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discutere d’altro, Agente Roston?”

      L’altra rise un po’ sommessamente.

      “La prego, mi chiami Jenn. E’ così che mi chiamano tutti i miei amici.”

      Riley le rivolse un’occhiata incerta, mentre la Roston si alzò dalla sedia.

      “In ogni caso, non mi permetterò di rivolgermi a lei se non come Agente Paige. Almeno fino a quando lei non si sentirà a suo agio altrimenti. Ma la prego. Mi chiami Jenn. Insisto davvero.”

      La giovane lasciò la stanza, lasciando Riley seduta lì, in stupito silenzio.

*

      Riley s’impose di riprendere il suo lavoro in ufficio. Ogni volta che non era impegnata in un caso, sembrava che tonnellate di noiosa burocrazia si riversassero su di lei e quel carico non si sarebbe esaurito finché non fosse tornata di nuovo sul campo.

      Era sempre sgradevole. Ma oggi aveva molta difficoltà a concentrarsi su quello che aveva davanti. Temeva di aver commesso uno sciocco e terribile errore.

      Perché mai aveva appena consegnato quel file a Jennifer Roston, o “Jenn”, come ora insisteva che Riley la chiamasse?

      Era in sostanza una confessione, per quanto riguardava Riley.

      Perché l’aveva data proprio a quell’agente, quando non l’aveva mostrata a nessun altro? Come poteva un’ambiziosa giovane agente evitare di riportare la trasgressione di Riley ai suoi superiori, forse persino allo stesso Carl Walder?

      In qualsiasi istante, ormai, Riley avrebbe potuto essere arrestata.

      Perché non si era limitata a cancellare il file?

      O perché non se ne era sbarazzata, così come aveva fatto con il braccialetto d’oro che Hatcher le aveva regalato? La catena era un simbolo del loro legame. Conteneva anche un codice per contattarlo.

      Riley l’aveva gettato via in un momento di grande agitazione, nello sforzo di liberarsi di lui.

      Ma,  per qualche ragione, non era riuscita a ripetersi con la chiavetta USB.

      Perché?

      I dati finanziari che conteneva erano senz’altro sufficienti ad almeno limitare i movimenti e le attività di Hatcher.

      Poteva bastare proprio quello per fermarlo definitivamente.

      Era un enigma, così come lo erano vari aspetti del suo rapporto con Hatcher.

      Mentre stava studiando dei documenti sulla sua scrivania, il suo cellulare si mise a squillare. Era un messaggio da un mittente sconosciuto. Riley trasalì, quando lo lesse.

      Pensava che questo mi fermasse? Tutto è già cominciato. Non mi dica che non l’avevo avvertita.

      Riley ebbe difficoltà a respirare.

      Shane Hatcher, pensò.

      CAPITOLO TRE

      Riley rimase a guardare il messaggio, avvertendo un senso di panico crescere dentro di lei.

      Non le fu difficile intuire che cosa fosse accaduto. Jenn Roston aveva aperto il file non appena lei e Riley si erano separate, aveva scoperto il suo contenuto e si era messa già al lavoro, provando a chiudere l’operazione Hatcher.

      Ma, con il suo messaggio, lo stesso evaso aveva annunciato, come gesto di sfida, che Jenn non era riuscita nell’intento.

      Tutto è già cominciato.

      Shane Hatcher era ancora a piede libero, ed era arrabbiato. Con le sue risorse finanziarie intatte, poteva dimostrarsi più pericoloso che mai.

      Devo rispondergli, pensò. Devo ragionare con lui.

      Ma come? Che cosa poteva dire per non farlo infuriare di più?

      Infine, le venne in mente che Hatcher poteva non comprendere totalmente ciò che stava succedendo.

      Come poteva sapere che era la Roston a sabotare la sua rete, e non Riley? Forse poteva fargli comprendere almeno quello.

      Le sue mani tremavano, mentre digitava una risposta.

      Mi lasci spiegare.

      Ma quando provò ad inviare il messaggio, lo vide segnato come “non spedito.”

      Riley gemette con disperazione.

      Era successa la stessa cosa anche l’ultima volta che aveva provato a mettersi in contatto con Hatcher: lui le aveva inviato un messaggio criptico, poi aveva chiuso la comunicazione con lei. Un tempo era stata in grado di comunicare con Hatcher tramite videochiamata, messaggi e persino telefonate. Ma quei giorni erano finiti.

      Ora, non aveva alcun modo per rintracciarlo.

      Ma lui, al contrario, poteva ancora mettersi in contatto con lei.

      La seconda frase del suo nuovo messaggio era particolarmente inquietante.

      “Non mi dica che non l’avevo avvertita.”

      Riley ripensò a quello che le aveva scritto l’ultima volta che aveva comunicato con lui.

      “Lei vivrà per pentirsene. Ma potrebbe non essere così per la sua famiglia.”

      Riley sussultò e disse ad alta voce …

      “La mia famiglia!”

      Tremava mentre tentava di comporre il numero di casa sul cellulare. Sentì uno squillo dall’altro capo del telefono, che continuò a suonare libero. Infine si attivò la segreteria telefonica, e la donna ascoltò la sua stessa voce.

      Riley fece un grande sforzo per impedirsi di gridare.

      Perché nessuno rispondeva? Le scuole erano chiuse per le vacanze di primavera. Le sue figlie avrebbero dovuto essere in casa. E dov’era la governante, che viveva con loro, Gabriela?

      Proprio prima che il messaggio in uscita terminasse, sentì la voce di Jilly, la tredicenne che Riley stava per adottare. La ragazzina sembrò ansante.

      “Ciao mamma. Gabriela è andata a fare la spesa. April, Liam e io eravamo fuori in cortile, a giocare a calcio. Pensiamo che Gabriela torni da un momento all’altro.”

      Riley si accorse di stare trattenendo il fiato. Fece un cosciente sforzo per ricominciare a respirare.

      “Va tutto bene?” chiese.

      “Certo” Jilly rispose, alzando le spalle. “Perché me lo chiedi?”

      Riley lottò per calmarsi.

      “Jilly, potresti andare a dare un’occhiata dalla finestra per me?”

      “OK” Jilly disse.

      Riley sentì dei passi.

      “Sto guardando” la ragazza disse.

      “Il furgone degli agenti dell’FBI è ancora fuori?”

      “Sì. E anche quello nel vicolo. L’ho appena visto, quando era in cortile. Se quello Shane Hatcher si farà vedere, quegli uomini lo prenderanno di sicuro. C’è qualcosa che non va? Mi stai spaventando.”

      Riley si costrinse a ridere.

      “No, non c’è niente che non vada. Sto solo agendo, insomma sto agendo come una mamma, immagino.”

      “OK. A dopo.”

      La telefonata si concluse, ma Riley era ancora sconvolta.

      Andò in fondo al corridoio, e poi si diresse all’ufficio di Brent Meredith.

      La donna balbettò: “Signore, io, ho bisogno di prendermi il resto della giornata libera.”

      Meredith distolse lo sguardo dal proprio lavoro.

      “Potrei chiederle il motivo, Agente Paige?” le domandò.

      Riley aprì la bocca, ma non ne uscì alcuna parola. Se avesse spiegato di essere stata appena minacciata da Shane Hatcher, l’uomo avrebbe insistito per vedere il messaggio in questione. E come poteva

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