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in cui la sua disperazione, incapace d'alcun saggio o virile consiglio, meditava una vergognosa fuga, sbarcò inaspettatamente nel porto di Ravenna un opportuno rinforzo di quattromila veterani. A questi valorosi stranieri, la fedeltà de' quali non era stata corrotta dalle fazioni della Corte, egli affidò le mura e le porte della città, ed i sonni dell'Imperatore non furon più disturbati dal timore d'imminenti ed interni pericoli. La favorevole notizia, che s'ebbe dall'Affrica, mutò ad un tratto le opinioni degli uomini, e lo stato dei pubblici affari. Gli ufiziali e le truppe, che Attalo aveva mandato in quella Provincia, furon disfatte ed uccise; e l'attivo zelo d'Eracliano mantenne fedele sè ed il suo popolo. Il fido Conte dell'Affrica mandò una grossa somma di danaro, che assodò la fedeltà delle guardie Imperiali; e la sua vigilanza nell'impedir l'estrazione del grano e dell'olio, introdusse la carestia, il tumulto, e lo scontento nelle mura di Roma. L'infelice spedizione Affricana fu la sorgente di mutue doglianze ed accuse nel partito d'Attalo; e la mente del suo protettore appoco appoco alienossi dall'interesse d'un Principe, che non aveva spirito per comandare, nè docilità per ubbidire. Si presero le più imprudenti determinazioni senza saputa, o contro il parer d'Alarico; e l'ostinazione del Senato a non permettere, nell'imbarco, neppure la mescolanza di cinquecento Goti, dimostrò un'indole sospettosa e diffidente, che nella situazione, in cui si trovava, non era nè prudente nè generosa. Lo sdegno del Re Goto fu esacerbato dai maliziosi artifizj di Giovio, che era stato innalzato al grado di Patrizio, e che dopo scusò il doppio suo tradimento con dichiarare senza rossore, che egli aveva soltanto finto d'abbandonare il servizio d'Onorio per rovinare più efficacemente la causa dell'usurpatore. In una vasta pianura vicino a Rimini, ed alla presenza d'una innumerabile moltitudine di Romani e di Barbari, il misero Attalo fu pubblicamente spogliato del diadema e della porpora, ed Alarico mandò queste insegne della dignità reale come pegno di pace e di amicizia al figlio di Teodosio277. Furono restituiti ai loro impieghi gli ufiziali, che tornarono al loro dovere, e fu graziosamente accordato anche il merito di un tardo pentimento: ma il deposto Imperator de' Romani, desideroso della vita ed insensibile all'ignominia, implorò la permissione di seguitare il Campo Gotico nel corteggio d'un superbo e capriccioso Barbaro278.

      La deposizione d'Attalo tolse di mezzo l'unico reale ostacolo alla conclusion della pace; ed Alarico avanzassi fino alla distanza di tre miglia da Ravenna per sollecitar l'irresolutezza degl'Imperiali Ministri, che col ritorno della fortuna eran tornati alla loro insolenza. Egli si accese di sdegno, quando seppe che un Capitano suo rivale, che Saro, personal nemico d'Adolfo e nemico ereditario della casa di Balti, era stato ricevuto nel Palazzo. Alla testa di trecento seguaci quel coraggioso Barbaro fece subitamente una sortita dalle porte di Ravenna; sorprese e tagliò a pezzi un considerabile corpo di Goti; rientrò in trionfo nella città, e gli fu permesso d'insultar l'avversario con la voce d'un araldo, il quale dichiarò pubblicamente, che la colpa d'Alarico l'aveva escluso per sempre dall'amicizia e dalla corrispondenza coll'Imperatore279. Il delitto e la follìa della Corte di Ravenna s'espiò per la terza volta dalle calamità di Roma. Il Re dei Goti, che non dissimulava più il desiderio di preda e di vendetta, comparve armato sotto le mura della Capitale; ed il tremante Senato, senz'alcuna speranza di soccorso, si preparò a differire con una disperata resistenza la rovina della patria. Ma i Romani non furon capaci di guardarsi dalla segreta cospirazione dei loro schiavi e famigli, che per interesse o per nascita erano attaccati alla causa del nemico. Alla mezza notte fu tacitamente aperta la porta Salaria, ed i cittadini furono svegliati dal terribil suono della Gotica tromba. Mille centosettanta tre anni dopo la fondazione di Roma, la città Imperiale, che avea soggiogato ed incivilito una parte sì considerabile del genere umano, fu abbandonata al licenzioso furore delle tribù della Germania e della Scizia280.

