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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
Читать онлайн.Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6
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isbn
Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
A. 404
I cittadini di Roma erano stati sorpresi dall'avvicinarsi d'Alarico; e la diligenza, con cui procurarono di risarcire le mura della Capitale, dimostrò i loro timori, e la decadenza dell'Impero. Dopo la ritirata dei Barbari, Onorio s'indusse ad accettare il rispettoso invito del Senato ed a celebrare nell'Imperial città l'epoca felice della vittoria Gotica, e del sesto suo consolato115. I sobborghi e le strade, dal ponte Milvio al Colle Palatino, eran piene del Popolo Romano, che nello spazio d'un secolo era stato solo tre volte onorato dalla presenza de' suoi Sovrani. Tenendo fissi gli occhi sul carro, dove Stilicone meritamente sedeva accanto al suo Reale pupillo, applaudivano essi alla pompa d'un trionfo, che non era macchiato, come quello di Costantino e di Teodosio, dal sangue civile. Passò la processione sotto un arco sublime, ch'era stato innalzato a quest'effetto: ma in meno di sette anni i Gotici conquistatori di Roma poteron leggere (se pure n'eran capaci) la superba inscrizione di quel monumento, che attestava la disfatta e distruzione totale della loro nazione116. L'Imperatore dimorò più mesi nella Capitale, ed ogni parte del suo contegno dimostrava la premura, che aveva di conciliarsi l'affezione del Clero; del Senato, e del Popolo di Roma. Il Clero fu edificato dalle frequenti visite, e dai generosi doni che fece alle Reliquie degli Apostoli. Il Senato che nella trionfal processione era stato liberato dalla umiliante ceremonia di precedere a piedi il carro Imperiale, fu trattato con quella decente riverenza, che Stilicone affettò sempre per quell'Assemblea. Il popolo fu più volte soddisfatto dall'attenzione e dalla cortesia d'Onorio ne' pubblici giuochi, che in quell'occasione si celebrarono con una magnificenza non indegna dello spettatore. Appena fu terminato il numero destinato delle corse de' cavalli, ad un tratto cangiossi la decorazione del Circo; la caccia delle fiere somministrò un vario e splendido divertimento; ed alla caccia successe una danza militare, che nella vivace descrizione di Claudiano somiglia la rappresentazione d'un moderno torneo.
In questi giuochi d'Onorio, i crudeli combattimenti de' Gladiatori117 macchiarono per l'ultima volta l'anfiteatro di Roma. Il primo Imperatore Cristiano può attribuirsi l'onore del primo editto, che condannò l'arte ed il piacere di spargere il sangue umano118; ma questa benefica legge non espresse che i desiderj del Principe, senza riformare un abuso inveterato che degradava un popolo culto sotto la condizione di selvaggi Cannibali. Ogni anno si trucidavano varie centinaia, e forse più migliaia di vittime nelle grandi città dell'Impero; ed il mese di Decembre, più specialmente consacrato ai combattimenti dei gladiatori, esibiva sempre agli occhi del Popolo Romano un grato spettacolo di sangue e di crudeltà. In mezzo all'universal gioia della vittoria di Pollenzia, un Poeta Cristiano esortò l'Imperatore ad estirpare con la sua autorità l'orribil costume, che sì lungamente avea resistito alla voce dell'umanità e della religione119. Le patetiche rappresentanze di Prudenzio furon meno efficaci del generoso ardire di Telemaco, monaco Asiatico, la morte del quale fu più vantaggiosa al genere umano, che la sua vita120. I Romani si adontarono in vedere interrotti i loro piaceri; e il coraggioso monaco, il quale era disceso nell'arena per separare i gladiatori, restò oppresso da un nuvol di sassi. Ma tosto calmossi la frenesia popolare; fu rispettata la memoria di Telemaco, che avea meritato gli onori del martirio; e si sottomisero senza remore alle leggi d'Onorio, che per sempre abolirono gli umani sacrifizj dell'anfiteatro. I cittadini, ch'erano attaccati a' costumi dei loro Maggiori, potevano forse insinuare, che si mantenevan gli ultimi avanzi d'uno spirito marziale in quella scuola di fortezza, la quale assuefaceva i Romani alla vista del sangue, ed al disprezzo della morte: vano e crudel pregiudizio, sì nobilmente smentito dal valore dell'antica Grecia e della moderna Europa121.
