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cosa. La sua spada volteggiò per deviare la lama nemica e ucciderne il proprietario. “Ma è un problema con una soluzione, almeno.”

      “Quale soluzione?” chiese Odd, abbattendo un altro uomo, poi un altro ancora.

      “Io difendo la posizione mentre tu scappi,” rispose Wendros. Deviò un colpo e calciò un soldato addosso ad altri due, rallentandone un poco il ritmo.

      “Cosa? No,” ribatté Odd, e non solo perché non gli piaceva l’idea di scappare da un combattimento. Il maestro di spada lo aveva trattato come un suo simile e non come un cane rabbioso da usare contro i nemici ed evitare per il resto del tempo.

      “Pensi che io possa correre?” chiese Wendros, mentre uccideva un altro uomo ancora. “Vai, Odd!”

      “Io… grazie,” disse l’ex monaco. Si gettò all'indietro, dirigendosi verso la porta. Non poté fare a meno di guardarsi alle spalle, però.

      Quello che vide gli si impresse dentro come qualsiasi altro oscuro ricordo della sua vita. Vide Wendros piroettare in un vortice di acciaio sfocato, che sembrava sfiorare appena i suoi nemici ma essere abbastanza affilato da finirli con quel tocco. Faceva vorticare le spade ed era un tutt’uno con esse, mentre uccideva qualsiasi uomo gli si avvicinasse, anche quando cominciarono a riversarsi tutti intorno a lui.

      Se la sua gamba ferita non fosse scivolata mentre si girava per affrontarne un altro, forse avrebbe potuto anche tenerli tutti a bada. Nello stato in cui era, il suo equilibrio cedette, solo per un istante, lasciando la più breve delle aperture.

      Una spada la trovò e lui venne trafitto, anche se riuscì a uccidere un altro uomo. Poi una seconda spada varcò l’apertura e gli si infilzò sotto l’ascella, unendosi alla prima. Odd osservò il maestro di spada morire e uccidere gli avversari anche mentre lo faceva.

      Poi giunse il momento di fare una cosa che non aveva mai fatto in tutti i suoi anni come Cavaliere dello Sperone. Corse via, con tutti i soldati di Re Ravin sulla sua scia.

      CAPITOLO QUINTO

      Il Maestro Grey avvertì la luce dell’alba avvolgerlo. In un altro giorno, il suo calore avrebbe potuto essere piacevole, ma ora era un disturbo. La magia si basava sull’equilibrio delle forze del mondo e qualsiasi cambiamento poteva perturbare quell’equilibrio. L’alba era come un vento che spingeva ai margini della sua mente, che lo colpiva in un modo impossibile da controllare.

      “Solo… qualche… altro… minuto,” borbottò Grey a denti stretti. Lui era il fulcro in base a cui si muovevano le leve del mondo, il mozzo della ruota, il punto fermo al centro di tutto.

      Ma non era fermo. Aveva tremato per lo sforzo di tutto ciò quasi da quando aveva iniziato; il sudore gli inzuppava le vesti mentre lottava per tenere tutto collegato, per far sì che la magia fluisse attraverso di lui.

      Ogni istante in più che durava un incantesimo, diventava sempre più difficile da mantenere; le strutture ordinate dei primi istanti decadevano e diventavano più selvagge, man mano che le forze al suo interno si agitavano in un modo e nell’altro. L’incantesimo di un novizio sarebbe crollato a quel punto, come era accaduto a molti di quelli che aveva fatto Devin mentre modellava il metallo stellare. Un mago esperto poteva sostenerlo per un breve periodo, ma il Maestro Grey aveva portato avanti quello sforzo per ore, adattandosi a ogni cambiamento, riportando tutto nel suo insieme.

      A un certo punto, però, neanche lui avrebbe potuto proseguire, ed era proprio quello il momento in cui avrebbe dovuto fare una scelta. Poteva resistere un po’ più a lungo, spingersi al limite assoluto, ma alla fine la sua pressione avrebbe fatto crollare l’incantesimo e anche lui.

      E poi… sarebbe stato troppo stanco per fuggire, troppo spento per combattere mentre le forze di Re Ravin assalivano il castello. Se lo avessero catturato, cosa sarebbe successo? Il Maestro Grey non era abbastanza arrogante da credere che non avrebbe rivelato alcun segreto dandolo in pasto agli aguzzini di Ravin, che non avrebbe dato loro un aiuto se lo avessero costretto.

      Non poteva permettere che ciò accadesse. C’erano ancora degli eventi che dovevano verificarsi, ancora delle cose che doveva fare, o tutti i Tre Regni sarebbero stati in pericolo e per cose peggiori delle forze di Re Ravin.

