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diavolo stai dicendo?”

      “Non capiresti” disse. “E non sono incline a spiegare”.

      Beh, accidenti…che cosa aveva dovuto affrontare negli ultimi anni? Non poteva avere più di ventun anni. In due anni si sarebbe laureata, e poi? Andava all’università? Perché lavorava come barista?

      “I miei genitori non ti avevano offerto di pagarti la retta universitaria?” domandò, la confusione era palese nelle sue parole.

      La ragazza scoppiò a ridere e poi disse con fare sprezzante, “ci sono molte altre spese oltre alla retta all’università, ragazzo ricco”.

      Sullivan venne colto alla sprovvista alle parole di lei. Da quando era così schietta? Non era sempre stata timida ed esitante nel parlare? “Ti avrebbero dato altri soldi se avessi chiesto”.

      Rispose tenendo la testa alta. “Mi piace la mia istruzione ben pagata, ma non sono un’accattona. Ho intenzione di ripagare ogni centesimo, e preferirei non indebitarmi ulteriormente”.

      Sullivan si sentì come se il proprio mondo fosse stato capovolto sotto sopra. Questa non era la ragazza che conosceva. Forse era quello il punto. Voleva un cambiamento e si era esposta per farlo. Aveva addirittura cambiato il proprio nome. Lo testò sulle proprie labbra quando lo disse a voce alta, “Lana”.

      Inarcò un sopracciglio. “Si?”

      “A che ora stacchi?”

      “In realtà, adesso” rispose. “Perché?”

      Era una cattiva idea, ma non aveva potuto fare a meno di pronunciare quelle parole. “Vieni a casa con me”. Sullivan desiderò immediatamente di rimangiarsi ciò che aveva detto, ma allo stesso tempo sperava che lei dicesse di sì.

      La vide sussultare come se le avesse dato uno schiaffo. “Non sono una delle tue bagasce”.

      Accidenti, sapeva che era stata la cosa sbagliata da dire. Non voleva questo da lei. Diamine, chi stava prendendo in giro? Lo voleva eccome. Quando aveva adocchiato il suo fondoschiena aveva immaginato di toglierle quei jeans neri lentamente ed accarezzare la sua pelle con la lingua. Sullivan voleva assaggiare ogni centimetro di lei, e voleva che lei urlasse il suo nome. Come poteva provare emozioni così contrastanti in merito ad una donna? In alcuni modi questo incontro aveva sconvolto tutto, e non poteva essere sicuro di come sarebbe andata. Non gli piaceva neanche un po’.

      Sorrise. “E non la sarai mai, cara Lana”. Sullivan si appoggiò sul bancone. “Vorrei andare in un luogo privato dove possiamo parlare. Mi piacerebbe conoscere la nuova te”. Voleva disperatamente comprenderla e scoprire che diavolo stesse succedendo in lui. Si trattava di più di lussuria, molto di più di ciò che aveva vissuto, e lo spaventava a morte.

      Lana si mordicchiò il labbro inferiore e lo fissò. Sullvian era un maschio focoso, e sì, notava quando una donna sexy omaggiava la propria bocca. Specialmente quando voleva posare le labbra su quelle di lei. Se non avesse trovato qualcos’altro su cui concentrarsi, il suo cazzo si sarebbe indurito dolorosamente.

      “No” disse finalmente. “Per quanto mi piacerebbe indulgere in questo tuo capriccio, devo studiare. Ho un esame importante domani mattina”.

      Non si era reso conto di quanto desiderasse che venisse a casa con lui fino a quando le aveva detto che non sarebbe successo. Il suo cuore affondò nel petto.

      “Forse un’altra volta” disse.

      “Ne dubito” rispose Lana. “Devo andare. Il mio ragazzo è qui”. Indicò la porta. Un ragazzo alto dai capelli biondo sabbia e le spalle squadrate si trovava all’ingresso. “Ci vediamo, Sully”.

      Si allontanò con disinvoltura da lui. Il suo bel culo rimase in bella vista tutto il tempo…accidenti. Lana Kelly l’aveva eccitato sessualmente e non era in grado di aiutarlo in merito. Chiuse gli occhi e contò fino a dieci, poi venti, eppure la sua erezione non cedette. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Doveva trovare un modo di superare quest’improvvisa attrazione verso la donna che non poteva avere. Quando aprì gli occhi aveva di fronte l’altra barista.

      “Cosa ti posso fare, tesoro?”

      “Come ti chiami, bellezza?” domandò lui. Era bionda, dai capelli mossi e sexy nel proprio modo.