      Il manifesto però d'Alarico, quando entrò a forza nell'abbattuta città, mostrò qualche riguardo alle leggi dell'umanità e della religione. Incoraggiò le sue truppe a prendersi arditamente i premj del valore, e ad arricchirsi colle spoglie d'un popolo dovizioso ed effeminato, ma gli esortò nel tempo stesso a risparmiar la vita dei cittadini, che cedevano, ed a rispettare le Chiese degli Apostoli S. Pietro e S. Paolo, come sacri ed inviolabili santuarj. Fra gli orrori d'un notturno tumulto, molti Goti Cristiani dimostrarono il fervore d'una recente conversione, e son riferiti e adornati dallo zelo degli scrittori Ecclesiastici281 alcuni esempi della lor singolare moderazione e pietà. Mentre i Barbari scorrevano per la città in cerca di preda, fu aperta a forza da uno dei potenti Goti l'umile abitazione d'una provetta vergine, che avea consacrato la sua vita al servizio dell'altare. Egli subito chiese, quantunque in civil modo, tutto l'oro e l'argento che essa possedeva, e restò sorpreso alla prontezza, con cui la medesima lo condusse ad uno splendido ammasso di grossi vasi, formati delle ricche materie e del più fino lavoro. Il Barbaro mirava con maraviglia e diletto quel prezioso cumulo di roba, quando fu interrotto da una seria ammonizione, fattagli con le seguenti parole: «Questi, diss'ella, sono i vasi sacri appartenenti a S. Pietro; se voi ardite di toccarli, tal sacrilego fatto resterà sulla vostra coscienza. Quanto a me, io non ardisco di ritenere quel che non son capace di difendere». Il Capitano Goto, colpito da riverenzial timore, mandò ad informare il Re del tesoro che avea scoperto, e ricevè da Alarico un ordine perentorio, che tutti gli ornamenti ed i vasi sacri fossero trasportati senza danno o dilazione alcuna alla Chiesa dell'Apostolo. Dall'estremità probabilmente del colle Quirinale, fino al distante quartiere del Vaticano, un numeroso distaccamento di Goti, marciando in ordine di battaglia per le strade principali, difese con lucenti armi la lunga schiera dei loro devoti compagni, che portavano altamente sul capo i sacri vasi d'oro e d'argento; ed i marziali clamori dei Barbari si mescolavano col suono d'una salmodia religiosa. Da tutte le circonvicine cose una folla di Cristiani affrettossi ad unirsi a quest'edificante processione; ed una moltitudine di fuggitivi senza distinzione d'età, di grado, o anche di setta ebbe la buona fortuna di rifuggirsi al sicuro ed ospital santuario del Vaticano. L'erudita opera intorno alla Città di Dio fu composta espressamente da S. Agostino per giustificare i disegni della Previdenza nella distruzione della grandezza Romana. Ei celebra con particolare soddisfazione questo memorabil trionfo di Cristo, ed insulta i suoi avversari con provocarli a produrre qualche simile esempio d'una città presa per assalto, in cui gli Dei favolosi dell'antichità fossero stati capaci a difendere o se stessi, o i delusi loro devoti282.

      Nel sacco di Roma si sono meritamente applauditi alcuni rari e straordinari esempj di barbara virtù. Ma i sacri recinti del Vaticano e delle Chiese Apostoliche potevan contenere una ben piccola porzione del Popolo Romano: più migliaia di guerrieri, specialmente gli Unni, che militavano sotto lo stendardo d'Alarico, non conoscevano il nome o almeno la fede di Cristo; e possiam sospettare, senz'alcun pregiudizio della carità o del candore, che nel tempo della sfrenata licenza, quando era accesa ogni passione, e tolto qualunque freno, i precetti dell'Evangelio di rado influissero nella condotta dei Goti Cristiani. Gli scrittori, più disposti ad esagerare la lor clemenza, liberamente han confessato, che fu fatta una crudele strage dei Romani283, e che le contrade della città eran piene di cadaveri, che restarono senza sepolture, finchè durò la generale costernazione. La disperazione dei cittadini si convertì qualche volta in furore; e quando i Barbari eran provocati dall'opposizione, essi estendevano promiscuamente il macello a' deboli, agli innocenti ed ai miserabili. Fu esercitata senza pietà o rimorso la privata vendetta di quarantamila schiavi; e le ignominiose battiture, che avevano antecedentemente ricevuto, furon lavate nel sangue delle colpevoli e delle innocenti famiglie. Le matrone e le vergini Romane furono esposte ad ingiurie più terribili, rispetto alla castità, che la morte medesima: e l'Istorico Ecclesiastico ha scelto un esempio di virtù femminile per servire d'ammirazione a' futuri secoli284. Una dama Romana, di singolar bellezza e di fede ortodossa, aveva eccitato gl'impazienti desiderj di un giovane Goto, che, secondo l'osservazione di Sozomeno, era attaccato all'eresia Arriana. Inasprito dall'ostinata resistenza, egli trasse la spada, e coll'ira d'un amante leggermente la ferì nel collo. L'insanguinata Eroina continuò tuttavia ad affrontarne lo sdegno ed a rigettarne l'amore, finattantochè il rapitore desistè dagl'inefficaci suoi sforzi, la condusse rispettosamente al Santuario del Vaticano, e diede sei monete d'oro alle guardie della

