni dopo gli altri seguitavano il potestà avviluppato in un lucco di teletta di oro, i giudici di Rota, e cinquantatrè tra vescovi e arcivescovi venerabili pei loro manti pontificali. Secondo l'ordine delle speciali prerogative, venivano i cardinali Medici, Grimaldi, Caddi, di Mantova, Pisani, Santa Croce, Cornaro, Grimani, di Perugia, di Ravenna, Campeggio, Anconitano, di Santiquattro, di Siena e Farnese, ognuno dei quali portava la mitra e procedeva ornato di piviali doviziosissimi. Subentravano i magnifici conti Ludovico Rangone e il signor Lorenzo Cibo, entrambi gonfalonieri di Santa Chiesa, armati di tutte armi. Finalmente, assistito dagli eminentissimi cardinali Cesarini, Cesi e Cibo, compariva Clemente VII nello splendore della sua pompa pontificia, avvolte le membra nel famoso piviale, di cui i lembi si congiungono sul petto mediante il bottone non so se io mi dica più celebre a cagione del lavoro di Benvenuto Cellini, o del diamante una volta appartenuto a Carlo il Temerario duca di Borgogna[81]. — Guardate il vicario di Cristo! Il successore di Colui che andava a piedi e le più volte scalzo, ora, reputando poca magnificenza cavalcare mula o palafreno, si fa trasportare sopra un pulpito sulle spalle di otto servitori a guisa di somieri e dimostra come da gran tempo il padre dei fedeli tenga gli uomini in concetto di bestie. — Egli non può sopportare il pallido raggio del sole di febbraio, e con ampio baldacchino di seta il capo difende e la persona. — I santi, dei quali egli si dice ministro, non temerono riarsa dal sole di Siria la fronte per predicare alle turbe ed annunziare vicino il regno dei cieli. — Dietro alla cattedra pontificia si affolla la torma degli abbati, protonotari, prelati, gentiluomini, i quali il più delle volte non sono uomini gentili, e gente altra infinita di siffatta risma. Penetrati nel tempio, ognuno si dispose, conservando il grado che gli spettava, nel coro o davanti l'altar maggiore, e diedero salmeggiando immediatamente principio all'ufficio chiamato Terza; conchiuso il quale, i cardinali, cominciando dal decano Alessandro Farnese, che poi fu papa col nome di Paolo III, padre di Pierluigi l'infame stupratore di Cosimo Cheri vescovo di Fano[82], ossequiarono a Clemente la consueta obbedienza baciandogli le mani — gli arcivescovi e i vescovi fecero lo stesso; se non che il papa, invece di porgere al bacio loro la destra, presentava i piedi. Orgogliosa impudenza da un lato di cui non abbiamo esempio, tranne nelle oscene cerimonie del sabato, dove la favola narra convenire le streghe a fare omaggio al demonio in forma di becco; umiliazione dall'altro della quale pur troppo occorrono ricordanze nelle storie degli uomini.
Ma torniamo all'altro, dico a Carlo di Gand. — Per tutti i santi del paradiso, ch'è questo mai? Quale strana fantasia lo ha preso? Ella è cosa da concitare a riso, non che altri, san Bartolomeo quando lo scorticavano vivo. Carlo il re della Spagna, delle Indie, di Germania, d'Italia, Carlo, adesso comparisce vestito da canonico; così è: gli significarono non potere essere consacrato imperatore dei Romani dove prima non avesse consentito ad ascriversi tra i canonici di san Pietro! Egli dubitò un momento non lo togliessero a scherno e fu per dire a monsignore Ariosto vescovo di Berutti che gliene esponeva la necessità: — Va' via marrano[83], o ti faccio precipitare dal ponte! — Ma poichè il vescovo sosteneva senza mutare sembiante quella sua bieca guardatura, povero di consiglio, stretto dal tempo, si lasciò vincere, sicchè in un punto, spogliato dei regali abbigliamenti, da una mano passando nell'altra, fu rivestito della toga, del rocetto e della mozzetta secondo il costume dei canonici. — Roma, le tue percosse, sia che il mondo offendessero o il pensiero, erano pur gravi una volta! In questo stato, non so se io mi dica più compassionevole o ridicolo, lo condussero nel tempio di San Petronio i due mentovati cardinali, ai quali se ne aggiunsero altri due, i seniori fra l'ordine dei vescovi, cioè di Santiquattro, Lorenzo dei Pucci (il quale sosteneva tutte le cose, comunque iniquissime, non disdire al pontefice[84]), e l'Anconitano. Appena ebbe posto piede nel tempio, con terribile fragore precipitò il ponte per la lunghezza di forse venti passi: la gente ammucchiata forte percosse sul terreno; alcuni ne riportarono sconce ferite, altri col sangue vi persero la vita.
