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disse Luke, conoscendo già la risposta.

      Kurt scosse la testa. “Non lo sappiamo. Ne dubitiamo. Mentre noi parliamo, Hezbollah sta ancora lanciando piccoli missili e razzi senza guida nel nord di Israele, dimostrando che la loro capacità di risposta persiste. Crediamo che stiano conservando i Fateh-200 per il futuro, ma che continueranno i lanci secondo un programma da loro scelto.

      “Israele biasima pubblicamente gli iraniani per aver fornito a Hezbollah i nuovi missili. In tutta probabilità, è una stima accurata. Hezbollah è un burattino dell’Iran. Trenta minuti fa Israele ha minacciato di attaccare l’Iran se un altro Fateh-200 o un missile simile viene lanciato in territorio israeliano.”

      Kurt fece una pausa. “Dieci minuti fa, l’Iran ha informato gli israeliani che controbatteranno a ogni attacco israeliano lanciando armi nucleari. Nella stessa dichiarazione, hanno indicato che qualsiasi attacco israeliano sarà ragione perché l’Iran lanci armi nucleari alla base aerea americana di Doha, nel Qatar, così come alla grande ambasciata americana di Bagdad.”

      Nella stanza scese un silenzio di morte per molti secondi. Luke, in piedi in un angolo, osservava gli sguardi sui loro volti. Molti arrossirono, come se fossero imbarazzati. Altri fissavano con occhi sgranati e le bocce leggermente aperte.

      “L’Iran non ha armi nucleari,” disse qualcuno. “Non possono averle.”

      Kurt scosse la testa. “Ogni accordo e trattato internazionale afferma che l’Iran non è uno stato con armi nucleari, e che gli è proibito diventarlo. Ma ciò non significa che non abbiano acquisito armi nucleari. Amy, dacci l’Iran, per favore.”

      Sullo schermo apparve una nuova mappa – l’Iran. La mappa diede a Luke la sensazione di affondare. C’era stato, in Iran. Non era il suo posto preferito.

      “Lo Stato Islamico dell’Iran è una teocrazia musulmana sciita. Sappiamo che covano l’ambizione di acquisire armi nucleari almeno dalla rivoluzione islamica del 1979.”

      “Ma se avessero testato un’arma nucleare,” disse Susan, “noi lo avremmo saputo.” Era la prima volta che parlava dall’inizio della riunione.

      “Bello, se fosse vero,” disse Kurt. “Ovunque nel mondo proliferano strutture di collaudo situate nelle profondità della terra – difficilissime da trovare e mappare. Sistemi avanzati di rilevamento radioattivo possono dar conto delle radiazioni rilasciate nell’atmosfera, fino a pochissime quantità. Possiamo combinare questo con la nostra capacità di misurare la forza e la direzione dei venti dominanti, e determinare con una certa accuratezza da dove proviene la radiazione. Ma quando dico con una certa accuratezza, quello che voglio dire è nel raggio di molte centinaia di miglia. Data la prossimità dell’Iran al Pakistan – noto e accettato stato con armi nucleari – è difficile individuare la fonte di una radiazione e dire con certezza che si tratta dell’Iran.”

      “Ma quei test presentano alterazioni sismiche,” disse Susan. “Praticamente sono come terremoti.”

      Kurt annuì. “Ed è questo a rendere l’Iran doppiamente gravoso. È uno dei posti più sismicamente attivi del pianeta. Lì i terremoti sono comuni, e di frequente devastanti. Il disastro più recente è occorso nel 2003, quando un terremoto di magnitudine 6.6 ha ucciso almeno ventitremila persone nella città di Bam. Ma disastro a parte, in Iran l’attività sismica è quasi costante. La monitoriamo su base quotidiana. Tendere l’orecchio in cerca di un rimbombo sotterraneo in Iran è come tendere l’orecchio in cerca delle acque che si infrangono sulla spiaggia. Succede di continuo.”

      “Cosa stai dicendo, Kurt?” disse Susan. “Dillo e basta.”

      “L’Iran potrebbe costruire e testare armi nucleari,” disse Kurt. “E noi potremmo non scoprirlo.”

      Istantaneamente, a Luke venne in mente un’idea. Era solo una, tra quelle cose. C’è una domanda, e la testa ti consegna la risposta. La risposta non ti deve piacere per forza, ma eccotela davanti.

