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dei letterati non sono premiate dai Re; e se son mille i bizzarri cervelli che ad esse corrono dietro, pochi non sono i sapienti che fanno argine alla corrente e sono custodi del bello e del vero. Pago del suffragio di questi, io non farò conto della disapprovazione di quelli; ed esaminando liberamente il romanzo storico del Manzoni, mi studierò di provare ch'ei pecca d'invenzione, di condotta, di caratteri, di stile; e che paragonandolo a quelli del Walter Scott, gli è l'istesso che scoprire agli stranieri le nostre miserie… Peggior epoca della storia milanese non poteva egli scegliere per base del suo romanzo: l'epoca della dominazione spagnuola, in cui due nazioni, anche straniere, entravano in guerra per contendersi un piccolo principato. Spento era il valore, morta ogni idea generosa, e la fame e la peste desolavano queste infelici contrade. Ditemi ora, o lettori, qual sarà il soggetto di un romanzo, che si raggira intorno a tal epoca? Quali saranno le imprese dei Milanesi, perchè il romanzo è intitolato Storia Milanese? O, per tacer delle imprese della nazione, quali almeno saranno i fatti di un qualcheduno fra i Milanesi, quali le vicende di lui, o vere, o immaginarie, che si colleghino colle vicende pubbliche, e formino insieme un compiuto e commovente quadro dei tempi? Quali saranno gli eroi? Forse l'ambizioso Governator di Milano promotore della guerra che si accende in Italia? Forse il coraggioso Duca di Nevers, che difende animosamente i diritti della sua casa? Forse il Marchese Spinola, che viene a correggere gli errori del Cordova? Forse gli oppugnatori o i difensori di Casale, di Vercelli e di Torino, Spagnuoli o Francesi che sieno, Alemanni o Italiani, poichè tali sono gli eroi e le vicende di quell'epoca? Nè un solo di cotesti personaggi è l'eroe del romanzo, nè una sola di siffatte vicende forma il soggetto dell'istoria scoperta e rifatta dal Manzoni. Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due poveri lavoratori del contado di Como, sono gli eroi per cui dobbiamo interessarci; se si sposeranno, o no, è l'importante vicenda che tener deve gli animi nostri sospesi… Eccovi, o lettori, tutto il tessuto di questa istoria milanese rifatta: e s'ella è cosa che meriti il nome di storia, giudicatelo voi… Ditemi, per vostra fede, il soggetto è egli interessante? Due contadini, che per prepotenza di un nobile e per dappocaggine di un curato non si possono sposare, sono essi gli eroi da collegare degnamente ad un'epoca storica qualunque ella sia? E questa epoca storica vi par ella bene svolta e presentata nel suo più bel punto di vista? E che cosa avete imparato dalle vicende dei vostri maggiori, per cui possiate gloriarvi, o almeno intenerirvi e piangere con quel generoso sentimento che ispirano le nobili sventure? Gentiluomini scapestrati o sciagurati, popolo avvilito o affamato, peste fomentata per ignavia dei dominatori e per ignoranza dei dominati! Dov'è un sentimento generoso, un nobile affetto, una grande passione? Dov'è un eroe su cui riposino con compiacenza i vostri occhi affaticati dallo schifo spettacolo che avete dinanzi? Dove un grand'uomo, che comparisca qual faro nella notte di quest'epoca tenebrosa? Il solo cardinal Borromeo, personaggio episodico, è l'unica figura che spicca in certo qual modo in questo quadro disgustoso. Ma se l'A. voleva introdurre il cardinal Borromeo, perchè confinarlo in un villaggio ad affaticarsi intorno a cose di sì lieve momento? E un uomo di tanta autorità non poteva essere posto in situazione più degna di lui? E i vizi dei tempi non gli presentavano più vasto campo ove luminose apparissero le sue virtù? È bensì vero che ei divide il suo pane cogli affamati, che si adopera ad allontanare il flagello della peste, che si mostra pieno di cristiana carità: ma tutto ciò è raccontato per incidenza, e in nulla coopera all'andamento dell'azione, alla sostanza del soggetto. E dove pure ciò fosse, il cardinal Borromeo era egli un personaggio da romanzo?».

