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Si sostenne il sacro carattere de' Vescovi dalle temporali loro sostanze; essi ottennero un riguardevole posto nelle adunanze legislative, composte di soldati e di uomini liberi; ed era loro interesse, non meno che dovere, l'ammolire con pacifici consigli lo spirito fiero de' Barbari. La corrispondenza continua del Clero latino; i frequenti pellegrinaggi a Roma e in Gerusalemme, e l'autorità crescente dei Papi assodaron l'unione della Repubblica cristiana; ed a grado a grado produssero quegli uniformi costumi, e quella comune Giurisprudenza, che hanno distinto le indipendenti, ed anche ostili nazioni dell'Europa moderna dal resto dell'uman genere.

      Ma fu impedito e ritardato l'effetto di tali cause dal disgraziato accidente, che versò un mortal veleno dalla coppa della salute. Di qualunque sorta si fossero gli antichi sentimenti d'Ulfila, si formarono le sue relazioni coll'Impero e con la Chiesa nel tempo che regnava l'Arrianismo. L'Apostolo de' Goti sottoscrisse il simbolo di Rimini, professò liberamente, e forse con sincerità, che il Figlio non era uguale, o consustanziale al Padre83; comunicò questi errori al Clero ed al Popolo; ed infettò i Barbari con un'eresia84 che il Gran Teodosio condannò ed estinse fra' Romani. L'indole, e l'intelligenza de' nuovi proseliti non era capace di metafisiche sottigliezze; ma essi vigorosamente conservarono ciò, che piamente avevano ricevuto, come pure e genuine regole del Cristianesimo. Il vantaggio di predicare, e di spiegar la Scrittura in lingua teutonica, promosse le apostoliche fatiche d'Ulfila e de' suoi successori; ed essi ordinarono un competente numero di Vescovi e di Preti, per istruire le cognate tribù. Gli Ostrogoti, i Borgognoni, gli Svevi ed i Vandali, che avevano ascoltata l'eloquenza del Clero latino85, preferirono le lezioni più intelligibili de' domestici loro predicatori; e fu adottato l'Arrianismo come la fede nazionale de' convertiti guerrieri, che si stabilirono sulle rovine dell'Impero occidentale. Questa irreconciliabile differenza di religione fu una perpetua sorgente di gelosia e d'odio; e la taccia di Barbaro fu sempre più amareggiata dal più odioso epiteto d'eretico. Gli Eroi del Norte, che si erano sottoposti con qualche ripugnanza a credere, che tutti i loro maggiori fossero all'inferno86, restaron sorpresi, ed inaspriti al sentire, ch'essi medesimi non avevan fatto, che mutare la maniera dell'eterna lor dannazione. Invece del dolce applauso, che i Principi Cristiani sono avvezzi ad attendere da' loro fedeli Prelati, i Vescovi ortodossi, ed il loro Clero erano in opposizione con le Corti Arriane; e l'indiscreta lor opposizione spesso diveniva rea, e poteva talvolta esser pericolosa87. Il pulpito, quel sicuro e sacro istrumento di sedizione, risuonava de' nomi di Faraone, e d'Oloferne88; la mal contentezza pubblica era infiammata dalla speranza, o dalla promessa d'una gloriosa liberazione; ed i sediziosi Santi eran tentati a promuovere il compimento delle proprie lor predizioni. Nonostanti queste provocazioni, i Cattolici della Gallia, della Spagna, e dell'Italia goderono sotto il regno degli Arriani, l'esercizio libero e pacifico della lor religione. I superbi loro Signori rispettaron lo zelo d'un numeroso Popolo, risoluto di morire a piè de' propri altari, e fu ammirato ed imitato de' Barbari stessi l'esempio della devota loro costanza. I conquistatori, per altro, evitarono la vergognosa taccia o confessione di timore con attribuire la lor tolleranza a' generosi motivi di ragionevolezza e d'umanità; e mentre affettavano il linguaggio del Cristianesimo, ne acquistarono senza avvedersene il vero spirito.

      La pace della Chiesa fu talvolta interrotta. I Cattolici erano indiscreti, ed i Barbari impazienti; e gli atti parziali di severità, o d'ingiustizia, che venivano raccomandati dal Clero Arriano, furono esagerati dagli scrittori ortodossi. Può darsi l'accusa di persecutore ad Enrico, Re de' Visigoti, che sospese l'esercizio delle funzioni ecclesiastiche, o almeno Episcopali, e punì i Vescovi popolari dell'Aquitania con la carcere, coll'esilio, e con la confiscazione89. Ma da' soli Vandali s'intraprese la crudele ed assurda opera di sottometter le menti d'un intero Popolo. Genserico medesimo nella sua prima gioventù avea abbandonato la comunione ortodossa; e l'apostata non poteva nè concedere, nè sperare un sincero perdono. Era egli esacerbato nel vedere, che gli Affricani, i quali eran fuggiti dalle sue armi nel campo, tuttavia pretendevano d'opporsi alla sua volontà ne' Sinodi, e nelle Chiese; ed il feroce suo animo era incapace di timore, o di compassione. I Cattolici suoi sudditi furon oppressi da intolleranti leggi, e da pene arbitrarie. Il linguaggio di Genserico era furioso e formidabile; la cognizione de' suoi disegni poteva giustificare la più svantaggiosa interpretazione delle sue azioni; e furono rimproverate agli Arriani le frequenti esecuzioni, che macchiarono il palazzo, e gli Stati del tiranno. Le armi e l'ambizione però erano le passioni dominanti del Monarca del mare. Ma Unnerico, ignobil suo figlio, che parve ereditasse solo i suoi vizi, tormentò i Cattolici coll'istesso instancabil furore, che fu fatale al suo fratello, a' suoi nipoti, agli amici e favoriti di suo padre, e fino al Patriarca Arriano, che fu crudelmente bruciato vivo nel mezzo di Cartagine. La guerra religiosa fu preceduta, e preparata da una insidiosa tregua; la persecuzione divenne il più serio ed importante affare nella Corte Vandala, e la disgustosa malattia, che accelerò la morte di Unnerico, vendicò le ingiurie, senza contribuire alla liberazione della Chiesa. Il trono dell'Affrica fu successivamente occupato da' due nipoti d'Unnerico, da Gundamondo, che regnò circa dodici anni, e da Trasimondo, che governò la nazione più di ventisette anni. La loro amministrazione fu ostile, ed oppressiva pel partito ortodosso. Sembra che Gundamondo emulasse, o anche oltrapassasse la crudeltà del suo zio; e se finalmente l'addolcì, se richiamò i Vescovi, e restituì la libertà del Culto Atanasiano, un'immatura morte impedì i vantaggi della sua tarda clemenza. Trasimondo, suo fratello, fu il più grande, ed il più culto de' Re Vandali, quali ei sorpassò in beltà, prudenza e grandezza d'animo. Ma l'intollerante suo zelo, e la sua ingannevol clemenza degradò questo magnanimo carattere. In vece di minacce e di torture, adoperò il gentile, ma efficace potere della seduzione. Le ricchezze, le dignità, ed il real favore erano i grandiosi premj dell'apostasia; i Cattolici, che avevan trasgredito le leggi, potevan procacciarsi il perdono con rinunziare alla loro fede; e quando Trasimondo meditava qualche rigoroso disegno, pazientemente aspettava, che l'indiscretezza de' suoi avversari gli somministrasse una speciosa opportunità. Il bigottismo fu l'ultimo suo sentimento nell'ora della morte: e costrinse il suo successore a giurare solennemente, che non avrebbe mai tollerato i settari d'Atanasio. Ma il suo successore Ilderico, gentil figlio del selvaggio Unnerico, preferì i doveri dell'umanità, e della giustizia alla vana obbligazione d'un empio giuramento; ed il suo innalzamento al trono fu gloriosamente segnalato dalla restaurazion della pace, e della libertà universale. Il trono di quel virtuoso, quantunque debol Monarca, fu usurpato dal suo cugino Gelimero, zelante Arriano: ma il regno Vandalo, prima ch'ei potesse godere, o abusare della sua potenza, fu rovesciato dalle armi di Belisario; ed il partito ortodosso vendicò le ingiurie, che aveva sofferte90.

      Le appassionate declamazioni de' Cattolici, che sono i soli istorici che abbiamo di questa persecuzione, non possono somministrare alcuna serie distinta di cause e di eventi, nè alcuna imparzial cognizione di caratteri o di consigli; ma le più notabili circostanze, che meritan fede o notizia, possono riferirsi a' seguenti capi: I.º Nella legge originale, che tuttavia sussiste91, Unnerico espressamente dichiara, e tal dichiarazione sembra corretta, ch'egli avea fedelmente trascritto i regolamenti e le pene degli editti Imperiali contro le congregazioni eretiche, e contro il Clero, ed il Popolo, che si scostava dalla religion dominante. Se si fossero intesi i diritti della coscienza, i Cattolici o dovevan condannare la passata loro condotta, o acquietarsi agli attuali loro patimenti. Ma essi continuavano sempre a ricusare quell'indulgenza, che richiedevano in lor favore. Nel tempo ch'essi tremavano sotto la sferza della persecuzione, commendarono la lodevole severità di Unnerico medesimo, che fece bruciare, o bandì un gran numero di Manichei92; e rigettarono con orrore, l'ignominiosa proposizione, che i discepoli d'Arrio e d'Atanasio godessero una reciproca ed ugual tolleranza ne' territori de' Romani, e de' Vandali93. II. L'uso d'una conferenza, che i Cattolici avevano tante volte praticato per insultare e punire gli ostinati loro antagonisti, si ritorse contro di loro stessi94. Per ordine d'Unnerico s'adunarono in Cartagine quattrocentosessantasei

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<p>83</p>

Le opinioni di Ulfila e de' Goti tendevano al Semiarrianismo, poichè non volevano essi dire, che il Figlio fosse una creatura: quantunque comunicassero con quelli, che sostenevano tal eresia. Il loro Apostolo rappresentò tutta la disputa come una questione di piccol momento, e che si era eccitata dalle passioni del Clero. Teodoret. L. IV. c. 37.

<p>84</p>

Si è imputato l'Arrianismo de' Goti all'Imperator Valente: Itaque justo Dei judicio ipsi eum vivum incenderunt, qui propter eum etiam mortui, vitio erroris arsuri sunt. Orosio L. VII. c. 33. p. 354. Questa crudel sentenza vien confermata dal Tillemont (Mem. Eccl. T. VI. p. 604, 610), che freddamente osserva «un seul homme entraîne dans l'enfer un nombre infini de Septentrionaux etc.» Salviano (de Gubernat. Dei L. V. p. 150, 151) compatisce, e scusa il loro involontario errore.

<p>85</p>

Orosio asserisce nell'anno 416 (L. VII. c. 21 p. 580) che le Chiese di Cristo (cioè de' Cattolici) eran piene di Unni, di Svevi, di Vandali, di Borgognoni.

<p>86</p>

Ratbodo, Re de' Frisoni, fu tanto scandalizzato da tal temeraria dichiarazione d'un Missionario, che tornò indietro, dopo esser entrato nel fonte battesimale. (Vedi Fleury Hist. Eccl. Tom. IX. p, 167).

<p>87</p>

Le lettere di Sidonio Vescovo di Vienna sotto i Visigoti, e d'Avito Vescovo di Vienna sotto i Borgognoni dimostrano alle volte, in oscuri accenti, le disposizioni generali de' Cattolici. L'istoria di Clodoveo, e di Teodorico somministrerà de' fatti particolari su questo proposito.

<p>88</p>

Genserico confessò tal somiglianza, mediante la severità con cui punì quelle indiscrete allusioni. Victor Vitens l. 7. p. 10.

<p>89</p>

Tali sono le querele contemporanee di Sidonio Vescovo di Clermont (L. VII. c. 6. p. 182, ec. edit. Sirmond). Gregorio di Tours, che cita questa lettera (L. II. c. 25 in Tom. 2. p. 174), ne trae un'asserzione, che non si può verificare, cioè che di nove sedi Vacanti nell'Aquitania, alcune eran vacate per causa di Martiri episcopali.

<p>90</p>

I monumenti originali della persecuzione de' Vandali si son conservati ne' cinque libri dell'istoria di Vittore Vitense (de persecutione Vandalicà), Vescovo che fu esiliato da Unnerico; nella vita di S. Fulgenzio, che si distinse nella persecuzione di Trasimondo (in Biblioth. max. Patr. T. IX. p. 4, 16) e nel primo libro della guerra Vandalica dell'imparzial Procopio (c. 7, 8, p. 196, 197, 198, 199), Il Ruinart, ultimo editore di Vittore, ha illustrato tutto questo soggetto con un copioso e dotto apparato di note, e di supplementi (Parigi 1694).

<p>91</p>

Victor. IV. 2. p. 65. Unnerico nega il nome di Cattolici agli Omousi. Descrive come, veri Divina Majestatis cultores, quegli del suo partito, che professavan la fede confermata da più di mille Vescovi ne' Concilj di Rimini e di Seleucia.

<p>92</p>

Victor. II. 1. p. 21, 22. Laudabilior… videbatur. Ne' Manoscritti, ne' quali si omette questa parola, il passo non è intelligibile. Vedi Ruinart not. p. 264.

<p>93</p>

Victor. II. 2, p. 22, 23. Il Clero di Cartagine chiamava queste condizioni periculosae; ed infatti sembra, che fossero poste come una rete per prendere i Vescovi Cattolici.

<p>94</p>

Vedi la narrazione di questa conferenza, ed il trattamento de' Vescovi presso Vittore II, 13, 18, p. 35, 42, e tutto il quarto libro p. 63, 171. Il terzo libro (p. 42, 62) contiene la loro apologia, o confessione di fede.