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a spingere la gente verso la città. Non poteva neanche rischiare di girare apertamente per Delo, perché le forze della ribellione avrebbero tentato di catturarla.

      Però dov’erano quei soldati? Stefania era passata vicino ad alcune guardie strada facendo, il suo travestimento più che sufficiente per lasciarla passare inosservata. Ma non ne aveva trovate molte. Il castello dava la sensazione di una nave fantasma, abbandonata di fronte a problemi più urgenti. Osservando, Stefania poté vedere i ribelli che si spostavano tra le strade con le armature luccicanti e armi varie. C’erano sicuramente dei buoni numeri, ma quanti erano, e dove?

      L’idea le venne in mente lentamente, più come una possibilità che una realtà. Ma più ci pensava e più le appariva come l’opzione migliore. Non era tipa da tuffarsi nelle cose senza pensare. Nella cerchia della nobiltà, quello era un modo per mettersi alla mercé del potere di qualcun altro, o di trovarsi escluso, o peggio ancora.

      C’erano però delle volte in cui un’azione decisiva era la risposta giusta. Quando c’era un bottino da arraffare, stare indietro poteva fartelo sfuggire di certo quanto l’eccessiva ingordigia.

      Stefania si fece strada verso Elethe, che stava guardando dalle gallerie alla città come se si aspettasse che orde di nemici arrivassero in ogni istante.

      “È ora di andarsene, mia signora?” disse Elethe. “Ceres è morta?”

      Stefania scosse la testa. “C’è stato un cambio di piano. Vieni con me.”

      La sua damigella non esitò minimamente. Seguì Stefania nonostante le preoccupazioni che dovevano di certo assillarla.

      “Dove stiamo andando?” chiese Elethe.

      Stefania sorrise. “Nelle prigioni. Ho deciso che mi devi cedere alla ribellione.”

      Questo ottenne uno sguardo scioccato da parte della ragazza, anche se non era nulla a confronto della sua sorpresa quando Stefania le ebbe spiegato il resto del piano.

      “Sei pronta?” chiese Stefania quando furono più vicine alla prigione.

      “Sì, mia signora,” disse Elethe.

      Stefania si mise le mani dietro alla schiena come se fossero legate, poi avanzò con quella che sperò assomigliasse a una decisa espressione di paura. Elethe stava facendo un ottimo lavoro mostrandosi come una ribelle con un nemico appena catturato.

      C’erano un paio di guardie vicino alla porta principale, dietro a un tavolo con delle carte disposte, mostrando come stessero passando il tempo. Alcune cose non cambiavano mai, nonostante chi c’era in carica.

      Sollevarono lo sguardo quando Stefania si avvicinò, e Stefania fu piuttosto divertita dalla sorpresa che gli vide in volto.

      “Quella è… hai catturato Stefania?” chiese uno degli uomini.

      “Come hai fatto?” chiese l’altro. “Dove l’hai trovata?”

      Stefania udì l’incredulità, ma anche il senso di non sapere cosa fare adesso.

      “Stava sgattaiolando via dalla stanza di Ceres,” rispose Elethe senza esitazioni. La sua damigella era una buona bugiarda. “Potete… devo dirlo a qualcuno, ma non sono sicura a chi.”

      Era una buona mossa. Allora entrambi guardarono Elehte, cercando di decidere cosa fare. Fu allora che Stefania tirò fuori un ago con entrambe le mani e lo spinse avanti a colpire i colli delle guardie. Gli uomini si girarono, ma il veleno era ad azione rapida e i loro cuori già si stavano fermando. Ancora due respiri al massimo e collassarono.

      “Prendi le chiavi,” disse Stefania indicando la cintura di una delle guardie.

      Elehte obbedì, aprendo la prigione. Erano piene fin quasi ad esplodere, proprio come Stefania aveva sospettato. Non c’erano neanche altre guardie. Apparentemente tutti quelli con la capacità di combattere si trovavano entro quelle mura.

      C’erano uomini e donne che erano ovviamente soldati e guardie, torturatori e semplicemente nobili leali. Stefania vide altre delle sue damigelle lì, che la guardarono come se fosse pazza. La mossa sensata era quella di non insistere sulla loro lealtà, ma di fingere di servire il nuovo regime. La cosa importante era che fossero lì.