      “Colleen”, rispose. Inarcò le labbra con fare seducente. “E tu come ti chiami?”

      “Sullivan”. C’era solamente una cura per ciò che lo affliggeva. “Ho bisogno di tre slippery nipples” disse, e poi alzò gli angoli della bocca in uno dei suoi sorrisi migliori. “Quattro, se ti va di unirti a noi”.

      La barista preparò i tre shot e glieli porse. “Offro io”, gli disse. “Vieni a cercarmi alla fine della serata”.

      Era un invito che lui avrebbe assolutamente accettato. Doveva fare qualcosa per dimenticare Lana, ed era disposto a rivolgersi all’altra barista. Non era sexy come Lana, nessuno sarebbe mai stato al livello di Lana, ma non aveva importanza. Il suo cuore non poteva reggere una notte con Lana Kelly. Era il tipo di donna che un uomo tiene con sé…

      CAPITOLO UNO

      Un regolare bip emesso dai monitor riempiva la stanza. Il suono costante era sufficiente per far impazzire un uomo sano. Diavolo, gli eventi delle scorse giornate avevano quasi sortito quell’effetto su Sullivan Brady. La stanza bianca era accecante nella propria intensità, e la pelle pallida di Lana quasi brillava riflettendo sulla stessa. Sopra al suo letto era stata accesa una lampada, lasciando il resto della stanza in relativa oscurità. La ragazza giaceva incosciente, ed era così da due settimane. In un coma indotto che i dottori avevano assicurato fosse necessario.

      Sullivan si avvicinò lentamente al letto. Non voleva disturbarla nonostante si rese conto che sarebbe stato impossibile. Era sedata in modo che dormisse, e nemmeno una mandria nella sua stanza l’avrebbe svegliata. A volte sperava fosse stato così. Doveva vedere i suoi occhi aprirsi, e udire la sua voce impertinente tirare fuori vecchie storie.

      Non aveva voluto allontanarsi da Lana, ma qualcun altro l’aveva fatto uscire dalla stanza. Sua madre aveva più diritto a stare accanto alla figlia, ma nessuno di loro comprendeva. Da quando Lana era stata ricoverata, lui era stato a malapena in grado di funzionare. Tutti pensavano che se ne fosse andato, ma si faceva semplicemente vedere meno quando c’era qualcuno. Non poteva fare in modo che si rendessero conto di quanto terrore aveva riempito il suo cuore quando era venuto a sapere del suo incidente d’auto. Se ci fosse stata anche una remota possibilità che lei—no, non voleva nemmeno pensarci. Lana stava bene. Si era assicurato che ricevesse le cure migliori. Se quella stronza psicopatica, Imogen Duncan, non avesse tentato di uccidere la sua stessa sorella, Jessica Sousa, non sarebbe accaduto niente di tutto ciò. Lana sarebbe stata al sicuro. Invece di essere colpita dal fuoco incrociato di una vendetta di anni prima.

      “Signor Sullivan” disse un’infermiera. “Pensavamo fosse andato a casa”.

      Scosse il capo senza guardarla. “Dovevo vederla ancora prima di andarmene”. In realtà aveva utilizzato l’ufficio che aveva acquisito quando avevano sparato a Daniella un paio di mesi prima. Aveva dormito lì quando era stato obbligato a riposare. Ci era stato anche prima quel giorno, per cercare di non pensare a Lana ed allo stato in cui versava. Qualcosa lo aveva fatto alzare e tornare alla sua stanza. Ora che si trovava lì, niente poteva allontanare il suo sguardo dall’incosciente Lana che giaceva sul letto d’ospedale. Gli si formò un nodo in gola che non sembrava andarsene. Aveva sprecato così tanto tempo ad allontanarla. Perché era stato così stolto? Se avesse potuto tornare indietro…no, pensarla in quel modo non avrebbe aiutato.

      Niente avrebbe cambiato il cammino che si erano ritrovati ad intraprendere. Anche Lana l’aveva allontanato. Avevano preso entrambi quella decisione; forse era ora di scoprire quali fossero le ragioni. Doveva esserci un modo per mettere da parte le loro differenze e scoprire se avessero avuto un futuro insieme. Tale evento era stato il campanello d’allarme che aveva fatto ragione un testardo come lui.

      “È un bene che lei sia qui” gli disse l’infermiera. “Il dottore ha deciso che è ora di svegliarla. Qualche ora fa hanno interrotto l’apporto di sostanze che la facevano restare incosciente.

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