A. 494
Il recente pericolo, a cui s'era esposta la persona dell'Imperatore nell'indifeso palazzo di Milano, lo mosse a cercar un rifugio in qualche inaccessibil fortezza d'Italia, dove potesse restar sicuro, quando l'aperta campagna fosse coperta da un diluvio di Barbari. Sulla costa dell'Adriatico, circa dieci o dodici miglia lontano dalla più meridionale delle sette bocche del Po, i Tessali avevan fondato l'antica colonia di Ravenna122, ch'essi poi abbandonarono a' nativi dell'Umbria. Augusto, che avea notato l'opportunità del luogo preparò alla distanza di tre miglia dall'antica Città, un Porto capace di ricevere dugento cinquanta navi da guerra. Tale stabilimento navale che conteneva gli arsenali, i magazzini, e le baracche delle Truppe insieme con le case degli artefici, trasse l'origine ed il nome dalla permanente dimora della flotta Romana: lo spazio intermedio fu tosto ripieno di fabbriche e di abitanti; ed i tre popolati ed estesi quartieri di Ravenna a grado a grado contribuirono a formare una delle più importanti città dell'Italia. Il principal canale d'Augusto conduceva una copiosa quantità di acque del Po per mezzo della città all'entratura del porto; le medesime acque s'introducevano in profonde fosse, che circondavano le mura; si distribuivano per mille canali minori in ogni parte della città, ch'essi dividevano in una quantità di piccole isole; se ne manteneva la comunicazione solo coll'uso dei battelli e de' ponti; e le case di Ravenna, la figura delle quali può paragonarsi a quelle di Venezia, erano alzate su fondamenti di pali di legno. La campagna addiacente, alla distanza di molte miglia, era una profonda ed impenetrabil palude; e l'artificiale sentiero, che univa Ravenna col Continente, potea facilmente guardarsi o distruggersi all'avvicinarsi d'un'armata nemica. Quelle paludi però erano sparse di vigne; e quantunque il terreno fosse esausto da quattro o cinque raccolte, la città godeva una più abbondante copia di vino, che d'acqua fresca123. L'aria, invece d'essere infettata dalle malsane, e quasi pestilenziali esalazioni de' bassi e pantanosi terreni, era distinta, come i contorni d'Alessandria, per la straordinaria sua purità e salubrità; e s'attribuiva questo singolar vantaggio a' flutti regolari dell'Adriatico, che purgavano i canali, impedivano l'insalubre stagnamento delle acque ed ogni giorno portavano nel centro di Ravenna i vascelli della vicina campagna. Il mare, appoco appoco ritirandosi, ha lasciato la moderna città alla distanza di quattro miglia dall'Adriatico; e fino dal quinto e sesto secolo dell'Era Cristiana, il porto d'Augusto fu convertito in amene piantazioni, ed un solitario bosco di pini cuoprì quel suolo, dove una volta la flotta Romana stava sulle ancore124. Anche tale alterazione contribuì ad accrescere la natural fortezza del luogo; e la bassezza delle acque faceva un sufficiente riparo contro le grosse navi dell'inimico. Questa situazion vantaggiosa fu inoltre fortificata dal travaglio e dall'arte; e l'Imperatore dell'Occidente, nel ventesimo anno dell'età sua, ansioso soltanto della propria personal
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La guerra Gotica ed il sesto Consolato di Onorio, legano oscuramente insieme gli avvenimenti della ritirata di Alarico e delle sue perdite.
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115
L'avanzo del poema di Claudiano sul sesto Consolato d'Onorio descrive il viaggio, il trionfo ed i giuochi (330-660).
116
Vedasi l'inscrizione nell'Istoria degli antichi Germani di Mascou VIII. 12. Le parole sono positive ed indiscrete,
117
Sopra il curioso, quantunque orrido, soggetto dei Gladiatori si consultino i due libri dei Saturnali di Lipsio, che come
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Vedasi la perorazione di Prudenzio (
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Teodoret. l. V. c. 28. Io bramo di creder la storia di S. Telemaco. Pure non è stata dedicata veruna Chiesa, nessun altare è stato eretto all'unico monaco, che morì martire nella causa dell'umanità.
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122
Questo ragguaglio di Ravenna è tratto da Strabone (l. V. p. 327), da Plinio (III. 20), da Stefano di Bisanzio (V. Ραβεννα p. 651.
123
Marziale (
124
La favola di Teodoro e d'Onorio, che Dryden ha sì mirabilmente preso dal Boccaccio (