      “Signora Stefania?” disse una, come se non potesse credere a ciò che stava vedendo. Come se lei fosse la loro salvatrice.

      Stefania sorrise. Le piaceva l’idea di persone che la vedevano come il loro eroe. Avrebbero probabilmente fatto molto di più che semplicemente obbedire, e le piaceva l’idea di girare le armi di Ceres anche contro di lei.

      “Ascoltatemi,” disse loro. “Vi è stato preso un sacco. Avevate così tanto, e quei ribelli, quei contadini, hanno osato prendervelo. Io dico che è ora di riprendervelo.”

      “Sei qui per farci uscire?” chiese uno degli ex soldati.

      “Sono qui per fare molto di più,” disse Stefania. “Ci riprenderemo il castello.”

      Non si era aspettata delle grida di esultanza. Non era così romantica da avere bisogno che un branco di sciocchi la applaudissero a ogni decisione. Ma il piccolo mormorio tra loro fu un po’ irritante.

      “Avete paura?” chiese loro.

      “Ci saranno i ribelli lì!” disse un nobile. Stefania lo conosceva. L’Alto Deputato Scarel era sempre stato svelto a sfidare gli altri in duello quando sapeva di poter vincere.

      “Non abbastanza da tenersi quel castello,” disse Stefania. “Non ora. Qualsiasi ribelle è ora fuori sulle mura, impegnato a tenere a bada l’invasione.”

      “E l’invasione?” chiese una nobildonna. Era poco meglio dell’uomo che aveva appena parlato. Stefania conosceva i segreti di ciò che aveva fatto prima di sposarsi con un benestante, segreti che di certo avrebbero fatto arrossire buona parte dei presenti.

      “Oh, capisco,” disse Stefania. “Preferite aspettare in una bella e sicura prigione che tutto abbia fine. Beh, e poi? Nella migliore delle ipotesi trascorrerete il resto delle vostre vite in questo buco puzzolente, se i ribelli non decideranno di uccidervi in silenzio non appena si saranno resi conto di che prigionieri scomodi siate. Se vinceranno gli altri… pensate che stare in una cella vi proteggerà? Non sarete dei nobili qua dentro per loro, solo dei divertimenti. Brevi divertimenti.”

      Fece una pausa per permettere al discorso di attecchire. Doveva farli sentire come dei codardi per averci anche solo pensato.

      “O potremmo andare là fuori,” disse Stefania. “Prendiamo il castello e ci serriamo contro i nostri nemici. Uccidiamo quelli che si oppongono a noi. Ho già sistemato le cose con Ceres, quindi non sarà in grado di fermarci. Terremo questo castello fino a che la ribellione e gli invasori non si saranno uccisi a vicenda, poi ci riprenderemo Delo.”

      “Ci sono ancora delle guardie,” disse un uomo. “Ci sono ancora dei combattenti qui. Non possiamo metterci contro ai combattenti e vincere.”

      Stefania fece un cenno a Elethe, che iniziò ad aprire i lucchetti delle celle. “Ci sono dei modi. Prenderemo altre armi a ogni guardia che uccideremo, e poi sappiamo tutti dove si trova l’armeria. Oppure potete starvene qui a marcire. Chiuderò le porte e manderò dei torturatori più tardi. Non mi interessa quali.”

      La seguirono e Stefania sapeva che l’avrebbero fatto. Non importava se lo facevano per paura o per orgoglio, o addirittura per lealtà. La cosa importante era che lo stavano facendo. La seguirono attraverso il castello, e Stefania iniziò a dare ordini, anche se fu attenta a farli suonare non proprio come tali, almeno per ora.

      “Lord Hwel, le spiacerebbe prendere alcuni degli uomini più in gamba e andare a sigillare le caserme delle guardie?” disse Stefania. “Non vogliamo che i ribelli escano.”

      “E gli uomini leali all’Impero?” disse il nobile.

      “Lo possono provare uccidendo gli altri traditori,” rispose Stefania.

      Il nobile si affrettò ad andare incontro al suo ordine.

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