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disse Federigo, potrebbe ora dunque esser leggiero il ritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocente, se potesse sposarvi, che mutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro che una serie di sventure ad ambedue, e non è questa una ragione per separarvi. Questo non è il momento di pigliare una risoluzione. Sospendete, fate ricerche, aspettate che Iddio vi riveli più chiaramente la sua volontà. L'asilo87 intanto ve lo troverò io.

      Lucia fu tentata più d'una volta di rivelare il voto, ma una vergogna insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che non sarebbe partito da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosa per lei; e dopo qualche altra parola di consolazione e di avviso la lasciò partire con Agnese88.

      XIII.

      Visita del Conte del Sagrato a Lucia

      Abbiamo detto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quella chiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto con lui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzo, e poi ripartiva. Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno, che fu cagione di farlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia doveva tornare alla sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questo, anzi gliene aveva chiesto consiglio: perchè, dove si trattava di pericolo e di cautela, di bravi e di tiranni, non v'era uomo più al caso di dare un buon consiglio89: e il Conte aveva confortato il Cardinale ad installare pure sicuramente Lucia nel suo pacifico albergo. Prevedendo egli dunque che quel giorno Lucia si sarebbe trovata dal Cardinale, non vi si presentò all'ora consueta, ma stette nella chiesa, aspettando l'ora in cui il Cardinale era solito di desinare, e quando questa gli parve dover esser giunta, entrò nella cucina, dove Perpetua stava in grandi faccende, e le chiese, con umile affabilità, di potere ivi trattenersi ad attendere che il pranzo fosse finito, per chiedere udienza a Monsignore. Chi entra in una cucina in un giorno di cerimonie è sempre il mal venuto; ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderia e una recente di santità, che imposero anche a Perpetua, la quale, per levarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnese, propose al Conte d'entrare nella sala del pranzo. – Si faccia avanti, diss'ella, sulla mia parola: Monsignore la vedrà molto volentieri; e anche il mio padrone e tutta la compagnia: non faccia cerimonie.

      Ma il Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto. Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina, nel banco sotto la cappa del cammino, dicendo: Vossignoria starà come potrà: veramente avrebbe fatto meglio d'entrare coi signori, che quello è il suo posto: basta, com'ella vuole: mi scusi se non posso fare il mio dovere a tenerle compagnia, perchè oggi ho tante faccende: ella vede. Il Conte sedette, ringraziò, e cavato un tozzo di pane90, che aveva portato con sè, si diede a mangiare. Quando Perpetua vide questo, non lo volle patire. – Come? un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia questo torto alla mia cucina. Ecco, si serva, mangi di questo: e lasci fare a me per mandare in tavola il piatto senza un segno: non faccia complimenti: che serve? – E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si avvicinò all'orecchio e gli disse a bassa voce: – Via, signor Conte; che scrupoli son questi? so quello che posso fare; la padrona sono io qui. – Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a rodere ostinatamente il suo pane.

      Quando poi da quello che accadeva in cucina s'avvide che erano cessati i cibi e levate le mense, fece chiedere udienza a Federigo, dal quale fu tosto fatto introdurre.

      – Monsignore, diss'egli, quando gli fu in presenza, questo è un giorno di festa singolare per questo paese e per voi: ma in questa allegrezza comune, io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri; il gaudio puro e sgombro della liberazione d'una innocente non è per colui che l'aveva vilmente oppressa, angariata. A me conviene dunque un contegno e un linguaggio particolare; lasciate che io faccia oggi la mia parte; approvate che io vada ad implorare un perdono da quella innocente, ch'io mi umilj dinanzi a lei, che le confessi il mio orribile torto, e che riceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri, che non saranno certo condegni alla mia iniquità, ma che serviranno in parte ad espiarla.

      Federigo intese con gioja questa proposizione; e pel Conte, a cui questo passo sarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello stesso tempo; e per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza umiliata volontariamente, sarebbe un conforto, un rincoramento dopo tanti terrori; e pel trionfo della pietà, e per l'edificazione dei buoni; e finalmente perchè una riparazione pubblica e clamorosa attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo91, sarebbe una più aperta manifestazione del soccorso che Dio le aveva dato, la renderebbe come sacra, e così più sicura da ogni nuovo attentato dello sciaurato suo persecutore. Approvò egli dunque con vive e liete parole la proposizione e aggiunse: – Dite: dite se l'offesa la più ardentemente bramata, la più lungamente meditata, la meglio riuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontaria riparazione?

      – Ah! la dolcezza sarebbe intera, rispose il Conte, se la riparazione potesse esserlo, se il pentimento, se l'espiazione la più operosa, la più laboriosa potesse fare che il male non fosse fatto, che i dolori non fossero stati sentiti.

