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si sentì confusa e disorientata. Sperava di poter accendere una luce sul comodino e avere qualche minuto per potersi calmare. Il sogno era stato così reale che si sentiva ancora intrappolata al suo interno. Ma le urla probabilmente erano cominciate mentre lei dormiva — avrebbero anche potuto essere la causa del suo incubo. C'era urgente bisogno di lei, doveva fare in fretta.

      La ragazza spostò il piumone, rendendosi conto che le finestre non erano state chiuse bene. La pioggia si era infiltrata dalla fessura e il fondo delle coperte era fradicio. Cassie scese dal letto e si addentrò nell'oscurità, attraversando la stanza nella direzione in cui sperava di trovare il suo telefono.

      Una pozza d'acqua sul pavimento aveva trasformato le piastrelle in ghiaccio. La ragazza scivolò, perdendo l’equilibrio, e atterrò sulla schiena con un grosso tonfo. Picchiò la testa contro la struttura del letto e le si offuscò la vista.

      “Maledizione", bisbigliò, sollevandosi su mani e piedi, e attendendo che il dolore e le vertigini si placassero.

      Cassie si mosse a gattoni sulle piastrelle e tastò per terra per trovare il telefono, sperando che si fosse salvato dall'allagamento. Con sollievo, si rese conto che quel lato della stanza era asciutto. Accese la torcia, cercando di sollevarsi in piedi. La testa le pulsava e la sua maglia era fradicia. Se la tolse e indossò la prima cosa che riuscì a trovare — un paio di pantaloni della tuta e una maglietta grigia. A piedi nudi, uscì di corsa dalla stanza.

      La ragazza puntò la luce della torcia contro le pareti, ma non riuscì a trovare neanche un interruttore nelle vicinanze. Con attenzione, seguì il fascio di luce in direzione delle urla, andando verso la suite dei Dubois. La camera più vicino alla loro era quella di Ella.

      Cassie bussò di fretta ed entrò.

      Grazie al cielo, c'era della luce finalmente. Nel bagliore del lampadario, la ragazza riuscì a vedere il letto singolo vicino alla finestra. Ella aveva fatto cadere le coperte coi piedi. Urlando e strillando nel sonno, stava combattendo contro i demoni del suo sogno.

      “Ella, svegliati!”

      Chiudendo la porta, Cassie corse a sedersi sul bordo del letto, afferrando con gentilezza le spalle della bimba addormentata, curve e tremanti. I capelli scuri erano arruffati e la maglietta sollevata. Ella aveva spinto il piumone ai piedi del letto — doveva avere freddo.

      “Svegliati, è tutto a posto. È solo un brutto sogno”.

      “Stanno venendo a prendermi!” Singhiozzò la bambina, sforzandosi per riuscire a sfuggire alla presa. “Stanno arrivando, aspettano fuori dalla porta!”

      Cassie la tenne stretta e cercò di farla sedere, spostando un cuscino dietro la bimba mentre le lisciava la maglietta sgualcita. Ella tremava di paura. La familiarità con cui si era riferita a “loro” portò Cassie a chiedersi se si trattasse di un incubo ricorrente. Cosa stava succedendo nella vita di Ella per far scattare un terrore tanto reale nei suoi sogni? La bimba era completamente traumatizzata, e Cassie non aveva idea di quale fosse il modo migliore per calmarla. Aveva un vago ricordo di Jacqui, sua sorella, che scuoteva una scopa contro un mobile per cacciare un mostro immaginario. Ma il terrore ha le sue radici nella realtà. Gli incubi di Cassie erano cominciati dopo che si era nascosta nel mobile durante uno degli scoppi d'ira post sbornia del padre.

      La ragazza si chiese se anche le paure di Ella avessero radici in qualcosa che le era accaduto. Avrebbe dovuto cercare di scoprirlo in un altro momento, per ora doveva convincerla del fatto che i demoni se ne fossero andati.

      “Nessuno sta venendo a prenderti. È tutto a posto. Guarda. Ci sono qui io, e le luci sono accese”.

      Ella spalancò gli occhi. Pieni di lacrime, fissarono Cassie per un momento, e poi la bimba girò la testa, concentrandosi su qualcosa alle sue spalle.

      Ancora spaventata dal proprio incubo, e per via dell'insistenza di Ella nel vedere qualcuno in particolare, Cassie si guardò velocemente intorno, col battito che accelerò allo spalancarsi della porta.

