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Germaniche, l'alleanza delle quali avrebbe restaurato l'esausta sua forza, invadere dalla parte del Reno inaspettatamente le ricche Province della Gallia. Ignorando il tradimento, che avea già manifestato la sua ardita e giudiziosa intrapresa, s'avanzò verso i paesi delle montagne, ch'erano già stati occupati dallo truppe Imperiali, dove si trovò esposto ad un generale attacco nella fronte, ne' lati, e nella retroguardia. In questa sanguinosa azione, che seguì ad una piccola distanza dalle mura di Verona, la perdita de' Goti non fu meno grave di quella che avevan sofferto nella disfatta di Pollenzia; ed il loro valoroso Re, che scampò per la velocità del suo cavallo, avrebbe dovuto restare ucciso, o prigioniero, se la precipitosa temerità degli Alani non avesse sconcertato i disegni del Generale Romano. Alarico assicurò i residui del suo esercito sopra le vicine rupi; e si preparò con indomita fermezza a sostenere un assedio contro il numero superiore del nemico che l'investì da ogni lato. Ma non poteva egli opporsi al distruttivo progresso della fame e del disagio; nè gli era possibile di frenare la continua diserzione de' capricciosi ed impazienti suoi Barbari. In questa estremità trovò ancora nuovi ripieghi nel proprio coraggio, o nella moderazione del suo nemico; e risguardossi la ritirata del Re Goto come la liberazione dell'Italia113. Nonostante il Popolo ed anche il Clero, incapace di formare alcun ragionevol giudizio degli affari di pace e di guerra, pretese d'attaccar la politica di Stilicone, il quale tante volte circondò, e tante volte lasciò scappare l'implacabil nemico della Repubblica. Il primo momento della pubblica salvezza è consacrato alla gratitudine ed alla gioia; ma il secondo s'occupa diligentemente nell'invidia e nella calunnia114.

      A. 404

      I cittadini di Roma erano stati sorpresi dall'avvicinarsi d'Alarico; e la diligenza, con cui procurarono di risarcire le mura della Capitale, dimostrò i loro timori, e la decadenza dell'Impero. Dopo la ritirata dei Barbari, Onorio s'indusse ad accettare il rispettoso invito del Senato ed a celebrare nell'Imperial città l'epoca felice della vittoria Gotica, e del sesto suo consolato115. I sobborghi e le strade, dal ponte Milvio al Colle Palatino, eran piene del Popolo Romano, che nello spazio d'un secolo era stato solo tre volte onorato dalla presenza de' suoi Sovrani. Tenendo fissi gli occhi sul carro, dove Stilicone meritamente sedeva accanto al suo Reale pupillo, applaudivano essi alla pompa d'un trionfo, che non era macchiato, come quello di Costantino e di Teodosio, dal sangue civile. Passò la processione sotto un arco sublime, ch'era stato innalzato a quest'effetto: ma in meno di sette anni i Gotici conquistatori di Roma poteron leggere (se pure n'eran capaci) la superba inscrizione di quel monumento, che attestava la disfatta e distruzione totale della loro nazione116. L'Imperatore dimorò più mesi nella Capitale, ed ogni parte del suo contegno dimostrava la premura, che aveva di conciliarsi l'affezione del Clero; del Senato, e del Popolo di Roma. Il Clero fu edificato dalle frequenti visite, e dai generosi doni che fece alle Reliquie degli Apostoli. Il Senato che nella trionfal processione era stato liberato dalla umiliante ceremonia di precedere a piedi il carro Imperiale, fu trattato con quella decente riverenza, che Stilicone affettò sempre per quell'Assemblea. Il popolo fu più volte soddisfatto dall'attenzione e dalla cortesia d'Onorio ne' pubblici giuochi, che in quell'occasione si celebrarono con una magnificenza non indegna dello spettatore. Appena fu terminato il numero destinato delle corse de' cavalli, ad un tratto cangiossi la decorazione del Circo; la caccia delle fiere somministrò un vario e splendido divertimento; ed alla caccia successe una danza militare, che nella vivace descrizione di Claudiano somiglia la rappresentazione d'un moderno torneo.

