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      Ma lo stesso avrebbe usato anche il dolore se avesse dovuto.

      “No, ma sono sicura che hai in programma dell’altro,” disse Stefania. Questa volta non cercò neanche di mostrare innocenza. “Ti divertirai a tentare di spezzarmi, tanto quanto io mi divertirò a giocare con te mentre lo fai. Non è metà del divertimento?”

      Irrien la colpì di nuovo. Stefania allora gli fece vedere il suo atteggiamento di sfida. Era ovviamente quello che voleva. Avrebbe fatto tutto quello che doveva per legare Irrien a sé. Una volta fatto questo, non avrebbe avuto importanza quello che lei avrebbe dovuto soffrire per arrivarci.

      “Pensi di essere speciale, vero?” le disse Irrien. “Sei solo una schiava.”

      “Una schiava che tieni incatenata al tuo trono,” puntualizzò Stefania con la sua voce più sensuale. “Una schiava che ovviamente progetti di portare nel tuo letto. Una schiava che potrebbe essere molto di più. Una compagna. Conosco Delo come nessun altro. Perché non lo ammetti?”

      Irrien allora si alzò in piedi.

      “Hai ragione. Ho fatto un errore.”

      Allungò un braccio, prese le catene e le staccò dal trono. Stefania per un momento provò un senso di trionfo mentre lui la faceva alzare da terra. Anche se adesso era crudele con lei, anche se l’avesse trascinata in camera sua e l’avesse gettata lì per farla sua, sarebbe comunque stato un progresso.

      Ma non fu lì che la gettò. La spinse sul marmo freddo e lei ne sentì la durezza sotto alle ginocchia mentre scivolava e andava a fermarsi davanti a una delle figure lì presenti.

      Lo shock la colpì più del dolore. Come poteva Irrien fare una cosa del genere? Non era stata tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare? Stefania alzò lo sguardo e vide un uomo con una veste nera che la guardava con ovvio sdegno.

      “Ho fatto l’errore di pensare che valesse la pena spendere un po’ di tempo per te,” disse Irrien. “Vuoi un sacrificio, sacerdote? Prendila. Toglile il bambino e offrilo agli dei in mio nome. Non ho intenzione di avere piccoli mocciosi che gironzolano pretendendo questo trono. Quando hai finito, getta quel che resta di lei a qualsiasi bestia se la mangi.”

      Stefania fissò il sacerdote, poi guardò nuovamente verso Irrien, quasi incapace di formare le parole. Non poteva essere vero. Non poteva. Non l’avrebbe permesso.

      “Per favore,” disse. “Questa è una follia. Posso fare per te molto più di questo!”

      Ma non sembrava importare loro. Il panico divampò in lei, insieme al pensiero scioccato che questo stesse veramente accadendo. Avevano davvero intenzione di farlo.

      No, no, non potevano!

      Stefania gridò mentre il sacerdote la afferrava per le braccia. Un altro le prese le gambe e la portarono via mentre si dimenava tra loro. Irrien e gli altri seguirono il gruppetto, ma in quel momento a Stefania non interessava. Aveva solo un pensiero in mente: stavano per uccidere il suo bambino.

      CAPITOLO DUE

      Ceres ancora non poteva credere di essere scappata. Stava stesa sul ponte della piccola imbarcazione che aveva rubato, ed era impossibile pensare di essere effettivamente lì e non nella fossa per i combattimenti sotto al castello, in attesa di morire.

      Non che adesso fossero in salvo. Il volo di una freccia sopra di loro rendeva la cosa molto chiara.

      Ceres guardò oltre il parapetto della barca, cercando di capire se ci fosse qualcosa che poteva fare. Gli arcieri tiravano dalla riva e la maggior parte dei loro dardi finiva nell’acqua attorno alla barca, mentre solo poche frecce colpivano il legno facendoli fremere.

      “Dobbiamo muoverci più rapidamente,” disse Tano accanto a lei. Corse verso una delle vele. “Aiutatemi a tirare su questa.”

      “Non… ancora,” disse una voce roca dall’altra parte del ponte.

