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eravate?»

      «Quahadi» rispose lei.

      «Mmm, vivevano in regioni piuttosto remote. Non ho mai avuto rapporti diretti con loro.»

      Dunque non era stato così vicino a lei come aveva inizialmente pensato.

      «Perché vi hanno barattata dopo otto anni?»

      «Ci fu della confusione circa una proposta di matrimonio per me. La figlia maggiore di Corre Coi Bisonti si adirò e lui, in un gesto di buona volontà, scelse di restituirmi alla mia gente.»

      «Buona volontà un corno» inveì Matt. «Vi ha tenuta in ostaggio per otto anni.»

      «Allora, mi credete?»

      Le sue parole rimasero sospese nell’aria, prive di risposta. La pioggia infieriva sul tetto, il tuono ruggiva in lontananza e l’oscurità l’avvolgeva come una vecchia amica. Quante volte si era stretta alle sorelle comanche sotto il lembo di un tepee mentre una tempesta improvvisa sorprendeva la tribù?

      «Perché non vi siete fatta viva due anni fa?» Matt sembrava ancora dubbioso.

      «Il trafficante mi picchiava» rispose lei con voce d’un tratto roca. «Un vecchio minatore di nome Elijah s’impietosì, mi comprò e mi portò nel profondo Messico.»

      Un lampo illuminò Matt. Fletteva la mascella e teneva le mani sui fianchi con atteggiamento indifferente, ma il suo umore diceva ben altro. Non ricordava di averlo mai visto così.

      «Chi era il trafficante?»

      «Un comanchero chiamato Jose Torres.»

      Matt imprecò a denti stretti.

      «Lo conoscete?» chiese lei, sorpresa.

      «Già. È un ignobile pezzo di…» s’interruppe e inspirò a fondo. «Molti prigionieri, purtroppo, sono passati per le sue mani.»

      «Quando Elijah è morto, qualche mese fa, non ho avuto altra scelta se non cercare la via del ritorno» aggiunse. «Non lo avevo fatto prima perché non avevo idea di dove mi trovassi.»

      «Ci avete messo due mesi a tornare nel Texas?»

      «Mi sono fermata per qualche settimana appena fuori Albuquerque per aiutare un’amica. Mi ha accompagnata qui.»

      «E dov’è, adesso?»

      «C’incontreremo domani. Si chiama Claire Waters. Quando l’ho trovata era ridotta molto male.» A dire il vero, Molly si era meravigliata che fosse ancora viva, coperta di lividi e sangue com’era, giacente sul letto di uno delle migliaia di arroyos ai piedi delle Sandia Mountains.

      D’un tratto si sentì stanca. Gli eventi della giornata, e delle ultime settimane, cominciavano ad avere la meglio. «Dovremmo accendere un fuoco» disse, andandogli incontro verso la porta. Matt non si mosse. Gli occhi incollati su di lei.

      Indugiando al suo fianco, Molly azzardò: «Ricordi la volta in cui trovai un serpente a sonagli nascosto sotto un cespuglio di mesquite?» Teneva lo sguardo dritto davanti a sé. «Ero pronta a colpirlo con la fionda, ma tu mi bloccasti il braccio. Quell’estate vegliasti su di me più di chiunque altro avesse mai fatto.»

      Sollevò il mento e lo guardò, chiedendosi che cosa gli fosse accaduto in quegli anni. Sembrava aspro, rabbioso e stanco. E zoppicava un po’. Era sposato? Aveva una casa piena di figli? Dieci anni prima era stato così benevolo con lei: paziente, indulgente e sorridente di fronte ai suoi teatrini. Sapeva che sarebbe stato un buon padre.

      «Ero convinta che non ti avrei mai più rivisto, Matt.» Sulle sue labbra affiorò un sorriso titubante.

      Lui si limitò a guardarla e Molly gli passò accanto in tutta fretta, lasciandolo solo a far chiarezza dentro di sé.

      Capitolo Tre

      In piedi nella stanza buia, con lo scroscio della pioggia tutt’intorno, Matt sentiva i propri pensieri rimbalzare nella mente.

      Molly. Viva.

