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andrà sicuramente bene,” disse avvicinandosi al materasso.

      “Ricordati cosa ti ho detto,” la avvertì Chiqy.

      Annuì. Lui sembrò soddisfatto e fece per andarsene quando l’uomo disse, “Un po’ di privacy, per favore.”

      Chiqy, riluttante, chiuse la tenda. L’uomo era in piedi sopra di lei e la guardava – i suoi occhi vagavano dappertutto. Sarah si sentì male.

      Cominciò a spogliarsi e Sarah usò quel tempo per decidere la prossima mossa da fare. Non avrebbe permesso che accadesse. Di quello era sicura. Se l’avessero uccisa, be’, okay. Ma non sarebbe diventata una schiava sessuale. Doveva solo aspettare che si aprisse una breccia.

      Non ci volle molto.

      L’uomo si era tolto i pantaloni e i boxer e gattonava verso di lei. Strizzava appena gli occhi, e lei capì che senza gli occhiali era un po’ incerto. Presto fu su di lei, a quattro zampe.

      È questo il momento.

      Con un rapido movimento, Sarah si portò la gamba destra al petto e cacciò il piede in avanti, colpendo con l’avampiede della scarpa lo scroto dell’uomo. Lui grugnì immediatamente e le collassò sopra.

      Se lo era aspettata, e gli spinse via il torso contorto. Poi balzò in piedi e corse alla tenda. L’uomo era dietro di lei, che si lamentava nel tentativo di parlare. Fece sbucare la testa fuori dalla tenda e si guardò intorno.

      Al limitare del deposito vide la porta principale. Ma tra dove si trovava lei e la libertà c’erano infiniti materassi occupati e almeno mezza dozzina di uomini che vagavano, tenendo tutto sotto controllo. Non c’era modo di riuscire ad arrivare laggiù.

      Ma forse poteva trovare una porta secondaria, spostandosi nell’ombra contro i muri. Stava per partire quando udì la voce dell’uomo, soffocata e dolorante, ma chiara.

      “Aiuto!”

      Non c’era più tempo. Uscendo dalla tenda si precipitò sulla sinistra, in cerca di qualsiasi cosa che somigliasse a una porta. Riuscì a percorrere circa sei metri prima che apparisse un tizio a bloccarle la strada.

      Girò su se stessa e si mise a correre nell’altra direzione, ma andò dritta verso Chiqy, che la avvolse con un braccio enorme. Si poteva a malapena muovere.

      Molti metri più in là, vide l’uomo che era arrivato in giacca e cravatta. Era piegato in due, però in piedi. Era ancora senza i pantaloni. Alzando una mano, la indicò.

      “Dopo questo, la voglio per metà prezzo.”

      Sarah vide Chiqy prendere qualcosa dalla tasca e capì che cosa fosse – una siringa. Cercò di liberarsi, ma invano. Sentì una puntura acuta sul braccio.

      “Ti avevo avvertita che avrei dovuto usare l’iniezione della buonanotte se ti fossi comportata male,” disse, quasi in tono di scusa.

      Sarah sentì Chiqy mollare la stretta, ma capì che era solo perché lei stava perdendo il controllo di tutti i muscoli. Anche lui se ne accorse, e la lasciò andare. Quando si accasciò al suolo, era già completamente incosciente.

      CAPITOLO CINQUE

      Keri era tesa e nervosa, seduta nella sala d’aspetto dell’ufficio della sicurezza del Fox Hills Mall. Per la quarta volta negli ultimi quindici minuti, le passò per la mente lo stesso pensiero: ci sta mettendo troppo.

      Uno degli addetti alla sicurezza stava cercando il video dell’area ristorante delle due del pomeriggio, l’ora in cui Lanie aveva postato l’ultima foto su Instagram. Ci stava volendo un’eternità, o perché il sistema era vecchio o perché il ragazzo era un incapace.

      Ray sedeva sulla sedia accanto a lei, divorando un cartoccio di pollo che aveva preso quando avevano visitato il ristorante. Il cartoccio di Keri le stava in grembo, per lo più intatto.

      Nonostante il fatto che fossero le sei e trenta e che le ragazze non si facessero sentire solo da quattro ore e mezza circa, Keri aveva l’inquietante sensazione che ci fosse qualcosa di davvero strano in quel caso, anche se ancora non aveva le prove per dimostrarlo.

