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Che bene che sei tornato!”. Gli si avvicinò a piè sospinto, senza rispondere all’inchino formale che il predicatore gli aveva rivolto.

      “Il Sacerdote desidera parlare con te!”.

      Preso in contropiede dall’invito, di primo acchito non sapeva che cosa rispondere. La Chiesa della Speranza contava circa duecento fratelli, cosa che la rendeva la terza per dimensione a Tarnek. Non era raro incontrare il Sacerdote Tios nell’edificio e neppure scambiare qualche parola con lui sul servizio. Tuttavia, gli incontri privati erano tutta un’altra cosa, e un predicatore qualsiasi che si fosse ritrovato in simili circostanze avrebbe difficilmente potuto sperare in bene.

      “Quando?”, domandò sconcertato Sarius. Forse in qualche modo è venuto a sapere degli eventi odierni, pensò. Se si trattava di quello, non aveva motivo di preoccuparsi. Ho agito correttamente.

      “Subito!”. Negli occhi del sovrintendente si leggeva un rimprovero. Poi, come se volesse stemperare la tensione, aggiunse in fretta: “So soltanto che è urgente”.

      “Volete annunciarmi?”.

      “Va’ da solo”, gli rispose. “Ho da fare, e non vi servirà la mia presenza”. Senza attendere altre domande, il sovrintendente gli diede una pacca sulle spalle e si avviò verso l’uscita. Il discorso era chiuso.

      Che altro devo aspettarmi da questa giornata?, si domandò Sarius, e si affrettò verso il tempio per adempiere al proprio dovere. Non c’era nessuno, i servizi si svolgevano soltanto all’alba. Per la prima volta nel suo ciclo mise piede al di là dell’altare e socchiuse la porta finemente intagliata di legno rosso. Un corridoio piuttosto lungo terminava in una scalinata. Dunque da qui si accede al Torrione Orientale, pensò. I cardini cigolarono, e il passaggio si richiuse alle sue spalle.

      Le scale in pietra erano strette, ma per tutta la loro lunghezza sporgevano dalle pareti dei corrimani in ferro. Anche se la luce delle torce era sufficiente, pensò che ci andava particolare attenzione, soprattutto durante la discesa. Tutto traspirava un’estrema ordinarietà. Non c’erano rilievi o altro che indicasse la peculiarità del posto verso cui si era incamminato. Terminata l’ascesa, si ritrovò di fronte a una porta solitaria, quasi identica a quella che si era lasciato alle spalle, con un battente eccezionalmente pesante a forma di quadruplice occhio. Lo stesso simbolo gli pendeva sul petto, lo portavano tutti coloro che avevano subordinato la propria esistenza a Dio. La superficie metallica era piacevole al tatto e lui bussò.

      “Entra”, riconobbe la voce del Sacerdote.

      L’ambiente era tanto grande quanto il diametro della torre, ma le pareti non erano abbastanza per accogliere tutti i tomi rilegati in pelle che quella tesoreria ospitava. L’eccedenza era disposta ordinatamente in pile che senza un criterio visibile spuntavano in diversi punti, in particolare intorno a un massiccio tavolo la cui parte anteriore era decorata con dettagli che non riusciva a riconoscere. Quando fece un passo sul sontuoso tappeto che ricopriva il pavimento, la morbidezza sotto i suoi stivali fu tale che per un attimo pensò di togliersi le scarpe. Stregato dal calore, si accorse della presenza del Sacerdote solo quando quegli gli rivolse nuovamente la parola.

      “Ti piace quel che vedi?”. Era stato tutto il tempo accanto al tavolo, ma Sarius non lo aveva neppure notato. Devo sembrare uno stupido.

      “È stupendo… vostra santità”. Per la forte agitazione per poco non si era dimenticato a chi si rivolgeva.

      Il Sacerdote sorrise. “Condivido la tua osservazione. Ogni kas sapiente prova venerazione di fronte alla conoscenza che ci suggeriscono i libri”. Un grande occhio di giada pendeva sopra di lui, quasi vivo alla luce delle candele che bruciavano su quattro candelabri di acciaio nero. “Avvicinati, Sarius, avvicinati senza timori”.