      In questi giuochi d'Onorio, i crudeli combattimenti de' Gladiatori117 macchiarono per l'ultima volta l'anfiteatro di Roma. Il primo Imperatore Cristiano può attribuirsi l'onore del primo editto, che condannò l'arte ed il piacere di spargere il sangue umano118; ma questa benefica legge non espresse che i desiderj del Principe, senza riformare un abuso inveterato che degradava un popolo culto sotto la condizione di selvaggi Cannibali. Ogni anno si trucidavano varie centinaia, e forse più migliaia di vittime nelle grandi città dell'Impero; ed il mese di Decembre, più specialmente consacrato ai combattimenti dei gladiatori, esibiva sempre agli occhi del Popolo Romano un grato spettacolo di sangue e di crudeltà. In mezzo all'universal gioia della vittoria di Pollenzia, un Poeta Cristiano esortò l'Imperatore ad estirpare con la sua autorità l'orribil costume, che sì lungamente avea resistito alla voce dell'umanità e della religione119. Le patetiche rappresentanze di Prudenzio furon meno efficaci del generoso ardire di Telemaco, monaco Asiatico, la morte del quale fu più vantaggiosa al genere umano, che la sua vita120. I Romani si adontarono in vedere interrotti i loro piaceri; e il coraggioso monaco, il quale era disceso nell'arena per separare i gladiatori, restò oppresso da un nuvol di sassi. Ma tosto calmossi la frenesia popolare; fu rispettata la memoria di Telemaco, che avea meritato gli onori del martirio; e si sottomisero senza remore alle leggi d'Onorio, che per sempre abolirono gli umani sacrifizj dell'anfiteatro. I cittadini, ch'erano attaccati a' costumi dei loro Maggiori, potevano forse insinuare, che si mantenevan gli ultimi avanzi d'uno spirito marziale in quella scuola di fortezza, la quale assuefaceva i Romani alla vista del sangue, ed al disprezzo della morte: vano e crudel pregiudizio, sì nobilmente smentito dal valore dell'antica Grecia e della moderna Europa121.

      A. 494

      Il recente pericolo, a cui s'era esposta la persona dell'Imperatore nell'indifeso palazzo di Milano, lo mosse a cercar un rifugio in qualche inaccessibil fortezza d'Italia, dove potesse restar sicuro, quando l'aperta campagna fosse coperta da un diluvio di Barbari. Sulla costa dell'Adriatico, circa dieci o dodici miglia lontano dalla più meridionale delle sette bocche del Po, i Tessali avevan fondato l'antica colonia di Ravenna122, ch'essi poi abbandonarono a' nativi dell'Umbria. Augusto, che avea notato l'opportunità del luogo preparò alla distanza di tre miglia dall'antica Città, un Porto capace di ricevere dugento cinquanta navi da guerra. Tale stabilimento navale che conteneva gli arsenali, i magazzini, e le baracche delle Truppe insieme con le case degli artefici, trasse l'origine ed il nome dalla permanente dimora della flotta Romana: lo spazio intermedio fu tosto ripieno di fabbriche e di abitanti; ed i tre popolati ed estesi quartieri di Ravenna a grado a grado contribuirono a formare una delle più importanti città dell'Italia. Il principal canale d'Augusto conduceva una copiosa quantità di acque del Po per mezzo della città all'entratura del porto; le medesime acque s'introducevano in profonde fosse, che circondavano le mura; si distribuivano per mille canali minori in ogni parte della città, ch'essi dividevano in una quantità di piccole isole; se ne manteneva la comunicazione solo coll'uso dei battelli e de' ponti; e le case di Ravenna, la figura delle quali può paragonarsi a quelle di Venezia, erano alzate su fondamenti di pali di legno. La campagna addiacente, alla distanza di molte miglia, era una profonda ed impenetrabil palude; e l'artificiale sentiero, che univa Ravenna col Continente, potea facilmente guardarsi o distruggersi all'avvicinarsi d'un'armata nemica. Quelle paludi però erano sparse di vigne; e quantunque il terreno fosse esausto da quattro o cinque raccolte, la città godeva una più abbondante copia di vino, che d'acqua fresca123. L'aria, invece d'essere infettata dalle malsane, e quasi pestilenziali esalazioni de' bassi e pantanosi terreni, era distinta, come i contorni d'Alessandria, per la straordinaria sua purità e salubrità; e s'attribuiva questo singolar vantaggio a' flutti regolari dell'Adriatico, che purgavano i canali, impedivano l'insalubre stagnamento delle acque ed ogni giorno portavano nel centro di Ravenna i vascelli della vicina campagna. Il mare, appoco appoco ritirandosi, ha lasciato la moderna città alla distanza di quattro miglia dall'Adriatico; e fino dal quinto e sesto secolo dell'Era Cristiana, il porto d'Augusto fu convertito in amene piantazioni, ed un solitario bosco di pini cuoprì quel suolo, dove una volta la flotta Romana stava sulle ancore124. Anche tale alterazione contribuì ad accrescere la natural fortezza del luogo; e la bassezza delle acque faceva un sufficiente riparo contro le grosse navi dell'inimico. Questa situazion vantaggiosa fu inoltre fortificata dal travaglio e dall'arte; e l'Imperatore dell'Occidente, nel ventesimo anno dell'età sua, ansioso soltanto della propria personal

