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in modo tale da spingere la borsa che portava sulle spalle ancora di più contro il fianco. Era il genere di precauzione che prendeva sempre quando si recava a far visita a Javier, un suo amico con un vero talento per l’arte.

      Si erano incontrati al college, e mentre Callie aveva forzatamente optato per un lavoro d’ufficio, Javier aveva scelto di provare a realizzare i suoi sogni. Ovviamente, vivere da artista avendo un debito da studente voleva anche dire non risiedere nel migliore dei quartieri. C’erano volte in cui Callie, una giovane donna attraente, non si sentiva per niente al sicuro da queste parti.

      Ma quello – penso tra sé e sé mentre le dita sfioravano il freddo involucro della bomboletta – era il motivo per il quale portava sempre in tasca uno spray al peperoncino.

      Aveva anche un piano di fuga: spruzzare il liquido e scappare, a seconda della posizione in cui si trovava. Doveva attraversare un vicoletto per raggiungere il monolocale di Javi, e quello era anche il nodo cruciale. Prima di quel punto, sapeva che avrebbe fatto meglio a tornare sui suoi passi, sulla strada principale, dove avrebbe potuto trovare la sicurezza tra la folla. Una volta superata la metà del vicolo, avrebbe dovuto correre verso il portone di Javi e urlare al citofono fino a quando lui non l’avesse fatta entrare.

      Ad ogni modo, non aveva passato tutto il suo tempo a preoccuparsi dei potenziali rischi rappresentati dalla zona verso cui si stava dirigendo. Anzi, era proprio il contrario. Callie aveva escogitato il suo piano la seconda volta che aveva fatto visita a Javi, e da allora era stata libera di fantasticare mentre raggiungeva la casa del suo amico. Fantasticare sul tatuaggio che lui le stava disegnando e del risultato finale.

      Lavoravano insieme su quei disegni da un paio d’anni, ancora prima che lei facesse il suo primo tatuaggio. Le era piaciuto così tanto che l’aveva implorato di realizzarne un altro, e questa sarebbe stata la terza volta in cui uno dei disegni del ragazzo avrebbe adornato il suo corpo. C’era qualcosa di sorprendentemente intimo in tutto questo, sebbene loro due non fossero mai stati amanti. Qualcosa del modo in cui la sua opera attraversava il corpo della donna, l’unico atto di ribellione nei confronti dello stile di vita aziendale che avrebbe indubbiamente dovuto sopportare per decenni.

      O forse no. Forse alla fine avrebbe trovato un modo per uscirne, per fare le cose che amava davvero. Avrebbe dato vita a un lavoro tutto suo, sebbene non avesse ancora capito quale. Callie poteva ancora sperarci.

      Si infilò nel vicolo, superando un bidone della spazzatura ribaltato e un murales che era stato ricoperto da graffiti da qualche ragazzino con delle bombolette spray. Arte, coperta da un inutile scarabocchio che esortava le città a sbarazzarsi dei murales. Una vergogna. Il sole della California che aveva illuminato il suo viso era sparito, rimpiazzato dalle fredde ombre che si stagliavano tra i grattacieli, mentre i suoi occhi si adattavano all’incipiente oscurità.

      Dall’altra parte del vicolo entrò un uomo, che si diresse verso di lei. Callie si irrigidì un po’, osservandolo e cercando di fingere di guardare a terra alla sua sinistra. Lui era incappucciato, il volto immerso nell’ombra, le mani in tasca proprio come lei.

      Non riusciva a capire chi fosse. Brutto segno, in un posto come quello. Poteva voler dire che lui non voleva essere riconosciuto. Sì, un gran brutto segno.

      Le dita di Callie si contorsero per avvolgere la bomboletta spray al peperoncino, i muscoli delle sue braccia contratti mentre considerava l’eventualità di usarla. L’avrebbe tirata fuori con un rapido gesto, gliel’avrebbe puntata in faccia, usando la punta dell’indice per trovare l’ugello in modo da accertarsi che fosse rivolto verso il lato giusto, e alla fine avrebbe spruzzato il contenuto e sarebbe scappata.

      Accelerò il passo, pensando che più rapidamente l’avesse superato, meno probabilità avrebbe avuto lui di sopraffarla. Diede un’occhiata alla distanza che li separava, cercando di stimarla, poi alzò subito gli occhi al cielo. Era già a metà strada? Avrebbe fatto prima ad andare avanti o a tornare indietro? Javi la stava aspettando. Forse, se fosse scappata verso la casa del ragazzo, lui l’avrebbe fatta entrare più velocemente. Sì, doveva correre da Javi.