      Obbedì, ma non osò parlare.

      “Immagino che t’interessi sapere perché ti ho chiamato?”.

      Il predicatore chinò la testa in un cenno d’assenso. “Vostra santità, spero che siate soddisfatto del mio servizio”.

      “Più che soddisfatto. Sai, anche se non sembra, seguo con attenzione il lavoro di ognuno”.

      “Non ne ho mai dubitato”.

      Il Sacerdote sorrise. “Tu no, ma altri probabilmente sì”.

      È una domanda o un’affermazione? Sarius di solito non si faceva problemi a esprimere il proprio pensiero. Tuttavia, la situazione in cui si trovava non era ordinaria. Come se avesse percepito quel dilemma, il suo interlocutore continuò.

      “Non preoccuparti, il dubbio è cosa buona. Ci rende attenti, e se siamo attenti vuol dire che peccheremo di meno. Al giorno d’oggi l’attenzione non basta mai, concordi?”.

      “Concordo, vostra santità”.

      “Questo è bene”.

      Tios si mosse gentilmente di lato, senza distogliere lo sguardo da Sarius, e mosse la mano in direzione di un simbolo che si trovava sul muro. “Predicatore, dimmi, cosa vedi qui?”.

      “Un occhio… vedo il quadruplice occhio”.

      “L’occhio dell’Eternorisorto, simbolo del nostro Dio e della nostra fede”. Si toccò d’istinto il medaglione sul petto, come se cercasse una conferma della correttezza della risposta.

      “Esatto. Non molto fantasioso, ma esatto”. Evidentemente soddisfatto di quanto aveva sentito, si avvicinò nuovamente al suo interlocutore, allargando le braccia. “E cosa vedi qui?”.

      Sarius era confuso. Il miscuglio di tensione e di enigmi lo rendeva nervoso. L’esito di tutto ciò dipende da me?

      “Non capisco, vostra santità”.

      Sembrava che tutto ciò divertisse il kas davanti a lui. “Hai capito, predicatore. Non lasciarti tormentare dalle paure, ma rispondi così come hai risposto alla mia domanda precedente. Che cosa vedi qui, attorno a noi?”.

      “Vedo… vedo… una stanza, santità. Il vostro alloggio”.

      “E poi? Che altro?”.

      “Vedo un tavolo, vedo dei libri… dei libri sugli scaffali… sul pavimento… vedo delle pergamene sul vostro tavolo…”.

      “Altro?”.

      Sarius si guardò più liberamente attorno. “Vedo delle matite sul tavolo, due… tre, una è caduta a terra… la vostra collana cerimoniale è appesa allo schienale della sedia… laggiù accanto alla porta una pila è inclinata come se stesse per cadere…”.

      “Non è un esempio di ordine? Questa mia stanza?”, domandò il Sacerdote aggrottando la fronte.

      L’ho offeso, Sarius fu preso dall’inquietudine. Anche se avrebbe voluto esserne capace, non aveva intenzione di mentire. Andrà come deve andare, ma se è tutto un suo gioco, giocherò onestamente.

      “Non lo è, vostra santità”.

      Quel che seguì fu una risata calda e rumorosa.

      “La tua sincerità è una gioia per le mie orecchie. Penso che gli altri fratelli avrebbero accettato di farsi strappare gli arti prima di ammettere che negli alloggi personali del loro Sacerdote regna il caos. Neppure il mio sovrintendente avrebbe avuto il coraggio di farlo. Esatto, Sarius, qui attorno a noi si può vedere solo un gran disordine, ma ciò che ora vorrei che m’illustrassi, e prometto che non ti tormenterò più, è che cosa secondo te può esserne la causa”.

      Questa volta rispose senza indugi.

      “I vostri impegni. Sembra che siate sempre di fretta. Forse la mancanza di tempo per riportare le cose al proprio posto?”.

      Senza smettere di guardarsi attorno, notava sempre più dettagli. Praticamente non c’era spazio in cima al tavolo che non fosse uniformemente ricoperto di polvere, e i pochi mucchietti di quest’ultima erano ulteriormente smossi dalle cose che venivano portate e rimesse a posto. Anche le pile di libri, a differenza di quelli

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