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Smettetela di crearvi problemi inutili!”

       “Ha ragione! – intervenne il Conte – Jonas non lo considererebbe un atto di civetteria! E’ troppo preso da Marian per strani fraintendimenti.” Strinse le labbra. “Il ragazzo ha corso un po’ la cavallina in passato… ma ora sembra che abbia messo la testa a posto!”

       Kaitlin sospirò. “Comunque, non mi sentirei a mio agio.”

       “Va bene, fate come volete! – intervenne Samantha – Ma vi prego di rilassarvi un po’ e di non crearvi tanti problemi! Imparate a prendere la vita con più leggerezza!”

       Per Samantha era facile, ma non per Kaitlin. Dopo la morte dei suoi genitori era andata a vivere con l‘anziano zio e, da allora, aveva perso ogni capacità di godersi la vita. Era cresciuta troppo in fretta; rimanere orfana l’aveva cambiata, e in peggio. Piuttosto che insistere su qualcosa che l’amica conosceva già alla perfezione, si rivolse allo zio.

       “Abbiate cura di voi, mentre sarò via. Tornerò per ora di cena.”

       “Divertitevi, cara.” rispose lui, con affetto.

       Kaitlin afferrò il suo cappellino e se lo sistemò sui fini capelli dorati. Era bianco, con nastri di un rosa tenue che ben si accordavano al suo abito. Poi si voltò verso Samantha, sorridendo: “Allora, andiamo?”

       “Sicuro! - esclamò l’amica di rimando – E’ una settimana che non sto nella pelle! Credo che Marian debba dirci qualcosa!”

       “Come? – si stupì Kaitlin – Ma se è una settimana che non vi vedete!”

       Samantha la prese sotto braccio e le sussurrò all’orecchio: ”Ho corrotto la sua cameriera! Sapete, mi piace essere sempre al corrente dei fatti!”

       Kaitlin scosse il capo: “Siete incorreggibile.”

       “Lo so! – sorrise con leggerezza Samantha – Ma voi mi volete bene lo stesso, no?”

       Salirono in carrozza, dirette al palazzo di Marian. A differenza dell’amica, Kaitlin era un tipo paziente, e avrebbe atteso che fosse Marion a comunicare eventuali novità. Aveva già intuito qualcosa e si augurava che la cugina avrebbe fatto loro una bella sorpresa.

       …………………………………………………………………………………………

       Gregory Caine, Conte di Shelby, avrebbe preferito di gran lunga trovarsi tra le braccia morbide e pienotte di una bella donna, piuttosto che sorbirsi ancora per un minuto la compagnia di quel ragazzotto piagnucoloso che aveva davanti. Purtroppo non sarebbe stato così. Il Conte di Barton era l’individuo più idiota e irritante che avesse mai conosciuto.

       “Da quanto tempo mi conoscete?” stava dicendo in quel momento, con un tono a metà tra durezza ed esasperazione. Odiava avere a che fare con i nuovi arrivati del Coventry club. Ancora non aveva capito come e perché avesse accettato di essere il vice di Harrington in queste cose. In genere tendeva sempre a sottrarsi all’amaro compito, ma oggi la sua pazienza era stata messa duramente alla prova.

       “Ehm…- il viso di Barton si accese stupidamente ed egli inclinò la testa all’indietro - Circa un mese, credo.”

       Perché diavolo Harrington aveva permesso a quel bamboccione di entrare nel club? Di sicuro si era accorto che quello non godeva delle qualità di lealtà e senso del dovere che si esigevano da un membro del circolo!

       “E’ un mese che siete entrato nel Coventry club, ma NOI ci conosciamo da più tempo!” esclamò. Odiava ricordarlo, ma la tenuta Barton era vicina a quella della sua famiglia, nel Sussex. “ Siete stato anche ospite al Parkdale Abbey varie volte, se ben ricordate.”