      Akila era steso lì, e agli occhi di Ceres aveva un aspetto orribile. La spada della Prima Pietra gli era rimasta conficcata nel corpo fino a pochi minuti prima, e ora che Ceres l’aveva estratta stava ovviamente perdendo sangue. Lo stesso riuscì a sollevare la testa e a guardarla con un’urgenza che era difficile ignorare.

      “Non ancora,” ripeté. “Le navi attorno al porto hanno il nostro vento, e una vela sarebbe solo un bersaglio migliore. Usate i remi.”

      Ceres annuì, tirando Tano verso il punto dove i combattenti che avevano salvato stavano remando. Era difficile trovare un posto dove infilarsi vicino a quegli uomini massicci, ma lei si schiacciò in mezzo e offrì le sue poche forze rimaste come aiuto ai loro sforzi.

      Si tirarono nell’ombra di una galea ormeggiata e le frecce si fermarono.

      “Ora dobbiamo agire con astuzia,” disse Ceres. “Non possono ucciderci se non ci trovano.”

      Lasciò andare il remo e gli altri fecero lo stesso per un momento o due, lasciando che la barca galleggiasse accanto alla nave più grande, nascosta alla vista dalla riva.

      Questo le concesse un momento per avvicinarsi ad Akila. Ceres lo aveva conosciuto solo per poco tempo, ma sentiva ancora il senso di colpa per quello che gli era accaduto. Stava combattendo per la sua causa quando aveva subito la ferita che anche adesso sembrava una bocca spalancata sul fianco del suo corpo.

      Sartes e Leyana stavano inginocchiati accanto a lui, tentando ovviamente di fermare l’emorragia. Ceres si sentì sorpresa per l’ottimo lavoro che stavano facendo. Capì che la guerra aveva costretto la gente ad imparare ogni genere di abilità che altrimenti non avrebbero mai appreso.

      “Ce la farà?” chiese a suo fratello.

      Sartes sollevò lo sguardo su di lei. Aveva le mani piene di sangue. Accanto a lui Leyana sembrava pallida per lo sforzo.

      “Non lo so,” disse Sartes. “Ho visto abbastanza ferite da spada prima, e penso che questa abbia mancato gli organi vitali, ma mi baso solo sul fatto che non è ancora morto.”

      “Stai facendo le cose in maniera perfetta,” gli disse Leyana prendendogli una mano. “Ma questo è tutto quello che possiamo fare: avremmo bisogno di un vero guaritore.”

      Ceres era felice che fosse lì. Dal poco che aveva visto di quella ragazza fino ad ora, Leyana e suo fratello sembravano fatti l’uno per l’altra. E sembrava veramente che stessero facendo un ottimo lavoro tenendo in vita Akila.

      “Ti porteremo da un guaritore,” promise Ceres, anche se non era certa di come avrebbero mai potuto mantenere la promessa in quel momento. “In qualche modo.”

      Tano ora era alla prua della barca. Ceres andò da lui, sperando che avesse più idee di lei su come uscire da lì. Il porto era pieno di barche in quel momento, e la flotta degli invasori era come una città galleggiante attorno alla città vera e propria.

      “Era peggio di così a Cadipolvere,” disse Tano. “Questa è la flotta principale, ma ci sono altre barche che stanno ancora aspettando di arrivare.”

      “Che stanno aspettando di fare a pezzi l’Impero,” lo corresse Ceres.

      Non era certa dei suoi sentimenti al riguardo. Lei stessa si era data da fare per far crollare l’Impero, ma questo… questo significava solo che sempre più gente soffriva. Gente comune e nobili senza distinzione si sarebbero trovati ridotti in schiavitù nelle mani degli invasori, se non fossero stati altrimenti uccisi. Ormai avevano probabilmente trovato anche Stefania. Ceres avrebbe forse dovuto provare una certa forma di soddisfazione per questo, ma era difficile provare qualcosa di diverso dal sollievo per averla allontanata finalmente dalle loro vite.

      “Sei pentito di aver abbandonato Stefania?” chiese Ceres a Tano.

      Lui allungò un braccio e le cinse la vita. “Sono pentito che siamo dovuti arrivare a tanto,” disse. “Ma dopo tutto quello che ha fatto… no, non me ne pento. Se lo meritava, e si meritava anche di peggio.”

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