Spesso mi avvenne considerare come in siffatte solennità che i principi danno ai popoli vi si mescoli dentro un mal genio e la faccia pagare a questi ultimi a prezzo di sangue, sia per ammonirli che non dovevano ridere, sia piuttosto, come credo, che la gioia la quale muove dai re non possa comparire vermiglia, se non si tinga col rosso del sangue.
I cardinali tenendo in mezzo Carlo, come fiera in guinzaglio, lo menarono a piè dei gradini della cattedra del pontefice e quivi stettero. Clemente gli abbassò uno sguardo dall'alto, e non potè reprimere un moto dei labbri in contemplando l'augusto Cesare in veste da canonico; il quale sguardo e il quale moto di labbri avendo troppo bene compreso Carlo V, sentì ribollirsi dentro l'orgoglio del sangue spagnuolo, gli occhi mandarono faville, e una idea gli traversò trucissima l'intelletto, di afferrare cioè per le gambe il pontefice, rovesciarlo dal trono, dalle chiome strappargli il triregno, ed imponendolo sopra il suo capo gridare: — Io sono il re dei re!
Ma sollevando di nuovo la faccia vide, o gli parve vedere, il sembiante del papa pieno così della divinità da lui rappresentata che sentiva sconfortarsi dentro dal rimorso quasi avesse meditato il parricidio.
Di subito lo trassero nella cappella dedicata a San Gregorio, dove lo avvolsero nell'amitto, nel camice e nella dalmatica, e sopra gli posero il manto imperiale di ricami e di gemme gravissimo; sicchè non avrebbe potuto di leggeri sostenerlo, se il conte di Nassau da tergo, i vescovi di Bari, del Palatinato, di Brescia e di Caria nel regno di Leone dai lati, non ne avessero sorretto i lembi: in questo modo abbigliato, lo fecero andare fino a mezzo del tempio, dov'è la ruota di porfido; quivi tre volte benedetto si accostò all'altare maggiore, costrutto ad immagine dell'altare di San Pietro in Roma. Genuflesso sopra aureo pulvinare, colà rimase finchè non ebbero cantate le litanie dei Santi; allora due nuovi cardinali, cioè Campeggio, primo dei preti, e Cibo, primo dei diaconi, lo condussero in un'altra cappella consacrata a San Maurizio.
Qui dal cardinale Alessandro Farnese, primo dei cardinali vescovi e decano del sacro collegio, furono rinnovate le unzioni per le coste, per le spalle e pel braccio destro coll'olio del crisma, e il vescovo di Caria lo asciugò. La quale cerimonia essendo condotta a fine, i cardinali Salviati e Ridolfi lo tolsero di nuovo e lo menarono a fare riverenza al pontefice. Questi allora scendendo dalla cattedra sublime, si accostò agli altari e diede cominciamento alla messa solenne: poichè egli ebbe ad alta voce intuonato per Cesare l'introito, Carlo si fece presso agli altari, dove abbracciò e baciò Clemente su la guancia e sul petto. Gli tennero dietro i principi commessi all'ufficio di portare le insegne dell'impero, e con varie cerimonie le depositarono sopra la santa mensa. Ciò eseguito, Cesare e i principi tornano ai seggi loro apparecchiati nel coro; imperciocchè il trono