       Era un bel po’ che non andava a fare visita a sua madre. Preferiva godersi Londra e tutte le sue attrattive. Non era più neanche andato a controllare le sue proprietà. Il Conte di Barton, quel ragazzotto insipido dai capelli color sabbia, era di dieci anni più giovane. Forse aveva quattro anni più di sua sorella Samantha. Nei suoi occhi verdi si leggeva una certa ottusità e probabilmente anche una scarsa intelligenza. Almeno, questo era ciò che lui pensava del Conte. Di certo, quello non aveva dato prova di scaltrezza.

       “Mi pare..” belò il Conte. Gregory alzò gli occhi al cielo. Basta! Stava ormai per perdere definitivamente la pazienza e ficcare a forza un po’ di luce in quella zucca vuota, quando entrò Harrington. Riccioli scuri gli incorniciavano il viso e il collo, e il suo sguardo acuto era l’esatto opposto di quello di Barton. A quel ragazzotto mancava sicuramente un barlume d’intelligenza, per poter competere con i notabili del club, i cui ritratti ornavano le pareti. Il direttore del Coventry club lanciò prima un’occhiata a Barton, poi a Gregory e infine esclamò, con autorità: “Posso sapere che succede, qui?”

       “Mi piacerebbe non dirvelo. – rispose Gregory, combattendo con l’impulso di stringere i pugni. Harrington avrebbe dovuto mettere a posto le cose, non lui! “Purtroppo credo che dovrò mettervi al corrente.”

       Harrington afferrò una poltrona e si accomodò accanto ai due. Poi appoggiò i gomiti sul bel tavolo di quercia lucidata. “Cos’ha fatto Barton, oggi? – chiese, senza neppure degnare di uno sguardo il giovane Conte.

       Gregory gemette. “ Non vedo perché dobbiamo stare qui a discutere con lui.”

       “Perché non molto tempo fa anche noi abbiamo avuto bisogno di un aiuto, e il club ce lo ha dato.” disse Harrington. Poi si rivolse a Barton. “Allora, siete riuscito a capire perché Shelby si è infuriato con voi?”

       “Io.. – Barton deglutì a fatica – Non volevo…”

       Gregory strinse i pugni, ma si fece forza e si trattenne. Però si vedeva che stava per esplodere. Harrington ridacchiò sotto i baffi, rimanendo ben fermo al suo posto.. Era una novità che l’amico fosse riuscito a controllarsi e lo ammirò. Perdere la calma era naturale per Gregory. Era quasi una deformazione che tentava di correggere, ma che purtroppo si era radicata in lui già in tenera età. Gregory guardò Barton e gli sussurrò a denti stretti: ”Perché non confessate cos’avete combinato?”

       Harrington fissò Gregory in un certo modo, che era un segnale tra loro per pregarlo di farsi da parte e lasciare che chiarisse lui la cosa col suo protetto…se si poteva chiamare così uno come Barton. Poi Harrington si rivolse al ragazzotto piangente, per lasciare il tempo a Gregory di far sbollire la rabbia.

       “In questo club abbiamo delle regole., che vi sono state comunicate quando avete chiesto di farne parte. Non si tratta di regole difficili da seguire, eppure avete problemi a rispettarle.” Accennò a Gregory: “Shelby non si sarebbe infuriato con voi, se non aveste commesso una grave mancanza. Ora, di grazia, ditemi cos’è che ancora non capite.”

       Barton si lasciò andare sulla poltrona come un sacco vuoto e rimase fissare Gregory con aria gelida. Stava per iniziare a comportarsi come un moccioso petulante. Alzò il mento con testardaggine e disse: “Perché non posso avere i miei amici qui? Anche a loro farebbe piacere far parte di un club così esclusivo!”

       “Nessuno dovrebbe essere a conoscenza di questo club, solo i membri! – sbottò Gregory – E i vostri amici, se così vogliamo chiamarli, non lo sono! Tra quelli che avete portato qui uno era una ragazzina , ma lasciamo stare.” In realtà quella marmocchia lo aveva colpito per la sua bellezza. Se fosse stata vestita meglio e si fosse lasciata crescere i capelli, lo avrebbe letteralmente folgorato. E Gregory si considerava un esperto conoscitore di donne. “Quel che conta è che si trattava di ragazzotti dalla mano facile, venuti qui con l’intento di derubarci o qualcosa di simile…”

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