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dei littori. Fece S. Cirillo levare il corpo d'Ammonio e trasportarlo solennemente in processione alla cattedrale: fu cangiato il suo nome in quello di Taumasio ossia Mirabile. Se ne ornò la tomba coi simboli del martirio, e il patriarca ascese il pergamo per celebrare la magnanimità d'un sicario e d'un ribelle. Onori di tal fatta dovettero di leggieri infiammare i Cristiani a combattere ed a morire sotto le bandiere del Santo; e S. Cirillo32 volle ben tosto, o accettò il sagrifizio d'una vergine che professava la religione dei Greci, e avea legami d'amicizia con Oreste. Ipazia, figlia del matematico Teone33 era dotta nelle scienze coltivate dal padre; i suoi bei commentari hanno rischiarata la geometria d'Apollonio e di Diofante, ed ella pubblicamente in Atene ed in Alessandria insegnava la filosofia di Platone e d'Aristotele. Congiungendo a tutta la freschezza dell'avvenenza, la maturità della sapienza, era ritrosa alle preghiere degli amanti, e si contentava d'istruire i suoi discepoli. Era corteggiata continuamente dalle persone per grado e per merito le più illustri, e S. Cirillo scorgeva con occhio di gelosia il pomposo codazzo di schiavi e di cavalli che attorniava la porta dell'Accademia di quella giovine. Si divulgò tra i Cristiani la voce, che il solo ostacolo alla riconciliazione del Prefetto e dell'Arcivescovo fosse la figlia di Teone, e quest'ostacolo fu ben presto levato. In uno dei santi giorni di quaresima, Ipazia, tornando a casa, fu svelta a forza dal suo carro, spogliata degli abiti, trascinata alla chiesa, e trucidata da Pietro il Lettore, e da una turba di spietati fanatici; fu tagliuzzato il suo corpo colle scaglie di ostrica34, e abbandonate alle fiamme le sue membra ancor palpitanti. Con denari sparsi a tempo fu impedita l'informazione giuridica incominciata su questo delitto; ma l'assassinio d'Ipazia ha posto una macchia indelebile al carattere ed alla religione di S. Cirillo Alessandrino3536.

      A. D. 428

      Più facilmente la superstizione perdonerà forse l'assassinio d'una giovanetta, che l'esilio d'un Santo. Avea S. Cirillo accompagnato il suo zio all'odioso Sinodo della Quercia. Quando fu rimessa in onore, e consacrata la memoria di S. Grisostomo, il nepote di Teofilo, che presedeva una fazion moribonda, s'ostinò ad asserire che giusta era stata la condanna di quel prelato; e solamente dopo lunga dilazione, e una pertinace resistenza, si sottomise in fine al decreto della Chiesa cattolica37. Non per passione, ma per interesse egli si mostrava il nemico dei Pontefici di Bizanzio38. Invidiava la fortuna che avevano di brillare fra il grande splendore della Corte imperiale; ne temeva l'ambizione potente ad opprimere i metropolitani dell'Europa e dell'Asia, a soperchiare le province d'Alessandria e d'Antiochia, ed a portare le loro diocesi ai confini dell'Impero. La costante moderazion d'Attico, il quale faceva uso assai mite della dignità usurpata a San Grisostomo, sospese l'animosità dei Patriarchi dell'Oriente. Ma San Cirillo fu desto alla per fine dalla esaltazion d'un rivale più degno della sua stima e dell'odio suo. Dopo il breve e procelloso pontificato di Sisinnio, l'elezione dell'Imperatore il qual in tal circostanza consultò l'opinion pubblica, e gli nominò per successore uno straniero, attutò le fazioni del clero e del popolo, e concedette il principe l'arcivescovado della sua capitale a Nestorio39, nativo di Germanicia e monaco d'Antiochia, ragguardevole per l'austerità della vita, e l'eloquenza de' suoi sermoni; ma la prima volta che predicò al cospetto del pio Teodosio lasciò trapelare l'acrimonia e l'impazienza del suo zelo. «O Cesare, esclamò, dammi la Terra monda di Eretici, e io ti darò in cambio il regno del Cielo. Estermina con me gli Eretici, ed io con te esterminerò i persiani.» Nel quinto giorno del suo pontificato, quasi fosse stata sottoscritta anche dall'Imperatore questa convenzione, il Patriarca scoperse, sorprese ed assalì una segreta combricola d'Ariani, i quali vollero piuttosto morire che cedere. Le fiamme, ch'essi accesero per disperazione, passarono alle case vicine, e il trionfo di Nestorio fu disonorato dal soprannome d'Incendiario. Impose egli sulle due rive dell'Elesponto un rigoroso formolario di fede e di disciplina, e punì come una colpa contro la Chiesa e lo Stato uno sbaglio cronologico sulla festa di Pasqua. Purificò la Lidia e la Caria, Sardi e Mileto, col sangue degli ostinati Quarto-decimani, e l'editto dell'Imperatore, o più veramente del Patriarca, indica sotto ventitrè denominazioni diverse ventitrè gradi d'eresia tutti degni di punizione40. La spada della persecuzione maneggiata con tanta violenza da Nestorio si ritorse ben presto a suo danno; ma se si presta fede ad un Santo, allora vivente, fu l'ambizione il vero fomite delle guerre episcopali, e la religione solamente il pretesto41.