      Trattenne il respiro mentre l’uomo si avvicinava, cercando di continuare a camminare come se non stesse succedendo nulla, ma stringendo più forte che mai la bomboletta spray. Era pronta, pronta a reagire …

      Lui la superò senza fare nulla.

      Callie respirò di nuovo, rimproverandosi mentalmente per essere così paranoica. Era questo che succedeva alle persone eccessivamente pronte. Che pensavano troppo all’eventualità di essere aggredite nei vicoletti.

      Javi sarebbe morto dalle risate per questa storia. Lei gliel’avrebbe raccontata, nonostante fosse imbarazzante. Lui avrebbe riso di gusto e le avrebbe assicurato di proteggerla dai cattivi. Quel momento li avrebbe legati.

      Improvvisamente, Callie si sentì strattonare al punto da perdere l’equilibrio, proprio mentre si stava nuovamente calmando. Qualcosa alle sue spalle. Si rese conto che si trattava di lui … doveva essere lui. L’aveva presa alle spalle, trattenendola con una mano, e l’aveva tirata verso di lui. Le sue scapole sbatterono contro il petto dell’uomo, e sentì qualcosa premere contro la sua gola, qualcosa di affilato, qualcosa …

      Voleva gridare aiuto, chiamare Javi, urlare; ma quando ci provò, tutto ciò che avvertì fu l’aria che gorgogliava dalla sua gola, attraverso il taglio che lui le aveva praticato. Le aveva tagliato la gola. Qualcosa di bollente si stava riversando sul suo petto, e lei sapeva di cosa si trattava: era il suo stesso sangue.

      Con un barlume di lucidità totalmente nuova nella sua vita, Callie Everard si rese conto che stava per morire.

      Anzi, che stava già morendo. Stava accadendo davvero, proprio in questo momento, concretamente, e si rese conto che non avrebbe mai più rivisto Javi e il disegno del tatuaggio, e non avrebbe mai realizzato il suo sogno di creare un lavoro tutto suo, né avrebbe mai acquistato quella Mercedes sulla quale aveva messo gli occhi quando aveva letto che una famosa redattrice di moda ne guidava una. Le mani di Callie strinsero la propria gola, scivolando per colpa del sangue, e la donna riuscì soltanto a percepire i bordi di quel nuovo orifizio, la cui conformazione non aveva alcun senso per le sue dita.

      Callie si accasciò, ignara di questo finché non si rese conto che stava guardando il cielo e che quindi doveva trovarsi in posizione supina. Cercò un’ultima volta di emettere un suono, risucchiando disperatamente l’aria attraverso la bocca spalancata e cercando di espellerla con un grido. Riuscì soltanto ad avvertire un altro fiotto di sangue uscirle dalla ferita, l’ossigeno che gorgogliava al suo interno, incapace di raggiungere i polmoni.

      Passò soltanto un altro breve istante prima che Callie smise del tutto di vedere e di respirare, e di lei non rimase che il suo cadavere, abbandonato in un vicoletto. Un guscio vuoto. La sua anima, o la sua coscienza, o qualsiasi cosa fosse Callie, era andata via, ormai perduta.

      CAPITOLO DUE

      Zoe appoggiò il bicchiere sul tavolo, cercando di non calcolare il volume d’acqua che ancora si trovava al suo interno. Era una battaglia persa in partenza, naturalmente. Avrebbe sempre visto i numeri, che lo volesse o meno.

      “A cosa stai pensando?”

      “Eh?” Zoe alzò lo sguardo con aria colpevole, incontrando gli occhi marroni di John in attesa.

      Si aspettava che perdesse la pazienza, ma non lo aveva ancora spinto fino a quel punto. Al contrario, lui le rivolse un sorriso gentile, uno di quei suoi sorrisi asimmetrici che si inarcavano di più sul lato destro del suo viso che su quello sinistro. Sembrava che lui le dedicasse sempre quei sorrisi, perdonandole questo o quello. Zoe non sapeva davvero se lo meritasse.

      “A cosa pensi?” domandò John.

      Zoe cercò di dare alla propria espressione una forma che riuscisse a comunicargli in modo convincente che fosse tutto ok. “Oh, a niente di particolare,” rispose, realizzando un secondo dopo che forse non era la risposta migliore da dare: “Soltanto a faccende di lavoro.”

      “Puoi parlarmene, lo sai,” disse John, facendo scivolare la sua mano su quelle della donna, sul tavolo. Lei avvertì il battito calmo dell’uomo attraverso il pollice, nel punto in cui premeva sulla sua pelle, più lento del proprio. Molto

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