      “Perché non ci mandiamo una squadra di infiltrazione sotto copertura?” disse. “Potrebbero entrare e scoprire se si tratta di un bluff oppure no. Se non è un bluff, scoprono l’ubicazione delle testate nucleari e chiamano un raid aereo.”

      In effetti, non aveva riflettuto bene sull’interno piano, ma una volta detto ad alta voce, riusciva a vederne la saggezza.

      “Non abbiamo le persone adatte necessarie per uno schieramento del genere,” disse un uomo in uniforme. “Ci vorrebbero settimane o persino mesi…”

      “Generale, devo dissentire,” disse Luke. “Ce le abbiamo, le persone adatte. La mia organizzazione, lo Special Response Team, è pronta.”

      CAPITOLO NOVE

      8:15 ora della costa orientale

      Ala ovest

      Casa Bianca, Washington DC

      “È un disastro,” disse Susan. “Una follia. Non ho intenzione di permetterlo.”

      Stavano riattraversando l’ala ovest dirigendosi verso lo Studio Ovale, tutti e tre – Susan, Kurt e Kat Lopez. Le scarpe di Susan e Kat ticchettavano sul marmo del pavimento. Li seguivano tre grossi uomini dei servizi segreti; due stavano davanti.

      Le doppie porte dello Studio Ovale erano poco avanti, un grande uomo dei servizi su ogni lato. Susan e il nugolo di persone attorno a lei andavano tutti velocissimi, e le pareva di venir risucchiata verso l’ufficio su di un nastro trasportatore. Si sentiva fuori controllo. Non la voleva fare, quella riunione. Un paio di mesi prima, inviare i suoi migliori agenti in una missione rischiosissima non l’avrebbe irritata tanto.

      “Susan, abbiamo un altro problema,” disse Kurt.

      “Spara.”

      “Gli israeliani non ci comunicano più la stima delle vittime, né ci tengono più aggiornati sui loro piani. Yonatan Stern è furioso. Vuole attaccare l’Iran immediatamente, e noi gli chiediamo di trattenersi. Sta già mandando in polvere il Libano del sud, ma Hezbollah sta ancora lanciando missili. Definisce questi attacchi, e la minaccia iraniana priva di una possibile risposta chiara, un’umiliazione, e biasima noi per la cosa. È pronto a cacciare dal paese il nostro ambasciatore. Vuole parlare direttamente con lei.”

      Susan scosse la testa. “Questa giornata continua a migliorare.”

      Attraversarono le porte doppie ed entrarono nello Studio Ovale.

      “Vuole che le organizzi una telefonata con lui?” disse Kat.

      Susan scrollò le spalle. “Certo. Ci parlerò. Kurt, puoi farmi stendere da qualcuno i miei appunti? Che cosa dovrei dirgli? Perché non possiamo essere tutti amici? Perché non potete preparare una torta per quelli con i missili?”

      “Ma certo,” disse Kurt, e se ne andò in un angolo dell’ufficio, già al telefono.

      Kat sparì per la soglia.

      Susan si guardò intorno nello Studio Ovale. Davanti a lei tre alte finestre, con le tende tirate, che davano sul giardino delle rose. Fuori c’era una giornata di sole di inizio inverno. C’erano molte persone nella stanza. Luke Stone sedeva su una poltrona dall’alto schienale nel salottino. Sotto ai suoi piedi c’era il sigillo del presidente degli Stati Uniti. Seduto accanto a lui c’era il grosso Haley Lawrence, il segretario della Difesa, che pareva aver preso peso – la mole maggiore in qualche modo aveva un che da grasso infantile, e rendeva un uomo di ben più di un metro e ottanta molto simile a un bambinetto.

      C’erano altri due uomini nella stanza, entrambi in piedi. Indossavano uniformi verdi dell’esercito – uomini che Susan immaginava sui cinquantacinque anni, molto in forma, con i capelli a spazzola. Potevano essere gemelli – Pincopanco e Pancopinco.

      “Signora presidente,” disse Pincopanco. Le allungò una mano. “Sono il generale Steven Perkins della Defense Intelligence Agency.”

      Lei gli fece un cenno col capo mentre la mano le

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