      A. D. 429-431

      Imparato avea Nestorio nella scuola di Siria a detestare la mescolanza delle due Nature, e sapea separare bravamente l'umanità del Cristo, suo padrone, dalla divinità di Gesù, suo Signore42. Rispettava la Santa Vergine come la Madre del Cristo, ma erano ferite le sue orecchie dal recente e inconsiderato titolo di Madre di Dio43, ammesso insensibilmente dopo l'origine della controversia di Ario. Un amico del patriarca, e poi il patriarca esso stesso, dall'alto della cattedra di Costantinopoli in più riprese predicarono contro l'uso e l'abuso d'una parola44 ignota45 agli Apostoli, non approvata46 dalla Chiesa, atta a spaventare i fedeli timorati, a traviare i semplici, a divertire i profani, a giustificare, con una somiglianza apparente, la genealogia degli Dei dell'Olimpo47. Nelle sue ore di calma confessava Nestorio, che tollerarla si poteva e scusarla per l'union delle due Nature, e la communicazione delle proprietà loro48. Ma poi adontato dalla contraddizione, si condusse a rigettare il culto d'un Dio neonato; d'una Divinità infante, a ricavare dalle associazioni coniugali e civili dell'umana vita le similitudini imperfette, di cui si valeva per dichiarare le sue opinioni, ed a rappresentare l'Umanità del Cristo, come l'abito, lo strumento, ed il tempio della sua Divinità. Al primo suono di queste bestemmie si scossero le colonne del santuario. Quei pochi che avean veduto a terra le loro speranze per l'esaltazion di Nestorio, s'abbandonarono all'astio ispirato nel lor cuore dalla religione, o dall'invidia; il Clero di Bizanzio vedea di mal occhio uno straniero che lo dominava; tutto ciò che porta l'impronta della superstizione, o dell'assurdo ha diritto alla protezione dei Monaci, e il popolo era infervorato per la gloria della Santa Vergine, sua protettrice49. Da sediziosi schiamazzi furono interrotte le prediche dell'Arcivescovo, e gli offici divini; in congreghe particolari fu abiurata l'autorità e la dottrina di lui; in breve propagò il soffio delle fazioni da tutti i lati sino alla estremità dell'impero il contagio della controversia, e dall'arena fragorosa su cui s'agitavano i combattenti; rintronò la lor voce entro le celle della Palestina, e dell'Egitto. Era debito di San Cirillo l'illuminare lo zelo e l'ignoranza dei monaci innumerevoli alla sua episcopale autorità sottoposti: dalla scuola d'Alessandria gli era stato insegnata l'incarnazione d'una Natura, ed egli l'aveva ammessa; ma armandosi contro un secondo Ario, che più terribile e più reo del primo occupava il secondo trono della Gerarchia ecclesiastica, il successore di San Atanasio, non prese consiglio che dall'orgoglio, e dall'ambizione. Dopo un carteggio non lungo, in cui palliarono i Prelati rivali il loro rancore sotto il perfido linguaggio del rispetto e della carità, il Patriarca d'Alessandria denunziò al principe ed al popolo, all'Oriente e all'Occidente, i colpevoli errori del Prelato di Bizanzio. I vescovi d'Oriente, e particolarmente quello d'Antiochia, che favoreggiava la causa di Nestorio, consigliarono alle due Sette moderazione e silenzio; ma il Vaticano ricevè a braccia aperte i deputati dell'Egitto. Si compiacque Celestino d'esserne eletto giudice; e l'infedele versione d'un monaco fermò l'opinione del Papa, il quale, al pari del suo clero Latino, non conosceva nè la lingua, nè le arti, nè la teologia dei Greci. Presiedendo un Concilio di Vescovi italiani, esaminò Celestino gli argomenti di San Cirillo, ne approvò il Simbolo, e dannò la persona e le opinioni di Nestorio. Privò quest'Eretico della dignità episcopale, assegnogli dieci giorni per ritrattarsi e dimostrare pentimento, e di questo decreto Скачать книгу


