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occhi quando lavorando a un caso un testimone ci provava con lei. Riusciva quasi a percepire che si irrigidiva accanto a lei.

      Pur essendo stato così vicino alla morte dopo la sparatoria, nessuno dei due era stato disposto ad affrontare la questione. Una parte di Keri pensava che fosse inappropriato concentrarsi su trivialità del genere quando stava guarendo da ferite pericolose. Ma un’altra parte di lei era semplicemente terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto se le cose fossero state messe in chiaro.

      Quindi entrambi ignoravano la cosa. E dato che nessuno dei due era abituato a tenere le cose nascoste all’altro, era imbarazzante. Mentre Keri ascoltava il trillo del telefono della stanza di Ray, un po’ sperava che rispondesse e un po’ no. Aveva bisogno di dirgli della chiamata anonima e di cosa aveva scoperto al deposito. Ma non sapeva come cominciare la conversazione.

      Alla fine, non ebbe importanza. Dopo dieci squilli, riappese. Non c’era segreteria sul telefono dell’ospedale, e ciò significava che Ray probabilmente non era a letto. Decise di non provare a chiamarlo sul cellulare. Probabilmente era in bagno o in fisioterapia. Sapeva che non vedeva l’ora di tornare a muoversi e che finalmente aveva avuto il via libera per cominciare la fisioterapia due giorni prima. Ray era un ex pugile professionista e Keri era sicura che avrebbe trascorso ogni minuto libero a lavorare per tornare alla forma fisica perfetta per un combattimento, o almeno per il lavoro.

      Incapace di non tornare con la mente al suo partner, Keri cercò di scacciarsi dalla testa il giro al deposito e di concentrarsi sul caso che aveva per le mani – la persona scomparsa Kendra Burlingame.

      Con un occhio alla strada e l’altro al GPS del telefono, macinò rapida le strade tortuose di Beverly Hills fino all’isolata comunità sopra alla città. Più risaliva le colline, più le strade si facevano ventose e più lontane si facevano le case dalla strada. Lungo il percorso ripassò ciò che sapeva del caso finora. Non granché.

      A Jeremy Burlingame, nonostante il suo lavoro e il luogo in cui viveva, piaceva tenere un basso profilo. I colleghi alla stazione di polizia avevano dovuto scavare un po’ per scoprire che il quarantunenne era un rinomato chirurgo plastico conosciuto sia per le operazioni cosmetiche che faceva alle celebrità sia per quelle pro-bono fatte a bambini affetti da deformità facciali.

      Kendra Burlingame, trentotto anni, un tempo era stata un’addetta alle relazioni stampa di Hollywood. Ma dopo il matrimonio con Jeremy, aveva creato e aveva messo tutte le sue energie in un’associazione no-profit che si chiamava Solo Sorrisi, che raccoglieva fondi per le operazioni sui bambini e coordinava tutti i loro pre- e post-operatori.

      Erano sposati da sette anni. Nessuno dei due aveva precedenti. Non c’era storia conosciuta di disarmonia matrimoniale, né di abuso di droghe o alcol. Almeno sulla carta erano la coppia perfetta. Keri si fece immediatamente sospettosa.

      Dopo alcune curve sbagliate, finalmente parcheggiò alla casa alla fine di Tower Road all’una e quarantuno, con undici minuti di ritardo.

      Chiamarla casa era un eufemismo. Era più una combinazione di edifici che si trovavano tutti su una proprietà che sembrava coprire molti ettari. Dal suo punto di osservazione riusciva a vedere tutta la città di Los Angeles che si distendeva sotto di lei.

      Keri si prese un momento per fare una cosa rara per lei – ritoccarsi il trucco. Togliere l’imbracatura aveva dato una mano al suo aspetto, ma il livido giallastro vicino all’occhio si notava ancora. Quindi lo tamponò con del correttore finché non fu quasi invisibile.

      Soddisfatta, premette il campanello accanto al cancello di sicurezza. Mentre aspettava la risposta, notò la Cadillac rosso granata e bianca del detective Frank Brody.

      Una voca femminile si fece sentire al citofono.

      “Detective Locke?”

      “Sì.”

      “Sono Lupe Veracruz, la domestica dei Burlingame. Entri, prego, e parcheggi accanto al suo partner. La riceverò io e la accompagnerò dal detective Brody e dal dottor Burlingame.”

      Il cancello si aprì e Keri entrò lentamente, parcheggiando accanto al veicolo immacolato di Frank. La Caddy era la sua bambina. Era orgoglioso dello schema cromatico datato, del chilometraggio scarso, e delle dimensioni elefantiache. La definiva un classico. Per Keri, la macchina, così come il suo proprietario, era un dinosauro.

      Mentre apriva la portiera, una minuta ispanica dall’aria affabile vicina ai cinquanta uscì per venirle incontro. Keri uscì dall’auto veloce, non volendo che la donna la vedesse faticare per manovrare la spalla destra ferita. Da quel punto in avanti, Keri si considerava in territorio nemico e su una potenziale scena del crimine. Non voleva tradire alcun senso di debolezza a Burlingame né ad altri nella sua orbita.

      “Da questa parte, detective,” disse Lupe facendosi subito professionale, e girò sui tacchi per condurre Keri lungo un viale di ciottoli delimitato da fiori curati con premura. Keri cercò di stare al passo muovendosi però con cautela. Con le ferite all’occhio, alla spalla e alle costole, si sentiva ancora incerta sul terreno accidentato.

      Superarono un’enorme piscina con due trampolini e a una corsia. Accanto c’era una grande buca con molta terra vicino. Un escavatore se ne stava pigro lì accanto. Lupe colse la sua curiosità.

      “I Burlingame ci metteranno una vasca calda. Ma le piastrelle marocchine che hanno ordinato sono in attesa, quindi il progetto è slittato.”

      “Ho anch’io lo stesso problema,” disse Keri. Lupe non rise.

      Dopo molti minuti raggiunsero un’entrata laterale alla casa principale, che conduceva a una cucina grande e ariosa. Keri riusciva a sentire delle voci maschili vicino. Lupe le fece svoltare l’angolo fino a quella che sembrava essere una stanza per la colazione. Il detective Brody era in piedi, rivolto nella sua direzione, e parlava con un uomo che le dava la schiena.

      L’uomo sembrò aver percepito il suo arrivo e si voltò prima che Lupe avesse la possibilità di annunciarla. Keri, in piena modalità investigativa, si concentrò sui suoi occhi mentre lui la studiava. Erano castani e caldi, con appena una punta di rosso sul margine delle iridi. O aveva delle brutte allergie o di recente aveva pianto. Lui sforzò un sorriso imbarazzato sul viso, parendo intrappolato tra la responsabilità, che da lui ci si aspettava, del bravo padrone di casa e l’ansia data dalla situazione.

      Era un uomo di bell’aspetto, non proprio attraente ma con un viso aperto e amichevole che gli conferiva un’aria avida da ragazzino. Nonostante la giacca sportiva, Keri vedeva che era in buona forma. Non era tanto muscoloso ma aveva la corporatura asciutta e slanciata degli atleti di resistenza, magari era un maratoneta o un triatleta. Era di altezza media, forse sul metro e settantacinque per settantasette chili. I capelli castani tagliati corti avevano le prime sottili striature di grigio.

      “Detective Locke, la ringrazio per essere venuta,” disse avvicinandosi e porgendo la mano. “Stavo parlando con il suo collega.”

      “Keri,” disse Frank Brody bruscamente. “Non siamo ancora entrati nei dettagli. Volevo aspettare che arrivassi tu.”

      Era un colpo sottile al suo ritardo mascherato da quella che poteva sembrare cortesia professionale. Keri, fingendo di non farci caso, si mantenne concentrata sul medico.

      “Piacere di conoscerla, dottor Burlingame. Mi dispiace che le circostanze siano così difficili. Perché non cominciamo subito? In un caso di persona scomparsa ogni secondo è prezioso.”

      Con la coda dell’occhio Keri vide il cipiglio di Brody, che era chiaramente infastidito dal fatto che avesse preso lei il comando della situazione. A lei, in realtà, non fregava un cazzo.

      “Certo,” disse Burlingame. “Da dove cominciamo?”

      “Al telefono ci ha delineato approssimativamente la cronologia degli eventi. Ma vorrei che entrasse più nel dettaglio, se può. Perché non parte dall’ultima volta che ha visto sua moglie?”

      “Okay, è stato ieri mattina ed eravamo in camera…”

      Keri prese la parola.

      “Scusi

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