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c'imbattemmo in Florian. Era a cavallo e ricordai che Cecilia lo aveva paragonato a Lohengrin. Io trovai che somigliava forse più a Carlo il Temerario o a Cid el Campeador. Egli c'informò che il suo reggimento era accampato sulle sponde della Mosa in attesa d'ordini. S'aspettava da un istante all'altro d'essere mandato alla frontiera. Mentre egli ci narrava questo, il suo cavallo – un sauro magnifico – s'impennava e indietreggiava capriolando con passo di danza, come un cavallo da circo. Lui stava in sella, ritto e immobile, e mi sorrideva col sole negli occhi.

      Mi promise, che, se non lo mandavano al fronte, sarebbe venuto senza fallo il giorno 4 a farmi gli auguri. Anche se non gli concedevano che un'ora sola di congedo. Gli ricordai che infatti egli non aveva mai mancato di venire a trovarmi in quel giorno; fin dal primissimo anno che arrivai in casa di mio fratello Claudio.

      Ricordo perfettamente quel primo compleanno. Compivo – in quel lontano 4 di agosto – gli otto anni, e avevo perduto un mese prima il papà e la mamma a Namur.

      Lulù mi dice ancor oggi che in quell'epoca ero una piccola selvaggia, scontrosa e tremante nei miei vestitini da lutto; piangevo sempre e avevo paura di tutto e di tutti.

      Ebbene, in quel giorno del mio ottavo compleanno, poichè non facevo che piangere e singhiozzare, mio fratello Claudio ebbe l'idea di mandare a prendere Florian, ch'è suo figlioccio, pregandolo di provarsi a fare amicizia con me. Ricordo, come oggi, Florian al suo entrare in questa camera – proprio qui, in questa camera d'ingresso dove ora sto scrivendo. – Mi par di rivederlo, un ragazzo quattordicenne, alto, coi capelli ricci e gli occhi di un azzurro d'acciaio; mi sembra che assomigliasse un poco ad Andrea; ma più in bello!

      Era ciò che Lulù chiama: «un petit type très-crâne.»

      «Bonjour,» mi diss'egli nella sua voce chiara e risoluta. «Io mi chiamo Florian. Detesto le ragazze.» Mi parve strano che mi dicesse questo, e smisi di piangere per dare in una risatina. «Già,» continuò Florian guardandomi con aria di disapprovazione, «le ragazze – o stanno sempre a piagnucolare, o allora ridono come tante oche.»

      Io cessai subito di ridere; e smisi poi anche di piagnucolare per non essere detestata da Florian.

      .... Questi ricordi mi passavano per la mente oggi mentre lo guardavo; egli si chinava verso Luisa e le parlava a bassa voce, mentre il suo cavallo continuava a fare il passage, roteando e capriolando da una parte all'altra della strada.

      Sì, egli somigliava davvero a un Charles le Téméraire molto giovane; od anche a quel cavaliere della leggenda che andò a svegliare la «Belle au Bois dormant»…

—–

      3 Agosto. – Siamo molto felici! Abbiamo saputo che Amour è salvo. Si trova in custodia del capo-stazione di Marche, e il nostro piccolo amico Andrea andrà domattina prestissimo a prenderlo. Andrea ci fa osservare che l'andare a cercare i cani smarriti non è precisamente un servizio militare; ma soggiunge che è dovere di ragazzo esploratore il soddisfare i desideri d'ogni dama che richieda il suo aiuto. Quindi anche il rintracciare le loro bestie favorite non è cosa indegna di un boy-scout. Ha anzi soggiunto che per questa impresa porterà i colori di Mirella; ed essa, molto lusingata, gli ha legato intorno al braccio il nastro rosa un po' sgualcito che porta in fondo alla treccia.

      Abbiamo invitate Lucilla, Jeannette, Cecilia e Cricri a venire da noi domani sera. Non sarà una vera festa come l'anno scorso perchè tutto è antipatico e disagevole a cagione dei tedeschi che si comportano così male. Per quanto neutrali si sia, non si può a meno d'essere disgustati di loro.

      Credo che anche Frida si vergognasse oggi a tavola, quando Lulù lesse ad alta voce ciò che la Germania ha osato di fare. Figurarsi che i tedeschi si sono permessi di mandare una nota al nostro re proponendo – nientemeno! – ch'egli li lasciasse passare attraverso al nostro paese per arrivare alla Francia! Che insolenza!