      Il Pezzi nella Gazzetta di Milano pigliò le difese del Manzoni, scrivendo, tra le altre cose: «Il voler nei romanzi restringere l'importanza dei principali personaggi alle sole classi elevate, sarebbe lo stesso che stendere un piede alla catena quando si può esser liberi. Con un tal principio infinità di romanzi bellissimi avrebbero avuto l'ostracismo. Ci ha grandezza d'animo, virtù luminose, importanza in tutte le condizioni. E quanto più l'umiltà di alcune è posta in conflitto colla baldanza d'alcune altre, tanto maggiore è quell'effetto drammatico che debbe essere lo scopo delle opere destinate a commuovere. Che la storia sia combinata colla finzione e questa con quella, in guisa che l'una non possa stare senza dell'altra, il prova l'opera del Manzoni; per riguardo alla quale anzi non esitiamo a dire che la finzione è talmente fusa nella storia, che non si saprebbe scernere l'una dall'altra. Infatti, da questa fusione appunto, a cui l'autore volse i maggiori suoi studi, deriva l'interessamento che desta la lettura d'un romanzo, che, a parer nostro, veste tutti i caratteri della verità. In quanto al modo, nessuno potrà negarlo alle venture dei Promessi Sposi, poichè dal cominciamento allo sviluppo, la condotta, piana e regolare, s'unisce naturalmente a episodi senza incontrare ostacoli. In quanto allo scopo, esso è semplicissimo, perchè morale, nè sapremmo al certo indicarne un migliore. In fine, che l'azione conservi una tal quale unità e che gli episodi siano connessi all'azione in modo di concorrere all'andamento di essa, è provato del pari nell'opera del Manzoni con questo argomento: tolga la Vespa un solo degli episodi importanti dall'opera stessa e ne vedrà l'orditura scompaginata in modo da non potersene raccapezzare il filo. Se la Vespa voleva di botto veramente dar nel segno col pungolo, l'opera presentavale un lato vulnerabile in alcune prolissità, in certe minutezze ed in parecchie locuzioni non lodevoli; le quali cose, quantunque possano riguardarsi come lievi macchie in molta luce, sarebbero da sopprimere, o da emendare»42.

      Il Romani, che non era uomo da perdersi ne' panni, non ci si perse, e così prese a ribattere le critiche: «Sapete voi, o lettori, che si è risposto finora? —L'edizione fu esaurita in pochi giorni. – Lo so anch'io. —Moltissimi leggitori, che non furono in tempo di procurarsela, la chiesero a prestito. – Questi furono i più fortunati. —Molti altri, per averne gli esemplari, li pagarono il doppio e il triplo. – E i più sfortunati furono questi. —Per tacere dei Fogli italiani, quelli dell'estero ne fanno gli elogi. – Pesateli bene. —Se ne preparano nuove edizioni, traduzioni, incisioni, pitture, ecc. ecc.– Se ne son fatte per libri peggiori di questo. – L'autore è festeggiato in patria e fuori. – Davvero che ci ho gusto. – Ma lo smercio, le edizioni, le lodi dei giornali, le feste degli amici e le mense reali43, e mille altre vie di farsi largo in letteratura, come provano che il soggetto dei Promessi Sposi sia interessante? – E la pubblica opinione la conti tu per niente, direte voi? – Alle volte molto, alle volte poco, dirò io. Non ho forse udito, in Italia, fischiare ad una tragedia dell'Alfieri ed applaudire a Santa Margherita da Cortona? Preferire al Tasso i Lombardi alla prima crociata? Vilipendere il Chiabrera ed altri sommi poeti ed encomiare le Melodie liriche? Nausearsi delle tragedie dell'Alfieri e dilettarsi perfino di Ser Gianni Caracciolo?44. —Che il soggetto dei Promessi Sposi sia interessante, lo prova la spontanea universal confessione di quanti lo lessero in buona fede, di non averne potuto sospendere la lettura che a malincuore, e con impazienza di riprenderla. – Gli è giusto a cotesti lettori di buona fede ch'io cerco aprir gli occhi, e ch'io grido: Signori miei, non è tutto oro quel che luce: non badate all'apparenza, esaminate la sostanza»45.