<p>32</p>

S. Cirillo non può dirsi esente de' difetti come scrittore, e come Patriarca d'Alessandria; aveva uno spirito così sottile nelle controversie, ed era tanto facondo, che spesse volte non s'intende ciò ch'egli scrisse. Non può negarsi essere egli stato altiero, ed impetuoso specialmente nella sua controversia con Nestorio Patriarca eretico di Costantinopoli, e Capo dei Vescovi, preti, e secolari detti da lui Nestoriani, de' quali un picciolo resto trovasi ancora in qualche provincia d'Europa, ed in qualche borgata della Persia, e dell'Armenia, malgrado le persecuzioni de' Cattolici; ma S. Cirillo sosteneva la retta dottrina intorno a Gesù Cristo; perciò il suo procedere per giungere al suo fine, che il Concilio d'Efeso I condannasse Nestorio, che negava la Divinità di Cristo colla distinzione delle persone divina ed umana, asserendo che Maria aveva partorito Cristo Uomo, e non Cristo Dio, cioè la persona umana, e non la persona divina, devesi chiamare non ambizioso, ed impetuoso, ma zelante dell'Ortodossia, secondo il sano linguaggio de' teologi; altrimenti la maggior parte dei sostenitori di essa diventano uomini impetuosi, ed ambiziosi. Non può negarsi aver S. Cirillo posto mano francamente nelle cose civili, e governative d'Alessandria, onde ne vennero i forti risentimenti di Oreste governatore per l'Imperatore romano, ed avvenne il fatto terribile dei Monaci di Nitria; ma non consta che la morte lagrimevole, d'Ipazia, tanto celebrata dagli storici per il suo sapere, ed accusata di avere attraversato la riconciliazione fra Oreste, e Cirillo, possa a questo essere attribuita: quel fatto orribile, che tolse dalla cattedra una dottissima donna, è avvenuto per la furia dei due partiti di Oreste, e di Cirillo, che non avrà neppur esso potuto impedire il male. Bisogna dimenticarsi quei difetti, che poteva avere Cirillo a cagione della sua animosa difesa della Ortodossia, e devesi considerare da ogni buon credente, per essere stato fatto Santo dalla chiesa, pienamente da ogni colpa giustificato. (Nota di N. N.)

<p>33</p>

Vedi intorno a Teone, e sua figlia Ipazia, il Fabricio (Bibl., t. VIII, p. 210, 211). Il suo articolo nel Lessico di Suida è assai curioso e originale. Esichio (Meursii opera, t. VII. p. 295, 296) nota che quella figlia fu perseguitata δια την υπερβαλλουσαν σοφιαν, per l'eminente sapienza: ed un epigramma dell'antologia greca (l. I, c. 76, p. 159, edit. Brodaei) ne vanta il sapere e l'eloquenza. Il vescovo filosofo Sinesio, suo amico e discepolo, ne parla in modo onorevole (Epist. 10, 15, 16, 33, 80, 124, 135, 153).