      Naturalmente il re ha risposto: – No! —

      Siamo tutti usciti questo pomeriggio per recarci al piazzale della chiesa ad acclamare il nostro adorato sovrano. E' venuto Andrea a dirci che tutta Bomal vi accorreva; difatti è stata una bellissima dimostrazione. Eravamo tutti entusiasti. Il Borgomastro fece un gran discorso, poi cantammo la Brabançonne; ed infine Monsieur le Curé invocò la benedizione del cielo sul nostro paese e sul nostro re.

      Tutti sventolavano i fazzoletti e c'era anche chi piangeva. Era accorso tutto il paese – non mancava nessuno. Solo Frida non volle venire con noi; si tappò in casa vergognandosi, certo, di essere tedesca. C'era anche Fritz; anzi Marietta osservò ch'egli era veramente l'unico giovinetto rimasto in Bomal. E' vero. Tutti gli altri o sono stati chiamati al servizio militare o sono partiti volontari. La piazza oggi era gremita di ragazze, di bambini e di gente molto vecchia.

      Confesso che mi fa piacere il fatto che Fritz appartenga a noi. Avere un uomo in casa – come diceva bene l'altro giorno Lulù – vi dà un certo senso di sicurezza. Gliene riparlai oggi mentre tornavamo a casa; ma Lulù scosse nervosamente il capo. Pareva agitata e inquieta. «Ma Chérie!» disse stringendomi convulsamente il braccio, «non ti sei accorta come Fritz è cambiato? Dacchè Claudio è partito egli non si comporta più da domestico; non viene mai a chiedere i miei ordini; e ier l'altro a Roche-à-Frêne pareva un pazzo. – E pareva pazza anche Frida,» continuò Lulù, guardandosi attorno con gli occhi spauriti. «Non so, non so… vorrei che Claudio tornasse!»

      E' un fatto che c'è qualche cosa di strano nel contegno di Fritz. Questa sera, per esempio, quando ci portò il giornale rimase lì a guardarci mentre l'aprivamo. Aveva un fare insolente e le mani in tasca.

      Io lessi forte dal giornale: «I tedeschi entrano nel granducato di Lussemburgo e s'impossessano delle linee ferroviarie…» All'esclamazione costernata di Lulù alzai gli occhi, e allora scorsi Fritz che ci fissava con un risolino strano. Sotto ai nostri sguardi stupiti egli si tolse le mani di tasca; ma continuò a guardarci fisso.

      «Questa è una notizia spaventosa,» mormorò Lulù.

      Fritz disse: «Sissignora,» e aveva sempre sul volto quel suo strano sorriso di coniglio.

      Vi fu un istante di silenzio: poi Lulù sospirò tra sè e sè: «Chi l'avrebbe mai detto?… Dieci giorni fa nessuno pensava alla guerra…»

      «Oh!» fece Fritz. «La signora si sbaglia. C'era – c'era chi ci pensava.»

      «Da dieci giorni…» balbettò Lulù.

      «No. Da dieci anni!» rispose Fritz, con un sinistro balenìo negli occhi.

      Seguì un nuovo silenzio. Indi Lulù domandò con voce-un po' tremante: «Vi disse qualche cosa il padrone l'altra notte quando l'accompagnaste alla stazione?… Lo lasciaste nel treno, non è vero?»

      «Sissignora,» rispose Fritz, secco.

      «E che cosa vi disse?» ridomandò Luisa.

      Fritz attese un gran pezzo prima di rispondere. Poi crollò le spalle. «Ne disse tante di cose.»

      «Ditemele!» ordinò Luisa. «Ripetetemi le sue precise parole.»

      Fritz si rimise le mani in tasca e si appoggiò in atteggiamento insolente allo stipite della porta. «Mi disse: – Fritz, tu sei un servitore devoto e fedele! —» Ancora gli balenò sul volto quello strano sorriso.

      «Già…» mormorò Luisa impallidendo un poco.

      «Mi disse: « – Lascio qui tutto ciò che ho di più caro – mia moglie, mia figlia, mia sorella....»

      «Sì…» ansò Luisa.

      «Mi disse» – e Fritz alzò la voce – «difendile, Fritz, se vengono quelle belve. – Già. Ha proprio detto così: quelle belve! – Quelle belve!» egli ripetè forte e pareva volesse fulminarci cogli occhi.

      Lulù divenne bianca come un lino, ed anch'io mi sentii venir freddo.

      In quel mentre era entrata saltarellando la piccola Mirella, e udì le ultime parole di Fritz.

      «Ma di che belve parlate?» chiese lei, un poco impressionata.

      Fritz si rivolse alla piccina e la fissò con uno sguardo terribile.

      «Di belve feroci!» disse

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