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preoccupa quel grande spaventoso numero sotto il tuo nome?” Tommy rise come se avesse appena fatto una gran battuta. Aveva diciannove anni, era magro e ossuto, ed era tatuato su entrambe le braccia. Lui e la sua ragazza, Jo, condividevano una delle camere dell'appartamento. Nessuno dei due lavorava; i genitori di Tommy gli davano del denaro ogni mese, più che sufficiente per coprire le spese di affitto. Il resto lo spendevano in cocaina.

      Tommy pensava di essere un duro. Ma era solo un bambinetto in vacanza.

      Sara si girò lentamente. Il ragazzo, più grande, era più alto di lei di quasi 10 centimetri e a pochi centimetri di distanza la sovrastava. “Penso”, disse lentamente, che “dovresti fare un paio di passi indietro”.

      “Altrimenti?” Sorrise maliziosamente. “Mi colpirai?”

      “Certo che no. Sarebbe contro le regole”. Lei sorrise innocentemente. “Ma sai, l'altra sera ho fatto un piccolo video. Mentre tu e Jo vi facevate di cocaina sul tavolo della cucina”.

      Un lampo di paura attraversò il viso di Tommy, ma rimase fermo. “E quindi? A Needle non importa”.

      “Hai ragione. Non gli importa”. Sara abbassò la voce fino quasi a sussurrare. “Ma a Thomas Howell, Esquire, di Binder & Associates? A lui potrebbe interessare”. Inclinò la testa da un lato. “È tuo padre, non è vero?”

      “Come hai...”, Tommy scosse la testa. “Non oseresti fare una cosa del genere”.

      “Forse no. Dipende solo da te”. Gli passò accanto, dandogli una spallata. “Smetti di pisciare nel lavandino. Fa schifo”. E si diresse di sopra.

      Sara aveva lasciato la Virginia più di un anno prima, e allora era una quindicenne spaventata e ingenua. Non era passato molto più di un anno, ma era cambiata. Sull'autobus da Alexandria a Jacksonville, si era data due regole. La prima è che non avrebbe mai chiesto niente a nessuno, meno che mai a suo padre. E l'aveva sempre rispettata. Di tanto in tanto Maya l'aveva aiutata, e Sara le era grata di ciò, ma non le aveva mai chiesto niente.

      La seconda regola era che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Ne aveva passate già troppe. Aveva visto cose di cui non avrebbe mai potuto parlare. Cose che la tenevano ancora sveglia di notte. Cose che un ragazzo come Tommy non avrebbe mai potuto immaginare. Aveva superato le sue turbe adolescenziali. Aveva accettato il suo passato.

      Al piano di sopra aprì la porta della camera da letto sua e di Camilla. Era sistemata come un dormitorio, con due letti singoli alle pareti opposte e un comodino in comune. Avevano un piccolo tavolino e un armadio che condividevano. La compagna di stanza era ancora a letto e stava giocando con il telefono.

      “Ehi”, disse con uno sbadiglio mentre Sara entrava. Camilla aveva diciotto anni e per fortuna era simpatica. Era la prima amica che Sara aveva trovato in Florida e aveva garantito per lei presso il proprietario dell'appartamento. Andavano molto d'accordo. Camilla le stava anche insegnando a guidare. Le aveva insegnato come mettere il mascara e come scegliere dei vestiti che valorizzassero il suo fisico. Sara aveva imparato nuovi termini e nuove cose da lei. Era un po' come una sorella maggiore.

      Come una sorella maggiore che non ti abbandona con un uomo che non sopporti.

      “Ehi tu. Alzati dal letto, sono quasi le dieci”. Sara prese la borsa dal comodino e si assicurò di avere tutto ciò di cui aveva bisogno.

      “Ho fatto tardi ieri sera”. Camilla lavorava come cameriera e barista in un ristorante di pesce. “Ma… ehi, guarda qui”. Lei lanciò una spessa mazzetta di denaro, mance della sera prima.

      “Fantastico”, mormorò Sara. “Devo andare al lavoro”.

      “Bene. Sono libera stasera. Vuoi che ti faccia di nuovo i capelli? Si vede un po' la ricrescita”.

      “Sì, lo so, fanno schifo”, scattò Sara irritata.

      “Uh, stai calma”. Camilla si accigliò. “Cos'è che ti ha innervosita?”

      “Mi dispiace. Tommy fa lo stronzo”.

      “Dimentica quel ragazzo. Si dà delle arie”.

      “Lo so”. Sara sospirò e si strofinò la faccia. “Ok. Mi alzo”.

      “Aspetta. Sembri piuttosto in difficoltà. Vuoi una barra?”

      Sara scosse la testa. “No, va tutto bene”. Fece due passi verso la porta. “Fanculo, sì”.

      Camilla sorrise e si mise a sedere sul letto. Prese la propria borsa e tirò fuori due oggetti: una bottiglietta arancione senza etichetta e un piccolo cilindro di plastica con un tappo rosso. Tirò fuori una barra di Xanax blu dalla bottiglia, la lasciò cadere nel trita pillole e avvitò saldamente il tappo rosso. “Mano”.

      Sara tese la mano destra, con il palmo verso il basso, e Camilla fece cadere un po' di polvere tra pollice e indice. Sara si portò una mano sul viso, si tappò una narice e tirò.

      “Bravissima”. Camilla la schiaffeggiò leggermente sul sedere. “Ora esci di qui o farai tardi. Ci vediamo stasera”.

      Sara la salutò mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Sentiva in bocca il retrogusto amaro della polvere. Non ci sarebbe voluto molto prima che facesse effetto, ma sapeva che un tiro l'avrebbe fatta arrivare a malapena a metà giornata.

      Faceva ancora caldo, per essere ottobre. Ma si stava abituando a quel clima. Le piaceva che ci fosse il sole quasi tutto l'anno, e di trovarsi abbastanza vicina alla spiaggia. La sua vita non era fantastica, ma era decisamente meglio di come era due estati fa.

      Sara era appena uscita dalla porta quando il suo telefono squillò nella borsa. Sapeva già chi fosse, una delle poche persone che la chiamava di tanto in tanto.

      “Ehi”, rispose mentre camminava.

      “Ciao”. La voce di Maya sembrava calma, tesa. Sara capì subito che era arrabbiata con qualcuno. “Hai un minuto?”

      “Uh, si. Sto andando al lavoro”. Sara si guardò intorno. Non viveva in un brutto quartiere, ma il negozio dell'usato in cui lavorava non era in una bella zona. Non aveva mai avuto problemi, ma rimaneva sempre vigile e teneva la testa alta mentre camminava. Una ragazza distratta dal suo telefono era un potenziale bersaglio. “Che succede?”

      “Ehm io...”, Maya esitò. Non era solita essere scontrosa e riluttante. “Ho visto papà ieri sera”.

      Sara si fermò, ma non disse nulla. Il suo stomaco si strinse istintivamente come se si stesse preparando per un pugno all'intestino.

      “Non... non è andata bene”, Maya sospirò. “Ho urlato alcune cose, sono scappata...”

      “Perché me lo stai dicendo?” Chiese Sara.

      “Che cosa?”

      “Sai che non voglio vederlo. Non voglio sentir parlare di lui. Non voglio nemmeno pensare a lui. Perché me lo dici?”

      “Ho solo pensato che avresti voluto saperlo”.

      “No”, disse Sara con forza. “Mi spiace deluderti se pensavi di parlare con qualcuno che potesse capirti. Non sono interessata. Ho chiuso con lui. Okay?”

      “Sì”. Maya sospirò. “Penso di aver chiuso anche io con lui”.

      Sara esitò un momento. Non aveva mai sentito sua sorella così sconfitta. Ma rimase fedele alla sua posizione. “Bene. Continua con la tua vita. Come va la scuola?”

      “Va benissimo”, disse Maya. “Sono la migliore della mia classe”.

      “Non mi stupisce. Sei molto intelligente”. Sara sorrise mentre riprendeva a camminare. Ma allo stesso tempo, notò dei movimenti sul marciapiede vicino ai suoi piedi. Un'ombra la seguiva. Qualcuno stava camminando non lontano da lei.

      Stai diventando paranoica. Non era la prima volta che scambiava un pedone per un inseguitore. Era una conseguenza delle sue esperienze passate. Nonostante ciò, rallentò quando raggiunse l'incrocio successivo per attraversare

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