<p>34</p>

Οςρακοις ανειλον, και μεληδον διασωπασαντες, etc. ne straziarono le carni con cocci d'ostriche, e scerpandone a brani le membra, ec. Le scaglie d'ostriche erano sparse abbondevolmente sulle rive del mare rimpetto a Cesarea. Piacemi adunque di attenermi qui al senso letterale, senza rifiutar la version metaforica di tegolae, tegole, seguìta dal Sig. de Valois; non so, se Ipazia fosse ancor viva, ed è probabile che gli assassini non si pigliassero pensiero di questo.

<p>35</p>

Da Socrate (l. VII, c. 13, 14, 15) son raccontate sì belle geste di S. Cirillo, ed è obbligato il fanatismo, tuttochè con ripugnanza, a copiare le parole d'uno storico, il quale chiama freddamente i sicari d'Ipazia ανδρες το φρονημα ενθερμοι uomini caldi di testa. Noto con piacere, che quel nome tanto vilipeso fa arrossire lo stesso Baronio (A. D. 415, n. 48).

<p>36</p>

Quand'anche per supposizione avesse avuto colpa S. Cirillo della morte orribile della povera Ipazia, non essendo la religione cristiana per sua essenza sanguinaria, come evidentemente consta dall'Evangelo, non le verrebbe alcuna macchia per la colpa di S. Cirillo, e se non è provato, che questi ne abbia avuto, e quindi fu egli fatto Santo, molto meno può dirsi, che la religione sia macchiata pel massacro d'Ipazia. (Nota di N. N.)

<p>37</p>

Non volle ascoltare le preghiere d'Attico di Costantinopoli, e d'Isidoro di Pelusio; e se si crede a Niceforo (l. XIV c. 18) cedette soltanto all'interposizion della Vergine. Negli ultimi anni per altro andava pur susurrando che Gian Grisostomo era stato giustamente condannato (Tillemont, Mém. ecclés. t. XIV, p. 278-282; Baronio, Annal. eccles. A. D. 412, n. 46-64).

<p>38</p>

Vedi le particolarità intorno ai loro caratteri nella Storia di Socrate (l. VII, c. 25-28), e intorno alla loro autorità e alle pretensioni, nella voluminosa compilazione del Tomassino (Discipl. de l'Eglise, t. I, p. 80-91)

<p>39</p>

Racconta Socrate la Storia del suo avvenimento alla sede episcopale di Costantinopoli, e ne descrive le azioni (l. VII, c. 29-31), e sembra che Marcellino gli adatti le parole di Sallustio, loquentiae satis, sapientiae parum.

<p>40</p>

Cod. Theod., l. XVI, tit. 5, leg. 65, cogli schiarimenti del Baronio (A. D. 428, n. 25, etc.); Gotofredo (ad locum), e Pagi (Critica, t. II, p. 208).

<p>41</p>

S. Isidoro di Pelusio (l. IV, epist. 57). Le sue espressioni sono energiche o scandalose: τι θανμαζεις ει και νυν περι πραγμα θειον και λογου κρειττον διαφωνειν προσποιουντ αι υπο φιλαρχιας εκβαυχευομενοι, perchè ti maravigli se anche adesso preferiscono di disputare sulle cose divine e sul miglior senso delle parole, accesi dalla smania di dominare. Isidoro è un Santo, ma non fu mai vescovo; e sono tentato a credere che l'orgoglio di Diogene si ponesse sotto i piedi l'orgoglio di Platone.

<p>42</p>

La Croze (Christianisme des Indes, t. I, pag. 44-53, Thesaur. epist. t. III, p. 276-480) ha scoperto l'uso delle parole ὁ δεσποτης e ὁ κυριας Іησους, il padrone e il Signore Gesù, le quali nel quarto, quinto e sesto secolo distinsero la scuola di Diodoro di Tarso da quella dei suoi discepoli Nestoriani.

