ТОП просматриваемых книг сайта:
Castel Gavone: Storia del secolo XV. Barrili Anton Giulio
Читать онлайн.Название Castel Gavone: Storia del secolo XV
Год выпуска 0
isbn
Автор произведения Barrili Anton Giulio
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
–È già venuto;—mugghiò il Bardineto.
–Ah, ah! non si perde tempo? E sia pure e ci resti, in sua malora! Tu non mi fare il poeta; che saresti ridicolo, e chi fa ridere ha perso la causa. Ti piace la donna! tienti sull'orma e aspetta il buon punto. Chi sa? Non t'eri accorto, e forse la tua stella è già apparsa sull'orizzonte. Ma sopratutto, bada, non ti guastare il sangue, non pigliar nulla a scesa di testa; è l'essenziale. A proposito di scesa, o che, si sta qui fino a notte? Io ho fame, e tu non devi rimanere quassù, a far l'uomo salvatico. Si scende, dunque?
–No, Tommaso; non per di qua!—disse Giacomo Pico, torcendo gli occhi in atto supplichevole.
–No? Orbene, come ti pare. Largo ai canti e scendiamo alla Marina.—
Ciò detto, e per mandare i fatti di costa alla parole, il Sangonetto, che già s'era alzato da sedere, diè di piglio al suo archibugio e se lo gittò in spalla; con un colpo della palma distesa si acciaccò la berretta sul capo e, per uno di que' sentieruoli che serpeggiavano lunghesso i fianchi della montagna, s'avviò alla discesa.
Giacomo Pico si mosse dietro di lui, non rassegnato affatto, nè affatto sconsolato, bensì pieno di maltalento contro di sè, contro di tutti, pronto ad affogare la sua rabbia nel vino, come a sfogarla in una mareggiata di sangue.
Accadeva al Bardineto ciò che spesso accade a molti infelici suoi pari, che la compagnia e i conforti d'un uomo volgare mutano indirizzo al loro tormento. Sia che un intimo senso li ritenga dal commettere un alto dolore in piena balìa di chi non è nato ad intenderlo, o sia che la medesima volgarità del compagno pigli il sopravvento sulla fibra umana (già, per istinto, volgare, e non mai delicata, nè nobile, se non per eccesso, che non è naturale nell'uomo), o sia finalmente che la vostra vanità messa al punto, s'inalberi e comandi agli atti nostri una apparenza di fortezza, egli è un fatto che il dolore, almeno fino a tanto che duri quella nuova maniera di contrasto, non pure fa le viste di cedere, ma veramente si scema, o si addorme nel profondo dell'anima. Ripiglierà forse vigore, crescerà d'intensione più tardi, troverà le occasioni a romper fuori, tanto più impetuoso, quanto più è rimasto compresso ed inerte; ma tace, frattanto, e qualche volta, fra mezzo alle cento cure svariate del vivere, agli aspetti diversi delle cose, ai ragionari delle liete e noncuranti brigate, lascia libero il campo alle più discordi sensazioni, financo a quella che ci sforza di ridere. Cose che non si spiegherebbero altrimenti, senza questa mobilità somma detta umana natura.
Del resto, è anche vera un'altra cosa, ed accade agli animi deboli, che sono poi il maggior numero della figliolanza di Adamo. Ci si apre con un gentile ascoltatore, con un virtuoso consigliere, e si piange o si è sconfortati, ed è nobile sfogo che ci eleva lo spirito ad altezze o non prima vedute, o non reputate accessibili all'uomo. Si commettono i proprii dolori ad orecchio volgare; da labbro volgare si aspettano i conforti e i consigli; ma gli uni e gli altri ci affondano nel pantano dei sensi ingenerosi; crassi vapori c'involgono e ci nascondono il sereno de' cieli; il dolore, fatto ira e bestemmia, bramosia di vendetta, di mal per male, non ci affina lo spirito, lo ingombra, lo accieca, vi attossica le sacre fonti del bene.
I due amici scendevano, come si è detto, lungo la costa del monte. Giacomo Pico era taciturno e grave; ma tratto tratto scuoteva il capo e sbuffava a guisa di toro ferito. Il Sangonetto taceva del pari, e certo non facea bocca da ridere; ma chi gli fosse stato dinanzi e lo avesse veduto a dondolare il capo e ad aggrinzare di tanto in tanto le labbra, avrebbe detto che il consolatore di Giacomo Pico se la rideva dentro di sè, di quel riso tacito e profondo che fa tanto buon sangue. Gongolava, il Sangonetto; e perchè? Perchè la era finita una volta, quella cuccagna del Bardineto; perchè gli era finalmente caduto, quel superbioso, che si struggeva di salire tant'alto; perchè sprofondava nella mota comune, quel sognatore, quel pazzo, che cavalcava così alteramente le nuvole.
E non era crudele, il nostro Tommaso; non odiava già il Bardineto; che anzi lo amava, come poteva egli amare qualcuno, per consuetudine antica, e perchè non gli era venuta mai occasione di scontro. Sì, certo, gli era parso qualche volta noioso, con quel suo starsene in dimestichezza coi grandi, così felice in apparenza tra le bellezza del castello Gavone, libero di profferire i suoi omaggi a madonna Bannina, bellezza matura, o a madonna Nicolosina, bellezza nascente, o alla Gilda, bellezze di mezzo, ma più franca, secondo lui, e più attrattiva. Per altro, pensandoci su, il Bardineto non corteggiava la Gilda; era cotto, per sua disgrazia, della giovine castellana; gli era un uomo spacciato; non era da invidiarsi poi troppo. Lo amava dunque, sì lo amava; ma ora, poi, dieci cotanti di più, sapendolo giù d'ogni speranza e d'ogni superbia. Donde quel giubilo interno, quel gongolo, che gli facea dimenare il capo e aggrinzare le labbra. Anima umana!
In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.
Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.
–Cavalli!—soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.
–Cavalli, sicuro;—disse di rimando Tommaso;—e poi?
–Non hai indovinato? Son essi.
–Essi? Pronome, e nient'altro;—ripigliò il Sangonetto;—io non t'intendo.
Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.
–I cavalieri di questa mane;—aggiunse egli poscia;—il conte d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.
–Ah, ah!—sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull'orma.—Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.
–Ma! che ne so io?—rispose Giacomo Pico.—D'una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore….—aggiunse con accento di profonda amarezza.—Seguimi; or ora vedrai.
E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.
Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.
A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d'un colpo.
La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.
Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.
Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.
Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando