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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
Читать онлайн.Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6
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isbn
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
A. 398
La gioja del trionfo Affricano felicemente s'unì colle nozze dell'Imperatore Onorio e della sua cugina Maria, figlia di Stilicone: e quest'uguale ed onorevole parentela parve che investisse il potente ministro dell'autorità di padre sopra il sommesso pupillo di lui. Non tacque in giorno sì propizio la musa di Claudiano58: cantò in vari e vivaci metri la felicità della coppia reale e la gloria dell'Eroe, che confermava la lor unione, e sosteneva il lor trono. Il genio poetico salvò dall'obblivione le antiche favole della Grecia, che avevan quasi finito d'esser l'oggetto di una fede religiosa. La pittura del bosco di Cipro, sede dell'armonia e dell'amore, il trionfante progresso di Venere sopra i nativi suoi mari, e la dolce influenza, che sparse la presenza di lei nel palazzo di Milano, esprimono ad ogni età i naturali sentimenti del cuore nel giusto e piacevol linguaggio di un'allegorica finzione. Ma l'amorosa impazienza, che Claudiano attribuisce al giovine Principe59, dovè eccitare il riso della Corte; e la sua bella sposa (se pur meritava la lode della beltà) non avea molto da temere o da sperare dalle passioni del suo amante. Onorio non avea che l'età di quattordici anni; Serena, madre della sposa, differì per arte, o per mezzo di persuasioni la consumazione delle nozze Reali. Maria morì vergine dopo essere stata moglie dieci anni; e fu assicurata la castità dell'Imperatore dalla freddezza, o forse anche dalla debolezza della sua costituzione60. I suoi sudditi, che attentamente studiavano il carattere del giovane loro Sovrano, conobbero, che Onorio era senza passioni, e conseguentemente senza talenti; e che la debole e languida di lui natura era ugualmente incapace di adempire i doveri del suo grado che di godere i piaceri dell'età sua. Nella prima sua gioventù fece qualche profitto nell'esercizio di cavalcare e di tirar l'arco: ma presto abbandonò quelle faticose operazioni, ed il divertimento di nutrir uccelli divenne la seria e quotidiana cura del Monarca dell'Occidente61, il quale rimise le redini dell'Imperio nella ferma ed abile mano di Stilicone di lui tutore. L'esperienza dell'istoria, potrà confermare il sospetto, che un Principe, nato nella porpora, ebbe un'educazione peggiore dell'infimo dei suoi sudditi; e che l'ambizioso ministro lo lasciò arrivare all'età virile senza procurar d'eccitarne il coraggio, o d'illuminarne l'intelletto62. I predecessori d'Onorio eran soliti d'animare col loro esempio, o almeno con la presenza il valore delle legioni; e le date delle lor leggi attestano la perpetua attività dei loro movimenti per le Province del Mondo Romano. Ma il figlio di Teodosio passò il sonno della sua vita, come uno schiavo nel suo palazzo, come uno straniero nel suo paese, e come un paziente e quasi indifferente spettatore della rovina dell'Impero Occidentale, che fu più volte attaccato, e finalmente distrutto dalle armi dei Barbari. Nell'istoria, piena di eventi, di un regno di vent'otto anni, rare volte sarà necessario di rammentare il nome dell'Imperatore Onorio.
CAPITOLO XXX
A. 395
Se i sudditi di Roma avesser potuto ignorare le obbligazioni, che dovevano al Gran Teodosio, si sarebber tosto convinti della penosa difficoltà, con cui lo spirito e l'abilità del loro defonto Imperatore avea sostenuto il fragile e cadente edifizio della Repubblica. Esso morì nel mese di Gennaio; e prima che finisse l'inverno dell'istesso anno, la nazione de' Goti avea preso le armi63. I Barbari ausiliarj alzarono l'indipendente loro stendardo; ed arditamente dichiararono le ostili intenzioni, che avevan lungo tempo nutrite nelle feroci lor menti. I lor nazionali, che per le condizioni dell'ultimo trattato erano stati condannati ad una vita di tranquillità e di fatica, abbandonarono al primo suono di tromba le loro possessioni, e con ardore ripresero le armi, che avevan contro voglia posate. Si rovesciarono gli ostacoli del Danubio; uscirono dalle lor foreste i selvaggi guerrieri della Scizia; e lo straordinario rigor dell'inverno somministrò al poeta l'osservazione, che «traevano i gravi lor carri sul largo e gelato dosso dello sdegnante fiume64.» Gl'infelici abitanti delle Province meridionali del Danubio si sottomisero alle calamità, che nel corso di vent'anni eran divenute quasi famigliari alla loro immaginazione, e le varie truppe di Barbari, che si gloriavan del nome Gotico, confusamente si sparsero da' selvosi lidi della Dalmazia fino alle mura di Costantinopoli65. L'interrompimento o almeno la diminuzione del sussidio che i Goti aveano ricevuto dalla prudente liberalità di Teodosio, fu lo specioso pretesto della lor ribellione; s'accrebbe l'affronto pel disprezzo che dimostrarono verso gl'imbelli figliuoli di Teodosio; e ne fu infiammato lo sdegno dalla debolezza o perfidia del ministro d'Arcadio. Le frequenti visite, che Ruffino faceva al campo dei Barbari, dei quali affettava d'imitar le armi e le vesti, si riguardavano come una prova bastante della rea corrispondenza di lui; ed il pubblico nemico, per un motivo di gratitudine o di politica, nella generale devastazione avea cura di risparmiare i beni privati dell'odioso Prefetto. I goti, invece d'esser mossi dalle cieche e capricciose passioni dei lor Capitani, erano allora diretti dall'audace ed artificioso genio d'Alarico. Questo famoso condottiero discendeva dalla nobile stirpe dei Balti66, che non cedeva, che alla sola famiglia reale degli Amali. Ei chiese il comando delle armi Romane; e la Corte Imperiale lo provocò a dimostrar la follia del rifiuto, e l'importanza di perderlo. Per quante speranze potesse avere della conquista di Costantinopoli, il giudizioso Generale tosto abbandonò una non eseguibile impresa. L'Imperator Arcadio, in mezzo ad una Corte divisa in vari partiti e ad un popolo malcontento, fu atterrito dall'aspetto delle armi Gotiche, ma alla mancanza d'abilità e di valore supplì la forza della città; e le fortificazioni, sì di terra che di mare, poteron sicuramente disfidare gl'impotenti e fortuiti dardi dei Barbari. Alarico sdegnò di più trattenersi negli abbattuti e rovinati paesi della Tracia e della Dacia, e risolvè di cercare un'abbondante messe di fama e di ricchezze in una provincia, che fin allora scampato aveva i disastri della guerra67.