      – Ma v'è ben Quegli, rispose Federigo, che può far di più; che può cavare il bene dal male, dare pei dolori sofferti il centuplo di gioja, fargli benedire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui e con Lui quel poco che v'è concesso di fare, Egli farà il resto: Egli farà che del male passato non resti a quella poveretta che un argomento di riconoscenza e di speranza, e a voi di una afflizione umile e salutare92.

      Detto questo, il Cardinale chiamò il curato, e gli impose che facesse avvisare Lucia del disegno del Conte, e le dicesse ch'egli stesso la pregava di accoglierlo. Partito il curato, Federigo richiese il Conte che aspettasse tanto che Lucia potesse essere avvertita.

      Dopo qualche momento il Conte uscì dalla casa di Don Abbondio e s'avviò a quella di Lucia tra una folla di spettatori, fra i quali era già corsa la notizia di ciò che si preparava.

      La forza, che spontanea, non vinta, non strascinata, non minacciata, si abbassa dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza debole un potere, e domanda grazia da essa, è un fenomeno tanto bello e tanto raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua vita. Quei buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non si saziavano di guardare il Conte, lo seguivano, lo circondavano in tumulto, lo colmavano di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia: per tarda ch'ella sia, innamora sempre quando è volontaria: quelli che dopo aver fatti patir gli uomini si vendicano dell'odio loro, che gli tormenta, col fargli patire ancor più, non pensano che quell'odio è pronto a cangiarsi in favore, in riconoscenza, al momento che una risoluzione pietosa, un ravvedimento, anche senza confessione, faccia cessare i patimenti.

      Il Conte camminava ad occhi bassi e col volto infiammato, tutto compunto e tutto esaltato, che poteva sembrare un re condotto in catene al trionfo, o il capitano trionfatore, e Don Abbondio camminava al suo fianco e pareva… Don Abbondio.

      Giunti alla casetta di Lucia, il curato fece entrare il Conte, e con ambe le mani ritenne la folla, o almeno le comandò che si rattenesse, tanto che potè chiuder l'uscio, e lasciarla al di fuori.

      Lucia, tutta vergognosa, condotta dalla madre, si fece incontro al Conte, il quale, trattenendosi vicino alla porte, nell'atteggiamento di un colpevole, le disse con voce sommessa: Perdono: io son quello che v'ha offesa, tormentata: ho messe le mani sopra di voi, vilmente, a tradimento, senza pietà, senza un pretesto, perchè era un iniquo: ho sentito le vostre preghiere, e le ho rifiutate: ho veduto le vostre lagrime, e son partito da voi senza esaudirvi. Vi ho fatta tremare che voi m'aveste offeso, perchè era più forte di voi e scellerato. Perdonatemi quel viaggio, perdonatemi quel colloquio, perdonatemi quella notte; perdonatemi, se potete.

      – S'io le perdono! rispose Lucia. Dio s'è servito di lei per salvarmi. Io ero nelle unghie di chi mi voleva perdere, e ne sono uscita col suo ajuto. Dal momento ch'ella m'è comparsa innanzi, che io ho potuto parlarle, ho cominciato a sperare; sentiva in cuore qualche cosa che mi diceva ch'ella mi avrebbe fatto del bene. Così Dio mi perdoni, come io le perdono.

      – Brava

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<p>87</p>

Un asilo, caro Alessandro, pare che il Cardinale voglia metterla in monastero a fare il noviziato. [Postilla del Visconti].

<p>88</p>

È un brano del capitolo IV del tomo III. (Ed.)

<p>89</p>

Il consiglio chiesto dal Cardinale mi piace, ma assai. Rialza in un modo inaspettato il Conte dopo la sua conversione, lo rende sempre più vivo. Ma bada bene: che il Cardinale aveva ordinato la lettiga subito dopo aver parlato coi preti, e l'ultimo consiglio dev'essere quello del Conte, come il più di peso. Non ti spiacerebbe di soggiungere in quel luogo dopo le parole: Quando ebbe questa certezza, nella quale fu riconfermato dall'opinione d'un altro personaggio, di cui lasceremo per ora che il lettore indovini il nome, Federigo ordinò, ecc.? [Postilla del Visconti].

<p>90</p>

Tozzo di pane mi pare troppo da pitocco, direi un pane. [Postilla del Visconti].

<p>91</p>

Lascerei e sul suo pericolo, che imbroglia; pare che fosse attualmente in qualche pericolo per parte di Rodrigo. [Postilla del Visconti].

<p>92</p>

Di fianco alla presente risposta di Federigo e alle parole del Conte: Ah! la dolcezza, ecc. il Visconti scrisse: «Lascerei questi due punti: non bisogna poi essere prodigo dì riflessioni ascetiche in un Romanzo. Anche per l'edificazione de' lettori – non ridere tu, sebbene io rida di me stesso – è meglio presentare più che si può con disinvoltura le idee Cristiane». (Ed.)