      Margot era all'ingresso, con le mani sui fianchi. Indossava una vestaglia di seta turchese e i suoi capelli biondi erano acconciati in una treccia morbida. I lineamenti perfetti erano rovinati solo da una piccola sbavatura di mascara residuo.

      La donna emanava collera, e Cassie sentì contorcersi lo stomaco.

      “Perché ci hai messo così tanto?” le urlò Margot. “Le urla di Ella ci hanno svegliato, vanno avanti da ore! Abbiamo fatto tardi ieri sera — non ti paghiamo per non riuscire a dormire!”

      Cassie la fissò, confusa dal fatto che il benessere della bambina pareva essere l'ultimo dei pensieri della donna.

      “Mi dispiace”, disse. Ella era attaccata a lei e le rendeva impossibile alzarsi in piedi per affrontare il suo datore di lavoro. “Sono venuta non appena l'ho sentita, ma si è fulminata la luce in camera, ed era completamente buio, perciò mi ci è voluto un po' per —”

      “Sì, ci hai messo troppo, e ora questo è il tuo primo avvertimento! Pierre lavora molte ore, e diventa nervoso quando i bambini lo svegliano”.

      “Ma…” con un'ondata di disprezzo, la domanda uscì dalle labbra di Cassie. “Non poteva venire da Ella se l'ha sentita piangere? È la mia prima notte, e non riuscivo a trovare nulla al buio. Farò meglio la prossima volta, lo prometto, ma, voglio dire, è sua figlia e stava avendo un incubo terribile”.

      Margot si avvicinò a Cassie, col volto teso. Per un momento lei pensò che la donna stesse per scusarsi in modo brusco, ma che sarebbero riuscite a raggiungere un qualche tipo di tregua.

      Ma si sbagliava.

      Margot allungò la mano e le tirò un forte schiaffo.

      Cassie indietreggiò urlando, cercando di trattenere le lacrime quando sentì che le urla di Ella stavano peggiorando. La guancia le bruciava per il colpo ricevuto, il bernoccolo che aveva in testa pulsava sempre più forte, e la sua mente era scossa dall'orrore dovuto alla consapevolezza che il suo nuovo datore di lavoro era violento.

      “Prima che ti assumessimo, c'era una domestica ad assolvere ai tuoi compiti. Può farlo di nuovo, abbiamo molti servitori. Questo è il tuo secondo avvertimento. Non tollero la pigrizia, o che lo staff mi contraddica. Il terzo avvertimento porterà al licenziamento immediato. Ora, fai smettere di piangere la bambina, così possiamo finalmente dormire”.

      La donna uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

      Freneticamente, Cassie strinse Ella tra le braccia, sentendo un sollievo enorme quando i singhiozzi della bambina iniziarono a placarsi.

      “Va tutto bene”, bisbigliò. “È tutto a posto, non ti preoccupare. La prossima volta farò più in fretta, troverò la strada più facilmente. Vuoi che dorma qui per il resto della notte? E possiamo lasciare la luce del comodino accesa, per essere più sicure?”

      “Sì, resta, per piacere. Puoi aiutare ad impedire che tornino”, sussurrò Ella. “E lascia la luce accesa. Non credo gli piaccia”.

      La stanza era arredata con sfumature di blu, ma la lampada sul comodino, con il suo paralume rosa, era un articolo luminoso e confortevole.

      Anche mentre consolava Ella, Cassie sentiva che avrebbe potuto vomitare, e si rese conto che le mani le tremavano violentemente. Si mise sotto le coperte, felice di poter stare al caldo, perché stava congelando.

      Come poteva continuare a lavorare per un datore di lavoro che l’aveva insultata e colpita di fronte ai bambini? Era impensabile, imperdonabile, e aveva riportato a galla troppi dei suoi ricordi personali, che era riuscita col tempo a dimenticare. Appena sveglia, l'indomani, avrebbe dovuto fare i bagagli e andarsene.

      Ma… non era ancora stata pagata; avrebbe dovuto aspettare fino alla fine del mese per avere anche solo un euro. Non poteva assolutamente permettersi la corsa in taxi verso l'aeroporto, figuriamoci le spese per cambiare il biglietto aereo.

      C'era anche il problema dei bambini.

      Come poteva lasciarli nelle mani di quella donna violenta ed imprevedibile?

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