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la porta. Luisa sentì d'improvviso come una gran pietra caderle sul cuore.

      «Florian! dimmi… che cosa è accaduto? Vi sono notizie peggiori?»

      «Le peggiori possibili,» disse il giovane. Indi i suoi occhi stupiti errarono sopra la graziosa figuretta che gli stava di fronte. «Si può sapere perchè siete vestita così?» Il volto gli si contrasse in un sorriso d'amara ironia. «Cosa c'è? Un ballo?»

      «Ma no, Florian…» balbettò Luisa. «Ma sai pure che è la festa di Chérie…»

      «Sur le pont d'Avignon

      «On y danse, on y danse....

      cantavano di sopra le voci giovanili.

      Florian si coprì gli occhi. «Mio Dio,» mormorò… «Quanta incoscienza! E come faccio io a lasciarvi – come faccio?» Indi alzando lo sguardo vide gli occhi spauriti di Luisa che lo fissavano, e le prese la mano.

      «Marraine,» disse. «Voi sarete coraggiosa – non è vero? E' meglio che io vi dica come stanno le cose.»

      «Sì, Florian,» disse Luisa tenendo gli occhi fissi su di lui mentre il colore le spariva a poco a poco dal volto, lasciandolo di un pallore latteo.

      «Ebbene – il paese è invaso ad ogni punto. Vi è già stato uno scontro a Verviers.»

      «A Verviers!» gridò Luisa.

      «Sì. E a Fleuron!»

      Vi fu un silenzio.

      Quindi Luisa domandò, quasi afona: «Che cosa… che cosa accadrà? Cosa significa questo per il nostro paese?»

      «Significa rovina e strazio,» mormorò Florian a denti stretti. «Significa violenza, strage e devastazione.»

      Luisa fu presa da un tremito convulso e si lasciò cadere su una seggiola. Florian girò su e giù per la stanza. «Teniamo ancora Visé,» mormorò soffermandosi. «Lo teniamo contro Von Emmich e le sue jene infernali!… E quando non potremo più tenerlo faremo saltare il ponte della Mosa.»

      Luisa ebbe un singulto; poi alzò gli occhi – i grandi occhi che parevano macchie d'inchiostro nella faccia scolorita. «Florian! Credi – credi possibile che.... costoro vengano qui?»

      «Tutto è possibile,» gemette Florian, «sì, sì! Anche questo è possibile.» E guardando la fragile figura davanti a sè e pensandola qui sola con Chérie e Mirella, uno spàsimo gli attraversò il viso.

      «Ma tu resterai con noi!» esclamò Luisa, e il suo sguardo si appoggiò sulla gagliarda figura e sul maschio volto del giovane. «Quanto tempo potrai restar qui?»

      Florian dette in un'amara risata. «Quaranta minuti,» disse. E vi fu un nuovo tragico silenzio.

      Finalmente Florian si scosse. «Che ne è di quell'Olandese – quel domestico fidato di Claudio? Dov'è?»

      «Fritz?» esclamò Luisa, tremando. E subito gli narrò la scena avvenuta la sera prima, ed anche gli impressionanti eventi della gita a Roche-à-Frêne.

      Florian l'ascoltò con viso fosco, stringendo i pugni. Quindi riprese a camminare in su e in giù per la stanza. «Basta,» disse finalmente con voce rauca. «Per gli errori passati non c'è rimedio.» Poi si fermò davanti a Luisa. «Avete promesso d'essere coraggiosa. Adesso ascoltate ciò che vi dico – ed obbeditemi.»

      Le diede istruzioni brevi e precise. Raccogliessero subito le poche cose di maggior valore che possedevano e lasciassero Bomal la mattina seguente alla prim'ora. Si recassero a Bruxelles, per la via di Marche e Namur – non per la via di Liegi. «Rammentatevi!» ripetè Florian, «non dovete passare per Liegi.» Nel caso che non vi fossero treni, dovevano noleggiare una carrozza o un carro – qualsiasi veicolo potessero trovare; e se non potevano trovar nulla andassero a piedi fino a Huy e di là a Namur come meglio potevano.

      «Avete capito?»

      Sì, Luisa aveva capito.

      «E perchè non partire adesso – questa sera stessa?» suggerì Florian. «Potreste arrivare a Tervagne stanotte, se attraversate i boschi....»