      Il Romani, benchè scrivesse in fine al terzo de' suoi articoli: «sarà continuato», non proseguì; tanta e così generale fu l'indignazione che si levò contro di lui, da ridurlo al silenzio. Con rabbia feroce aveva dilaniato i Lombardi alla prima crociata del Grossi; questa nuova rabbia contro il romanzo del Manzoni era la seconda di cambio. Gli fu detto basta, e intese.

      Chi passò il segno anche più del Romani nel malmenare i Promessi Sposi fu l'ab. Giuseppe Salvagnoli Marchetti di Empoli46; e il «sunto» che ne fece merita d'essere dissepolto. «Bel modo in vero d'istruire le donne! Empir loro la testa di stravaganze, di sciocchezze, di fatti e di passioni fuori del naturale, che invece d'insegnarti il vero e di dilettarti col bello, col buono, ti traggono la mente all'errore e il cuore al disordinamento delle passioni, insomma alla follia. Che utile verrà mai alle donne, se in uno stile bislacco e pieno zeppo di similitudini sconce, e che in nulla tengono al paragone; di metafore ardite e stravaganti; di parole non italiane, e proprie di un cattivo dialetto; di frasi, composte d'idee e di parole fra sè contrarie; che utile, io dico, ne verrà mai alle donne, se, fra tanta sozzurra, tu mostrerai a colori vivissimi un parroco, che tradisce per paura il suo alto ministero; un signorotto,

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Gazzetta di Milano del 15 ottobre 1827.

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Da una lettera di Giovanni Pagni (il noto Farinello Semoli delle baruffe del Monti con la Crusca) al marchese Gian Giacomo Trivulzio, scritta da Firenze il 5 ottobre 1827, tolgo questo brano: «Ha passato in Toscana, tra Livorno e Firenze, una cinquantina di giorni il celebre Manzoni, decoro di questa capitale. Non può credere quanto sia stato onorato e distinto dalla maggior parte dei letterati e dei nobili più culti, che si son dati la premura di conoscerlo e di ammirarne il carattere. S. A. R. [il Granduca Leopoldo II] lo ha invitato alla sua mensa, trattenendosi molto con esso lui ed ha voluto mostrargli in persona la preziosa ricchissima sua biblioteca. Io ho avuto il piacere di far compagnia alla sua famiglia, che avevo conosciuta a Milano, e che, dotata di morali virtù, è degna di tanto padre di famiglia».

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È un'allusione al Sergianni Caracciolo, dramma storico del prof. G. B. De Cristoforis, Milano, 1826; in-8º. del quale parlò il Tommaseo nell'Antologia, n. LXIX, settembre 1826, pp. 104-111. Alle Melodie liriche di Samuele Biava di Bergamo dette «gran lode» il Cantù nel Ricoglitore. Invece la Biblioteca italiana «tolse a provare che poteano mostrarsi ai giovani come agli Spartani l'ilota ubriaco. Il colpo era diretto a sbalzarlo d'impiego: ma uscì una risposta, forte sino alla violenza, e segnata C. C., dove era difeso il Biava e investito il suo avversario. Fu atto generoso, perchè quell'avversario avea in mano i processi e potea mandarlo allo Spielberg; onde va data lode al difensore, che era Carlo Cattaneo». Cfr. Cantù C., Italiani illustri ritratti; III, 79.

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La Vespa, ann. I [1827], pp. 17-20, 38-43 e 96-103.