      No! La donna era semplicemente un’abile bugiarda. Forse aveva sentito raccontare la storia degli Hart e aveva deciso di raggirare le persone più vicine alla famiglia. Ma era illogico. Che motivo avrebbe mai potuto avere? Non poteva sapere che proprio oggi lui sarebbe andato al loro ranch abbandonato.

      Se si trovava lì era solo perché i due mesi di convalescenza sotto le cure tenaci di sua madre lo avevano reso scontroso e bisognoso di cambiare aria. Per non parlare poi dell’irrequietezza del suo animo.

      Quattro mesi aveva trascorso come prigioniero di Augusto Cerillo, un bandito messicano noto per le sue torture. Con gli altri Rangers della propria compagnia ne aveva seguito le tracce per due anni, finché non lo aveva avuto quasi in pugno. Quasi. Se il vecchio compagno d’armi, Nathan Blackmore, non lo avesse tirato fuori, Matt sarebbe di certo morto nell’inferno che Cerillo aveva creato apposta per lui. Il corpo era guarito, a parte la lieve zoppia che il danno alla gamba destra gli aveva causato, ma lo spirito faticava ancora a rimettersi.

      Forse era proprio per questo che, dopo dieci anni, si era finalmente deciso a far visita al tumulo di Molly.

      E se la donna fosse stata davvero lei?

      Matt non riusciva neanche a immaginare le conseguenze. Sfregandosi la guancia ruvida, si accorse che la mano tremava.

      Dall’attimo in cui Molly Hart era stata dichiarata morta, la sua vita era cambiata. Rabbioso, aveva giurato che in qualche modo l’avrebbe vendicata. Si era arruolato nell’esercito americano e aveva partecipato alle incessanti campagne di sradicamento dei Comanche dal Texas. Quando i Quahadi – l’ultima nonché la più letale delle tribù comanche – si erano finalmente arresi entrando nella riserva nel ’75, Matt aveva lasciato l’esercito per passare ai Rangers. Il lavoro richiedeva più fegato, la paga era inferiore e le condizioni spesso peggiori, ma rispondeva al suo scopo: eliminare quanti miravano a terrorizzare degli innocenti, ammazzando senza remore uomini, donne e bambini indifesi.

      L’eventualità che Molly fosse davvero viva significava forse che per tutti quegli anni aveva combattuto la battaglia sbagliata?

      Dopo i massacri a cui aveva assistito era ormai fin troppo cinico per lasciarsi andare all’innocenza della sua giovinezza. Avrebbe preteso altre prove. Se la donna non era Molly – e lui doveva credere che non lo fosse – l’avrebbe tartassata fino a farla confessare.

      Andò a cercarla, fermandosi sulla soglia di un’altra camera da letto. La donna – o meglio l’impostora – era inginocchiata davanti a un caminetto. Le fiamme tremolanti gettavano un caldo bagliore per tutta la stanza. La vide girarsi sui talloni calzati da stivali a prendere qualcos’altro da bruciare e fu colpito dal suo aspetto giovane e vulnerabile contro il fuoco che, intanto, le illuminava il contorno dei seni. Alti, tondi e ben modellati. La sua mente indugiò per un attimo su quella vista, quindi la spinse brutalmente da parte.

      Non era proprio il momento di cedere all’attrazione.

      Si era tolta il cappello, rivelando capelli di un castano scuro legati dietro la nuca. Molly aveva i capelli scuri. Così come altre centinaia di donne, ricordò a se stesso.

      «Dubito che troverei qualcosa di asciutto là fuori, perciò arderò dei pezzi di sedia» disse lei, notando la sua presenza.

      «Che nome avevi dato alla tua fionda?»

      Lasciandosi andare contro una parete lì vicina, la giovane soffiò una ciocca di capelli dal viso. «Scricciolo.»

      Mmm, un colpo di fortuna. «Perché?»

      Non sembrava preoccupata, solo stanca. «Perché credevo davvero che fossero gli scriccioli a lasciare tutte le pietre che usavo.» Si portò una mano dietro la testa e tirò via la corda che legava i capelli, poi passò le dita tra la massa umida, sorprendentemente corta, e lo guardò dritto negli occhi.

      «Una volta» continuò piano «ti dissi che saresti riuscito a trovarmi seguendo delle

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