      «Stanotte!… Attraversare i boschi!…»

      Luisa parve così terrorizzata a quelle parole ch'egli non osò insistere. D'altra parte, egli riflettè, potrebbe darsi che anche i boschi, stanotte, fossero già percorsi da drappelli di Ulani. No; meglio partire all'alba. Alle tre o le quattro del mattino.

      «E' inteso?»

      Sì; era inteso.

      «E....» chiese la tremante Luisa, «che cosa faremo di Frida?»

      «Non ve ne fidate!» esclamò Florian. «Tuttavia conducetela con voi se vuol venire. Se no, lasciatela stare. – Oh! e tenete chiuse le porte! Tutte le porte. Chiuse a chiave e a catenaccio.»

      «Sì.» Luisa tremava da capo a piedi come una foglia al soffio della bufera.

      «Avete denaro?»

      Sì, sì, ne avevano del denaro.

      «Sta bene. E adesso,» disse Florian – l'orologio al suo polso l'avvertiva che venti dei quaranta minuti erano già passati – «adesso voglio parlare con Chérie.»

      «Vado a chiamarla,» disse Luisa, e si mosse trepidante. Quando fu alla porta si volse e l'interrogò cogli occhi smarriti. «Che cosa devo dire a quelle bimbe?… Devo avvisarle del pericolo che ci sovrasta?»

      «Subito – ma subito!» gridò Florian; «e mandatele a casa immediatamente.»

      «Mio Dio! Mio Dio! Pietà di noi!» singhiozzò Luisa. «E Mirella – cosa farà? Avrà paura – piangerà…»

      «Ma no, ma no. La piccola Mirella è coraggiosa più di noi,» disse Florian. Poi, come Luisa singhiozzava ancora andò da lei e le mise il braccio attorno alle esili spalle. «Su! coraggio, mia piccola madrina,» e si piegò sopra di lei con tenerezza fraterna a baciarle la guancia pallida.

      Luisa, singhiozzando, uscì.

      Florian rimase solo per pochi istanti. Udì che il canto di sopra si arrestò improvvisamente. Indi dei passi rapidi e leggeri scesero correndo le scale. La porta s'aprì e Chérie apparve sul limitare.

      Florian indietreggiò, e gli si fermò il respiro. Ma come! Questa visione d'incanto, questa pura bellezza nei bianchi, ondeggianti drappeggi – era Chérie? la sua piccola amica Chérie? Ma come, come mai si era essa così trasformata dalla bambinetta scontrosa ch'egli aveva sempre conosciuta, in questa eterea beltà floreale?… Chérie ben s'avvide della sua meraviglia, e ristette ferma sulla soglia; timida, si velava le lattee spalle con una sciarpa vaporosa che le fluttuava intorno e le dava come un'aria di volo. I suoi limpidi occhi erano levati a lui larghi di azzurra e divina innocenza.

      Un brivido scosse l'uomo che la guardava – un brivido di presciente orrore. Non erano già vicine le orde nemiche, briache di sangue e di ferocia? Non stavano già aprendosi con violenza la via verso questo fiore verginale? Ed egli doveva lasciarla! lasciarla, sola, alla mercè della loro brutalità? Di nuovo il brivido terribile lo scosse; mentre quei limpidi occhi ingenui lo fissavano, sorridenti.

      «Chérie!» diss'egli con voce rauca. «Chérie!» La trasse a sè, le alzò il viso delicato e guardò profondamente dentro l'azzurra meraviglia dei suoi occhi.

      Essa non parlò; nè ebbero un battito le sue ciglia. Offerse allo sguardo di lui tutta la trasparente profondità della sua anima. Ed egli ripetè ancora quella sola parola: «Chérie!…»

      I quaranta minuti erano passati. Vi fu un affrettato congedarsi, un'ultima agitata parola di avvertimento e monito; poi con un tintinnio di speroni Florian era corso giù per le scale e s'era slanciato in sella.

      Girò la testa del cavallo, che s'impennava, verso il Nord, e levò lo sguardo alle finestre.

      Sì, erano tutte là a fargli cenno d'addio! Tutte vicine, le teste bionde e le brune; gli occhi ceruli e gli occhi neri lo seguivano....

      «Ricordatevi,» gridò ancora Florian a Luisa, «ricordatevi – dovete partire domattina all'alba! Domattina

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