      Diede un ultimo sguardo alla città. In piena alba, non era necessaria la vista di uno stregone per rendersi conto della diffusione dell’esercito del Regno del Sud. Ora riempiva tutti i quartieri bassi della città e presto si sarebbe esteso anche al castello. Accolse in sé l’impeto dell’acqua, la sua furia che scorreva attraverso i canali che dividevano la città. Grey pensò a tutti coloro che erano morti e che potevano ancora morire. Poteva solo sperare di aver salvato qualche vita con le sue azioni; magari avrebbe in parte compensato le morti che sarebbero seguite.

      Lasciò cadere l’incantesimo.

      Fu come liberare le redini di uno stallone che voleva caricare, l’energia ritratta scoppiò in un tuono che echeggiò sopra a Royalsport, mentre la furia dell’acqua sottostante cominciava a rifluire. I corsi iniziarono ad abbassarsi e l’acqua tornò verso il mare, dopo un arco così lungo in cui si era gonfiata e accumulata. Il livello discese e il Maestro Grey sapeva che ben presto le truppe di Ravin si sarebbero riversate in tutto il regno, inarrestabili una volta unite.

      Doveva andarsene.

      Raggiunse la cassa che teneva chiusa nei suoi alloggi, prendendone il contenuto. Poi rimase lì in piedi, attingendo al suo potere, sperando di avere ancora abbastanza forza per questo. C’erano alcune arti magiche che il Maestro Grey capiva meglio di chiunque altro fosse in vita. Quello che fece dopo fu praticare una di queste. Prese quel potere e lo modellò, in modo che la nebbia riempisse la stanza, oscurando persino le pareti. Il Maestro Grey cominciò a camminare attraverso quelle nebbie, attraverso i luoghi tra esse, un passo dopo l’altro, attento.

      Nella stanza della torre, le nebbie cominciarono a sollevarsi, uscendo dalle finestre e bruciando a dissolversi sotto alla luce del sole. Ma erano durate abbastanza a lungo, perché quando si alzarono, il Maestro Grey non c’era più.

*

      Vars fuggiva alla velocità di un animale cacciato attraverso i tunnel che portavano fuori dal castello, inciampando sui suoi stessi piedi e rialzandosi, senza curarsi delle ginocchia che gli si sbucciavano contro la pietra dura. In quel momento, tutto ciò che contava, era fuggire lontano, per liberarsi di tutto.

      Era adesso sporco di polvere e terra del tunnel, i suoi abiti reali erano strappati dove avevano raschiato contro il pavimento, i suoi capelli scuri erano striati di terra e aveva il volto sporco di polvere. C’erano tratti in cui il tunnel era stretto e Vars era contento di non essere alto e possente com’era stato suo fratello Rodry. Ma, del resto, Rodry non sarebbe neanche stato lì, sarebbe rimasto a combattere.

      La paura lo alimentava, lo spingeva in avanti, gli dava una velocità che le sue gambe non avrebbero posseduto in nessun altro momento. Sapeva che Re Ravin lo avrebbe ucciso per il trono, per rendere chiaro che aveva conquistato il regno e, allo stesso tempo, per eliminare un rivale. Vars si malediceva per il terrore che provava, nonostante si stesse rivelando una benedizione, che lo aveva portato a scappare, a sopravvivere. Ogni passo sembrava condurlo più vicino alla sicurezza, ma gli faceva anche sentire il peso dell’aver abbandonato i suoi doveri, scappando da tutte le cose per cui aveva lavorato tanto duramente.

      Suo padre non sarebbe fuggito, suo fratello neanche. Naturalmente, entrambi sarebbero morti. Vars aveva fatto tutto il possibile come re; aveva inviato le sue forze a contrastare la minaccia del Regno del Sud. Che altro avrebbe potuto fare?

      Davanti a sé, vide uno spiraglio di luce e proseguì in quella direzione, per trovare una grata fissata dall’interno con dei bulloni marroni e rossi per la ruggine. Vars li tirò con tutte le sue forze, desiderando in quel momento di aver passato più tempo a rafforzare il suo corpo, come gli aveva sempre consigliato Rodry. Sentì il metallo incidergli le mani, ma continuò lo stesso, strattonando i bulloni fino a quando il metallo stridette e alla fine cedette, cadendo a terra e lasciando aprire la grata cigolante.

      Vars si alzò e si tirò su sotto alla luce dell’alba, respirando profondamente all’aria aperta.

      Si alzò e si guardò intorno, cercando di capire dove

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