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contenute, con carta da parati blu scuro, e grosse porte finestra. Cassie pensò che si aprissero su un portico o un giardino, ma era buio pesto, e tutto ciò che riuscì a vedere era il riflesso delle basse luci della stanza che si riflettevano sul vetro. La ragazza si ritrovò a desiderare che i mappamondi avessero un voltaggio superiore — tutte le stanze erano cupe, con ombre negli angoli.

      Una scultura catturò la sua attenzione… la base della statua di marmo era stata rotta, perciò era appoggiata a faccia in su sopra al tavolo. I suoi lineamenti sembravano vacui ed immobili, come se la pietra stesse ricoprendo il volto di una persona morta. Gli arti erano grossi e scolpiti grossolanamente. Cassie tremò, distogliendo lo sguardo da quella vista inquietante.

      “Quello è uno dei nostri pezzi di maggior valore”, la informò Margot. “Marc l'ha fatta cadere la settimana scorsa. Presto la faremo riparare”.

      Cassie pensò all'energia distruttiva del bambino e al modo in cui aveva sbattuto la spalla contro il vaso poco prima. Era stato davvero solo un incidente? O c'era un desiderio subliminale di mandare il vetro in pezzi, per farsi notare, in un mondo dove i possedimenti materiali sembravano avere la priorità?

      Mentre tornavano indietro, Margot proseguì. “Le stanze lungo quel corridoio sono tenute chiuse. La cucina è da questa parte, a destra, e oltre si trovano gli alloggi della servitù. C'è un piccolo salottino sulla sinistra, e una stanza dove ceniamo in famiglia”.

      Tornando indietro, le due donne passarono accanto ad un maggiordomo in uniforme grigia con in mano una scopa e una paletta. L’uomo si mise in disparte per farle passare, ma Margot non sembrò neanche notare la sua presenza.

      L'ala ovest era l'immagine riflessa di quella est. Enormi stanze scure con un arredamento raffinato e ricche di opere d’arte. Silenziose e vuote. Cassie ebbe un tremito, e iniziò a desiderare una chiara luce casalinga o il suono familiare della televisione, sempre che una cosa del genere esistesse in quella casa. Seguì Margot lungo la scalinata, per andare al piano superiore.

      “L'ala degli ospiti”. Tre immacolate camere da letto, con letti a baldacchino, erano separate da due grossi salotti. Le camere erano formali e pulite come stanze d'albergo, e le lenzuola sembravano essere state stirate alla perfezione.

      “E l'ala familiare”.

      Cassie si ravvivò, felice di aver finalmente raggiunto la parte della casa in cui vivevano le persone.

      “La cameretta”.

      Con sua sorpresa e confusione, si trattava di un'altra stanza vuota, in cui vi era solo una grossa culla con sponde alte.

      “E qui, le camere dei bambini. La nostra suite si trova alla fine del corridoio, girato l'angolo”.

      Tre porte chiuse una dopo l'altra. La voce di Margot si abbassò e Cassie intuì che la donna non volesse andare a trovare i bambini — neanche per dar loro la buonanotte.

      “Questa è la camera di Antoinette, questa è quella di Marc e quella più vicino alla nostra è di Ella. La tua stanza si trova di fronte a quella di Antoinette”.

      La porta della camera era aperta e due domestiche stavano preparando il letto. La stanza era enorme e gelida. Era arredata con due sedie a dondolo, un tavolo e un grosso guardaroba in legno. Le finestre erano schermate da pesanti tende rosse. La valigia di Cassie era stata posizionata ai piedi del letto.

      “Da qui potrai sentire i bambini se piangono o ti chiamano — in caso, occupati di loro, per favore. Domattina devono essere in piedi e pronti per le otto. Devono uscire, perciò scegli dei vestiti caldi”.

      “Certo, ma…”, Cassie cercò di farsi coraggio. “Potrei avere del cibo per favore? Non ho mangiato nulla da quando abbiamo cenato sull'aereo ieri sera”.

      Margot la fissò, perplessa, poi scosse la testa.

      “I bambini hanno mangiato presto perché noi dobbiamo uscire. La cucina è chiusa ora. La colazione verrà servita a partire dalle sette domattina. Riesci ad aspettare fino ad allora?”