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<p>277</p>

Vedi la causa e le circostanze della caduta d'Attalo appresso Zosimo l. VI. p. 380-384, Sozomeno l. IX. c. 8, e Filostorgio l. XII. c. 3. I due atti d'indennità, che sono nel Codice Teodosiano l. IX. Tit. 38. leg. 11, 12, e che furono pubblicati il dì 12. di Febbr. ed il dì 7. d'Agosto dell'anno 410. evidentemente si riferiscono a quest'usurpatore.

<p>278</p>

In hoc, Alaricus, Imperatore facto, infecto, refecto, ac defecto… mimum risit, et ludum spectavit Imperii. Orosio l. VII. c 42. p. 582.

<p>279</p>

Zosimo l. VI. p. 484 Sozomeno l. IX. c. 9. Filostor. l. XII. c. 3. In questo luogo il testo di Zosimo è mutilato, ed abbiam perduto il sesto e l'ultimo suo libro, che terminava col sacco di Roma. Per quanto credulo o parziale sia quest'istorico, noi ci dobbiamo licenziare da lui con qualche rammarico.

<p>280</p>

Adest Alaricus, trepidam Romam obsidet, turbat, irrumpit. (Orosio lib. VII. c. 39. p. 573.) Egli sbriga questo gran fatto in sette parole; ma impiega delle intere pagine a celebrare la devozione dei Goti. Io ho tratto da un'improbabile storia di Procopio le circostanze, che avevano qualche aria di probabilità. (Procop. de Bell. Vandal. l. I. c. 2). Questi suppone, che la città fosse sorpresa mentre i Senatori dormivano dopo pranzo; ma Girolamo con maggiore autorità e ragione asserisce, che ciò seguì nella notte; nocte Moab capta est; nocte cecidit murus ejus: Tom. I p. 121 ad Principiam.

<p>281</p>

Orosio (l. VII. c. 39. p. 573-576) fa plauso alla pietà dei Goti Cristiani, senza parer d'accorgersi, che per la maggior parte erano eretici Arriani. Giornandes (c. 30. p 653) ed Isidoro di Siviglia (Chron. p. 614. Edit. Grot.) che erano ambidue attaccati alla causa dei Goti, hanno ripetuto ed abbellito questi racconti. Secondo Isidoro s'udì dire ad Alarico medesimo, che egli faceva la guerra coi Romani, non cogli Apostoli. Questo era lo stile del settimo secolo; duecento anni prima, si sarebbe attribuito il merito e la gloria non agli Apostoli ma a Cristo.

<p>282</p>

Vedi Agostino, de Civ. Dei, lib. I. c. 1, 6. Esso particolarmente cita gli esempj di Troia, di Siracusa e di Taranto.

<p>283</p>

Girolamo (T. I. p. 121. ad Principiam) applicò al sacco di Roma tutte le forti espressioni di Virgilio:

Quis cladem illius noctis, quis funera fando

Explicet etc.

Procopio (l I. c. 2) positivamente afferma che fu ucciso un gran numero di Romani dai Goti. Agostino (de Civit. Dei, lib. I. c. 12, 13) offre un conforto Cristiano per la morte di quelli, i corpi de' quali (multa corpora) eran restati (in tanta strage) insepolti. Il Baronio, da' diversi scritti dei Padri, ha sparso qualche lume sul sacco di Roma. Annal. Eccles. an. 410. n. 16, 44.

<p>284</p>

Sozom. l. IX. c. 10. Agostino (de Civ. Dei, l. II. c. 17) racconta, che alcune vergini o matrone s'uccisero da se stesse per evitar la violazione, e sebbene ammiri il loro spirito, pure è costretto dalla teologia, a condannare la temeraria lor presunzione. Forse il buon Vescovo d'Ippona fu troppo facile a credere, ugualmente che troppo rigido a censurare, questo atto di femminile eroismo. Lo venti fanciulle (se pur vi furono) che si gettarono nell'Elba, quando Magdeburgo fu preso d'assalto, si son moltiplicate fino al numero di mille e dugento: Vedi Harte Istor. di Gustavo Adolfo Vol I. pag 308.