<p>43</p>

Θεοτοκος, Deipara, come, nella zoologia si dice degli animali ovipari o vivipari. Non è facile il decidere in quale epoca s'inventasse quella parola che La Croze (Christian. des Indes, t. I, p. 16) attribuisce ad Eusebio di Cesarea, ed agli Ariani. S. Cirillo e Petavio arrecano testimonianze ortodosse (Dogmat. theolog. t. V, c. 15, p. 254 etc.); ma si può contrastare sulla veracità di S. Cirillo; e l'epiteto θεοτοκος facilmente ha potuto dal margine passar nel testo d'un manuscritto cattolico.

<p>44</p>

Basnagio nella sua storia della Chiesa, opera di controversia. (t. I, p. 505) giustifica la Madre di Dio pel sangue (Atti, XX, 28, colle varie lezioni di Mill); ma i manoscritti greci son ben altro che concordi; e l'espression primitiva del sangue del Cristo si è conservata nella version siriaca, anche nelle copie di cui si valgono, i Cristiani di S. Tommaso sulla costa del Malabar (La Croze, Christian. des Indes, t. 1, p. 347). La gelosia fra i Nestoriani e Monofisiti ha mantenuta la purezza del loro testo.

<p>45</p>

Il Credo, disteso nel Concilio generale II di Costantinopoli l'anno 381 ha l'espressione natus ex Maria Virgine, e ciò è lo stesso, che Deipara cioè partoriente Dio, o Madre di Dio; ed avendo prima il Concilio generale I di Nicea l'anno 325 fissato definitivamente contro gli Ariani essere Gesù Cristo della stessa sostanza del Padre, consubstantialem, cioè essere Dio, ne viene che al tempo, cioè l'anno 429-431, del Patriarca di Costantinopoli Nestorio, che negò fermamente essere Maria Madre di Dio, ed affermò essere essa soltanto Madre di Gesù Cristo uomo, era già stata sanzionata e autorizzata dalla Chiesa, cioè dal Concilio ortodosso generale II di Costantinopoli, l'espressione Madre di Dio. Nestorio poi fu condannato, deposto, ed esiliato dal Concilio generale III, e d'Efeso I l'anno 431, la quale condanna, deposizione, ed esilio con zelo promosse, e sollecitò l'altro Patriarca d'Alessandria S. Cirillo mentovato di sopra. (Nota di N. N.)

<p>46</p>

Se, come abbiamo veduto in altra nota, S. Pietro riconobbe la divinità di Gesù Cristo affermandolo figlio di Dio, e se l'Evangelo dice che Gesù Cristo è nato da Maria non per opera d'uomo, ma dello Spirito Santo, ne viene la chiara conseguenza, che S. Pietro, e gli altri Apostoli con lui, abbiano riconosciuto Maria per Madre di Dio, essendo seguita l'incarnazione della divina Natura, sebben l'identiche parole Madre di Dio, non sian nell'Evangelo. (Nota di N. N.)

<p>47</p>

Di già i Pagani dell'Egitto si facean beffe della nuova Cibele[*] dei Cristiani (Isidoro, l. I, epist. 54). Si formò in nome d'Ipazia una lettera che volgeva in ridicolo la teologia del suo assassino (Synodicon, c. 216, nel quarto t. concil. p. 484). All'articolo Nestorio, Bayle espone sul culto della Vergine Maria qualche massima d'una filosofia alquanto rilassata.

* Sarà vero che i Pagani si burlassero di Maria Vergine Madre di Dio; erano Pagani, cioè Politeisti, e perciò non è maraviglia; ma che ha a fare Cibele, di cui vedesi la leggenda in tutti i Dizionari di Mitologia, Deità dei Politeisti e dei poeti, con Maria Vergine Madre di Dio? Queste due idee sono affatto incompatibili, ed il farne l'associazione è un assurdo del pari indegno, che insussistente. (Nota di N. N.)

<p>48</p>

L'αντιδοσις dei Greci, vale a dire un prestito, od una traslazione reciproca degli idiomi, o delle proprietà d'una natura all'altra, dell'infedeltà all'uomo, della passibilità a Dio ec. Petavio pone dodici regole su questa materia sommamente delicata (Dogmat. theolog., t. V, l. IV, c. 14, 15, p. 209, etc.).

<p>49</p>

Vedi Ducange, C. P. Christiana, l. I, p. 30 etc.