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Nacque l'8 settembre del 1799; involto nelle cospirazioni del '21, «negò denunziare i compagni ed ebbe da Ferdinando III, Granduca di Toscana, per carcere un convento di frati in paese ameno, di dove lo trasse a Roma lo zio monsignore [Giovanni] Marchetti, dotto uomo, ma più illiberale del Principe lorenese, che fu ben lieto dell'esser libero da quel prigione». Cfr. Tommaseo N., Di Giampietro Vieusseux e dell'andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, memorie, Firenze, 1863; p. 44. «Passati gli anni successivi in privati impieghi, non però alieni da' cari studi, in Rimini e indi a Roma, appena tornato a Empoli nel settembre del '29, fu sorpreso da febbri violente, che si volsero in tisi, e il 16 decembre tolto a' viventi». Così il Montani [Antologia, n.º 108, decembre 1829, pp. 96-97], che aggiunge: «Ei meditava, dicesi, un'opera storica; e forse per consacrarvisi avea rifiutata la sopraintendenza agli studi nel Seminario di S. Marino, offertagli dal celebre Borghesi a nome de' magistrati di quella Repubblica… Ultimo scritto di lui, e soggetto d'ancor recenti, nè punto blande censure, fu quello sugl'Inni del Manzoni. Io tremava, lo confesso, al pensiero che queste censure potessero, nello stato in cui egli trovavasi, pervenire al suo orecchio… Innamorato delle forme classiche, siccome quegli che dall'adolescenza fu sempre co' latini e co' greci, e co' nostri che meglio li imitarono, ove gli parve di trovar meno di queste forme, gli parve trovar meno di poesia. Così, trattandosi di teorie (veggasi la maggior parte de' suoi articoli dell'Arcadico) ove gli parve di trovar discrepanza da' principii de' classici, gli parve di trovare opposizione assoluta da' principii dei gusto».

Appunto nell'Arcadico [xxxvi; 305] discorrendo della versione delle Odi di Pindaro fatta da Giuseppe Borghi prese a mordere «la miserabile e bislacca e torta foggia di metri regalataci con tante altre cose non poetiche e non italiane da Alessandro Manzoni». Il Borghi, in una lettera a Gaetano Cioni, stampata nell'Antologia [n.º 87, marzo 1828, pp. 166-167], sorse a difesa del Poeta; ma l'iroso critico, duro più che mai in quel suo giudizio, diede fuori lo scritto: Intorno gl'Inni sacri di Alessandro Manzoni dubbi di Giuseppe Salvagnoli Marchetti, Roma 1829. Presso la Libreria Moderna, Via del Corso n.º 348 [In Macerata, presso Benedetto di Antonio Cortesi]; in-16.º di pp. xxiv-112. A questi «biasimi da pedante», come li chiama il Tommaseo, l'Arcadico [XLII, 131] applaudì di gran cuore. La Biblioteca italiana [tom. 55, luglio 1829, pp. 1-20], pur non menandogli buone tutte quante le censure, concluse: «Il parlare di originalità, di nuova scuola, d'ingegno divino, di culto, è un sostituire l'entusiasmo alla ragione, un traviare il giudizio dei giovani e dar nascimento a quelle tante poesie che il Manzoni non vorrebbe al certo aver fatte e nemmanco approvate, e non di meno si credono manzoniane». Enrico Mayer, peraltro, nell'Antologia [n.º 104, agosto 1829, pp. 92-99] prese «a difendere» (son parole del Tommaseo) «non tanto il nome dell'Italiano poeta, quanto l'onore d'Italia», e «lo difese con alto sentimento dell'arte e con facondia cordiale». Videro pure la luce le Osservazioni di un giovane italiano sui Dubbi del signor Giuseppe Salvagnoli Marchetti intorno agli Inni sacri di Alessandro Manzoni, Reggio, tip. Toreggiani e comp., mdcccxxx; in-16.º di pp. 230. Sono di Luigi Fratti, che, sebbene pregato dalla modestia del Poeta a «mettere da banda» il lavoro, per consiglio del P. Bottini gesuita, lo diede alle stampe. Cfr. intorno a questa controversia: Gambini Carlo, Richiamo di alcune verità manifestate nel 1829 dal Salvagnoli sugli Inni sacri del Manzoni, Milano, tip. Galli e Raimondi, [1882]; in-16.º di pp. 12. —Intorno gl'Inni sacri di Alessandro Manzoni dubbi di Giuseppe Salvagnoli Marchetti, ristampati con aggiunte, in forma di dialogo, fatte da Federico Balsimelli, Bologna, tipografia pont. Mareggiani, 1882; in-16.º di pp. 360.