      “Beh, credo di sì”. La ragazza si sentiva male per la fame. Il dolcetto che si trovava nella sua borsa, che doveva essere per i bambini, e perciò intoccabile, iniziò a divenire una tentazione irresistibile.

      “Devo anche mandare una email all'agenzia, per fargli sapere che sono arrivata. Posso avere la password del Wi-Fi per favore? Il mio telefono non prende qui”.

      Lo sguardo di Margot stava diventando sempre più vacuo. “Non abbiamo il Wi-Fi, e non c'è segnale. Solo una linea fissa nello studio di Pierre. Per inviare una email, devi andare in paese”.

      Senza attendere una risposta, la donna si voltò e si avviò verso la suite matrimoniale.

      Le domestiche se ne erano andate, lasciando la camera di Cassie in uno stato di gelida perfezione.

      La ragazza chiuse la porta.

      Non si era mai immaginata di poter sentire la nostalgia di casa, ma in quel momento desiderava una voce amichevole, il chiacchierio della televisione, il disordine di un frigorifero pieno. Piatti nel lavandino, giochi sul pavimento, video di YouTube che andavano sul cellulare. Il frastuono felice di una famiglia normale — la vita di cui si aspettava di poter far parte.

      Invece, la ragazza sentì di essere già invischiata in un amaro e complesso conflitto. Non poteva di certo sperare di divenire amica di quei bambini in un momento — non con le dinamiche familiari che le si erano rivelate fino a quel momento. Quel luogo era un campo di battaglia — e per quanto avrebbe potuto trovare un alleato in Ella, temeva di aver già trovato una nemica in Antoinette.

      La luce del soffitto, che stava lampeggiando già da un po', si spense. Cassie armeggiò col suo zaino, cercò il telefono, e iniziò a disfare i bagagli meglio che poteva alla luce della torcia. Poi mise il cellulare in carica nell'unica presa che riuscì a vedere, sul lato opposto della stanza, e si trascinò al buio verso il letto.

      Preoccupata, affamata e infreddolita, si mise comoda tra le fredde lenzuola e le tirò su fino al mento. Si era aspettata di sentirsi più speranzosa e positiva dopo aver conosciuto la famiglia, invece si ritrovò a dubitare di potersela cavare, e a temere ciò che sarebbe accaduto l'indomani.

      CAPITOLO QUATTRO

      La statua si trovava all'ingresso della camera di Cassie, avvolta nell'oscurità.

      I suoi occhi senza vita si aprirono e la bocca si dischiuse, mentre si avvicinava alla ragazza. Le crepe intorno alle labbra si fecero più grosse, e poi l'intero volto iniziò a disintegrarsi. Frammenti di marmo caddero e tintinnarono sul pavimento.

      “No", bisbigliò Cassie, ma si rese conto di non potersi muovere. Era intrappolata nel letto, con gli arti immobili, sebbene la mente terrorizzata la implorasse di fuggire.

      La statua si diresse verso di lei, con le braccia tese, e frammenti di pietra le caddero dagli arti. Iniziò ad urlare, emettendo un suono acuto e sottile, e mentre lo faceva, Cassie vide cosa si mostrava sotto la superficie di marmo.

      Il volto di sua sorella. Freddo, grigio, morto.

      “No, no, no!” urlò Cassie, e le sue stesse urla la svegliarono.

      La stanza era completamente buia; la ragazza si ritrovò rannicchiata in una palla tremante. Si sedette, nel panico, allungando la mano per trovare l'interruttore della luce, senza successo.

      La sua paura peggiore… quella che cercava di sopprimere durante il giorno, e che si faceva strada negli incubi. Era la paura che Jacqui fosse morta. Perché per quale altro motivo sua sorella aveva smesso improvvisamente di comunicare con lei? Perché non le aveva mandato lettere, fatto telefonate, o cercato di contattarla per anni?

      Tremando di freddo e paura, Cassie si rese conto che il suono dei frammenti di pietra del suo sogno si era trasformato nel rumore della pioggia che, trasportata dal vento, sbatteva contro i vetri delle finestre. E sopra a quello della pioggia, la ragazza udì un altro rumore. Uno dei bambini stava urlando.

      “Da

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