A. 396
Il carattere degli Uffiziali civili e militari, che Ruffino avea posti al governo della Grecia confermò il pubblico sospetto, ch'egli avesse aperto per tradimento l'antica sede della libertà e del sapere al Gotico invasore. Il Proconsole Antioco era l'indegno figlio di un rispettabile padre; e Geronzio, che comandava le truppe della provincia, era meglio idoneo ad eseguire gli opprimenti ordini di un tiranno, che a difendere con abilità e coraggio un paese, con la maggior diligenza fortificato dalla mano della natura. Alarico avea traversato senza resistenza le pianure della Macedonia e della Tessaglia fino a piè del monte Oeta, aspra e selvosa catena di colli quasi impenetrabile alla sua cavalleria. Questi estendevansi da Levante a Ponente fino al lido del mare; e lasciavan di mezzo fra il precipizio ed il golfo Maleo uno spazio di trecento piedi, che in alcuni luoghi era ristretto ad una strada capace d'ammettere un solo carro per volta68. In quell'angusto passo delle Termopile, dove Leonida ed i trecento Spartani avevan gloriosamente sacrificato le loro vite, i Goti potevano essere arrestati o distrutti da un abile Generale, e forse la vista di quel sacro luogo avrebbe potuto accendere alcune scintille di militare ardore nei petti de' Greci degenerati. Le truppe ch'erano state poste alla difesa dello stretto passo delle Termopile, si ritirarono, secondo gli ordini, senza neppure tentar d'impedire il rapido e sicuro passaggio d'Alarico69; e le fertili campagne della Focide e della Beozia furono immediatamente coperte da un diluvio di Barbari, che uccidevano i maschi in età di portar le armi, e
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Stilicone, che pretendeva un'egual parte in tutte le vittorie di Teodosio e del suo figlio, particolarmente asserisce, che l'Affrica fu ricuperata per la saviezza dei suoi consigli. Vedi un'iscrizione prodotta dal Baronio.
57
Ho addolcito la narrazione di Zosimo, che nella sua cruda semplicità è quasi incredibile (l. V. p. 303). Orosio condanna il vittorioso Generale (p. 538) per aver violato il diritto del Santuario.
58
Claudiano, come poeta laureato, compose un elaborato e serio epitalamio di 340 versi, oltre a varie giocose Fescennine, che si cantarono in tuono più licenzioso nella notte del maritaggio.
59
… Calet obvius ire
Jam Princeps, tardumque cupit discedere solem.
Nobilis haud aliter sonipes…
(De nupt. Hon. et Mariae 287) e più liberamente nelle Fescennine (112-126).
Dices, o quoties mihi dulcius
Quam flavos decies vincere Sarmatas
· · · · · · · · · · ·
Tum victor madido prosilias toro
Nocturni referent vulnera praelii.
60
Vedi Zosimo t. V. p. 333.
61
Procop.
62
Le lezioni di Teodosio, o per meglio dir di Claudiano (IV.
63
Si fa distintamente menzione della ribellione dei Goti, e del blocco di Costantinopoli da Claudiano (in
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… Alii per toga ferocis
Danubii solidata ruunt; expertaque remis
Frangunt stagna rotis.
Claudiano ed Ovidio spesse volte divertono la lor fantasia col mescolar le metafore e le proprietà della
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Girol. tom. I. p. 26. Ei procura di consolare Eliodoro, Vescovo d'Altino, suo amico, della perdita di Nepoziano, nipote di lui, con una curiosa ricapitolazione di tutte le pubbliche e private disgrazie di quei tempi. (Vedi Tillemont Mem. Eccl. Tom. XII. p. 200).
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Zosimo (l. V. p. 293-295) è la guida migliore che abbiamo per la conquista della Grecia; ma i cenni e le allusioni di Claudiano sono altrettanti raggi d'istorica luce.
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Si paragoni Erodoto (l. VII. c. 176) con Livio (XXXVI. 15). Lo stretto ingresso della Grecia era stato probabilmente allargato da qualche infelice invasore.
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Egli passò, dice Eunapio (