      “Devi buttar giù quella roba tutta insieme?” chiese sgradevolmente a Ray.

      Si bloccò nel bel mezzo di una masticata e la guardò interrogativamente prima di chiedere, con la bocca piena, “Che cos’hai?”

      “Scusa. Non dovrei prendermela con te. Mi dà fastidio che ci voglia così tanto. Se le ragazze sono state davvero rapite, tutto questo trastullarsi ci fa perdere tempo prezioso.”

      “Diamogli altri due minuti. Se per allora non ce la fa, caliamo la scure. Ci stai?”

      “Ci sto,” rispose Keri, e prese un bocconcino dal cartoccio.

      “Lo so che la situazione ti infastidisce,” disse Ray, “ma chiaramente hai qualcos’altro. Credo che abbia a che fare con quella cosa che mi hai tenuto nascosta alla stazione di polizia. Adesso abbiamo un po’ di tempo. Perciò dimmi.”

      Keri lo guardò e capì che, persino con un pezzo di lattuga tra i denti a renderlo ridicolo, non stava scherzando.

      Sei più vicina a quest’uomo di quanto tu lo sia a chiunque altro al mondo. Merita di sapere. Diglielo.

      “Okay,” disse. “Aspetta, però.”

      Prese il piccolo rilevatore di cimici e di telecamere che teneva nella borsa e fece cenno a Ray di seguirla in corridoio.

      L’aggeggio le era stato consigliato da un esperto di sicurezza e sorveglianza che una volta Keri aveva aiutato per un caso. Le aveva detto che era una buona combinazione di trasportabilità, affidabilità e convenienza – e fino a quel momento pareva avesse avuto ragione.

      Nelle settimane che erano seguite all’accenno da parte dell’avvocato Jackson Cave al fatto che l’avrebbe tenuta sotto stretta osservazione, aveva scoperto molti dispositivi d’ascolto. Una cimice le era stata messa nella lampada della scrivania dell’ufficio. Sospettava che un addetto alle pulizie fosse stato pagato per metterla lì.

      Aveva trovato anche sia una telecamera che una cimice audio nel suo nuovo appartamento. La cimice si trovava nel soggiorno e la telecamera era stata sistemata nella camera da letto. Aveva trovato una cimice anche nel volante dell’auto e un’altra nel parasole della macchina di Ray.

      Edgerton le aveva aggiunto delle protezioni extra al computer dell’ufficio con lo scopo specifico di rilevare software di tracking. Fino a quel momento non era stato scoperto niente. Ma lei andava sul sicuro, ed evitava di usarlo per qualcosa che non fosse il lavoro d’ufficio.

      Il cellulare era rimasto pulito, probabilmente perché non lo lasciava mai. Era l’unico dispositivo con cui aveva comunicato con il Collezionista, e quindi era quello con cui era più protettiva.

      Quando ebbero raggiunto la sala, Keri si controllò con l’aggeggio; poi controllò Ray. Indicò il telefono di Ray. Lui lo prese e lei controllò anche quello.

      Ray si era sottoposto alla procedura molte volte nelle ultime settimane. Inizialmente aveva opposto resistenza, ma dopo che Keri aveva trovato la cimice nella sua macchina non si era più rifiutato. Anzi, avrebbe voluto togliere quella e tutte le altre.

      Lei l’aveva pregato di lasciarle al loro posto e di comportarsi come se fosse tutto normale. Se Cave avesse saputo che l’avevano scoperto, avrebbe sospettato che sapessero del Collezionista e avrebbe potuto dirgli di darsi alla fuga.

      Cave sospettava già che fosse stata Keri a rubargli i file con i dossier sui rapitori mercenari. Ma non poteva esserne certo. In caso contrario non avrebbe comunque saputo quanto aveva scoperto Keri dei legami segreti che aveva con quel mondo oscuro, né se anche lei aveva messo sotto sorveglianza lui. Così, ovviamente, Cave non voleva rischiare di incriminarsi contattando il Collezionista, se poteva evitarlo.

      Lui credeva che fossero a uno stallo. E considerando che Jackson Cave in quel momento aveva molte più informazioni

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