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<p>113</p>

La guerra Gotica ed il sesto Consolato di Onorio, legano oscuramente insieme gli avvenimenti della ritirata di Alarico e delle sue perdite.

<p>114</p>

Taceo de Alarico… saepe victo, saepe concluso, semperque dimisso. Orosio l. VII. c. 37. p. 567. Claudiano (VI. Cons. Hon. 320) tiravi sopra un velo con una delicata immagine.

<p>115</p>

L'avanzo del poema di Claudiano sul sesto Consolato d'Onorio descrive il viaggio, il trionfo ed i giuochi (330-660).

<p>116</p>

Vedasi l'inscrizione nell'Istoria degli antichi Germani di Mascou VIII. 12. Le parole sono positive ed indiscrete, Getarum nationem in omne oevum domitam etc.

<p>117</p>

Sopra il curioso, quantunque orrido, soggetto dei Gladiatori si consultino i due libri dei Saturnali di Lipsio, che come Antiquario è disposto a scusare la pratica dell'antichità Tom. III. p. 483-545.

<p>118</p>

Cod. Theod. lib. XV. Tit. XII. leg. 1. Il comentario del Gotofredo somministra (Tom. V. p. 396) dei gran materiali per la storia dei Gladiatori.

<p>119</p>

Vedasi la perorazione di Prudenzio (in Symmac. l. II, 1121-1131) che senza dubbio avea letto l'eloquente invettiva di Lattanzio (Divin. Instit. l. VI. c. 20). Gli Apologisti Cristiani non hanno risparmiato questi sanguinosi giuochi, che s'erano introdotti nelle feste religiose del Paganesimo.

<p>120</p>

Teodoret. l. V. c. 28. Io bramo di creder la storia di S. Telemaco. Pure non è stata dedicata veruna Chiesa, nessun altare è stato eretto all'unico monaco, che morì martire nella causa dell'umanità.

<p>121</p>

Crudele Gladiatorum spectaculum, et inhumanum nonullis videri solet, et haud scio, an ita sit, ut nunc fit: Ciceron. Tusc. II. 17. Egli debolmente censura l'abuso, e con calore difende l'uso di questi divertimenti: Oculis nulla poterat esse fortior contra dolorem et mortem disciplina. Seneca (Epist. 7.) dimostra sentimenti d'uomo.

<p>122</p>

Questo ragguaglio di Ravenna è tratto da Strabone (l. V. p. 327), da Plinio (III. 20), da Stefano di Bisanzio (V. Ραβεννα p. 651. Edit. Berhel), da Claudiano (in VI. Cons. Hon. 494 ec.), da Sidonio Apollinare (l. I. Epist. V. 8), da Giornandes (de Reb. Get. c. 29), da Procopio (de Bell. Got. l. I. c. I. p. 309. Edit. Leuvr.), e dal Cluverio (Ital. Antiq. T. I. p. 301-307). Pure io sono ancora mancante d'un Antiquario locale, e d'una buona carta topografica.

<p>123</p>

Marziale (Epigr. III. 56, 57) scherza sull'inganno d'un furbo, che gli avea venduto del vino invece d'acqua; ma seriamente dichiara, che in Ravenna una cisterna è più valutabile d'una vigna. Sidonio si duole, che la città è priva di fonti e di acquedotti, e pone la mancanza d'acqua fresca nel numero de' mali locali, come del gridar dei ranocchi, del pungere degli insetti ec.

<p>124</p>

La favola di Teodoro e d'Onorio, che Dryden ha sì mirabilmente preso dal Boccaccio (Giorn. III novell. 8) seguì nel bosco di Chiassi, voce corrotta da Classis, navale stazione, che con la strada o sobborgo intermedio, via Caesaris, formava la triplice città di Ravenna.