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Crediamo che il primo colpo sia stato quello proprio dietro l’orecchio sinistro. Deve essere stato sparato da una certa distanza perché non l’ha trapassata completamente. Le ha perforato il cranio, ma per adesso è tutto quello che sappiamo.”

      “E se non è stato quel colpo a ucciderla,” continuò Connelly, “di certo è stato quello che l’ha presa di traverso sotto la mascella. È entrato attraverso il fondo della bocca, è passato nel palato ed è penetrato nella cavità nasale fino al cervello.”

      La violenza implicata fa pensare davvero a Howard Randall, rifletté Avery. È innegabile.

      Ma c’erano altri dettagli nelle immagini che non combaciavano con quello che sapeva di Howard. Studiò le foto, scoprendo che nonostante tutti i casi che aveva visto, quelle erano tra le più sanguinose e sconvolgenti.

      “Quindi di preciso cosa vi serve da me?”

      “Come ho detto…conosci quest’uomo piuttosto bene. In base a quello che sai, vorrei sapere dove potrebbe nascondersi. Credo che possiamo dire per certo che sia rimasto in città, a giudicare dall’omicidio.”

      “Non è pericoloso dare per scontato che sia opera di Howard Randall?”

      “Due settimane dopo che evaso di prigione?” chiese O’Malley. “No. Direi che combacia tutto ed è chiaramente opera sua. Vuoi andare a rivedere le foto delle scene dei crimini dei suoi casi?”

      “No,” rispose Avery con un certo veleno. “Non mi serve.”

      “Quindi che cosa puoi dirci? Lo stiamo cercando da due settimane e non abbiamo ancora scoperto niente.”

      “Pensavo che avessi detto che non mi volevi sul caso.”

      “Mi servono i tuoi consigli e la tua assistenza,” ribadì O’Malley.

      Qualcosa in quella richiesta era quasi offensivo, ma discutere non avrebbe avuto senso. Oltretutto, in quel modo avrebbe potuto concentrarsi su qualcosa che non fosse la situazione di Ramirez.

      “Tutte le volte che ho parlato con lui, non mi ha mai dato una semplice risposta. Era sempre una specie di indovinello. Lo faceva per provocarmi, perché avrei dovuto impegnarmi per avere la soluzione. Lo faceva anche per divertirsi. Sinceramente credo che mi vedesse come una specie di conoscente. Non davvero un’amica, ma qualcuno con cui poteva avere uno scambio a un livello intellettuale.”

      “E non ce l’ha mai avuta con te per tutto la storia di quando sei stata il suo avvocato?”

      “Perché avrebbe dovuto essere arrabbiato con me?” chiese lei. “L’ho fatto scagionare… l’ho liberato. Ricordi, praticamente dopo si è costituito. Ha ucciso di nuovo solo per far vedere quanto fossi incompetente.”

      “E invece quelle tue visite in prigione… ne era felice?”

      “Sì. E a essere sincera non l’ho mai capito. Credo fosse una questione di rispetto. E per quanto possa sembrare stupido, penso che una parte di lui si sia sempre pentita per quell’ultimo omicidio, per avermi fatto sembrare una sciocca al processo.”

      “E ha mai parlato di tentativi di fughe durante le tue visite?” chiese Connelly.

      “No. Lì dentro si trovava bene. Nessuno lo infastidiva. Tutti provavano una specie di timore per lui. Paura, forse. Ma era praticamente il re di quel posto.”

      “Allora perché sarebbe evaso?” insistette O'Malley.

      Avery sapeva dove stava andando a parare, che cosa stava cercando di farle dire. E il problema era che aveva senso. Howard sarebbe evaso solo se avesse avuto qualcosa da fare all’esterno. Qualche questione in sospeso. O forse era semplicemente annoiato.

      “È un uomo furbo,” disse Avery. “Un uomo spaventoso. Forse voleva di nuovo sentirsi sfidato.”

      “O magari voleva uccidere di nuovo,” replicò disgustato Connelly, indicando le foto.

      “Possibile,” ammise lei. Poi abbassò lo sguardo sulle foto. “Quando è stata trovata?”

      “Tre ore fa.”

      “Il suo corpo è ancora lì?”

      “Sì, siamo appena tornati dalla scena. Il coroner dovrebbe arrivare tra quindici minuti. La scientifica rimarrà con il corpo fino al suo arrivo.”

      “Chiamali e digli di aspettare. Che non tocchino il corpo. Voglio vedere la scena.”

      “Ho detto che non te ne occuperai tu,” ribadì O’Malley.

      “L’hai fatto. Ma se vuoi che ti dica in che stato d’animo fosse Howard Randall, se ha commesso davvero lui questo omicidio, allora non basta guardare le foto. E a rischio di sembrare arrogante, sai che sono la migliore esperta di scene del crimine che hai.”

      O’Malley imprecò seccamente sotto voce. Senza dire altro, si girò e tirò fuori il cellulare. Fece un numero e qualche secondo più tardi, qualcuno dall’altro capo rispose.

      “Sono O’Malley,” disse. “Ascoltate. Aspettate a muovere il corpo. Avery Black sta arrivando.”

      CAPITOLO TRE

      Stranamente, O’Malley affidò a Finley l’incarico di andare sulla scena del crimine insieme a lei. Lungo la strada Finley non parlò molto, e invece guardò pensieroso fuori dal finestrino per quasi tutto il tempo. Lei sapeva che l’agente non si era mai occupato appieno di un caso di alto profilo. Se quella fosse stata la sua prima volta, le dispiaceva un po’ per lui.

      Suppongo si stiano preparando per il peggio. Qualcuno dovrà farsi avanti se Ramirez non ce la farà. Finley andrebbe bene come chiunque altro. Meglio, forse.

      Quando arrivarono sulla scena del crimine, fu chiaro che la Scientifica e gli esperti forensi avevano concluso i loro doveri. Si aggiravano senza niente da fare, la maggior parte di loro radunata davanti al nastro della scena del crimine legato all’ingresso del vicolo. Uno aveva un caffè in mano, cosa che fece capire ad Avery che era ancora mattina. Diede uno sguardo all’orologio e vide che erano solo le 8:45.

      Dio, pensò. Negli ultimi giorni ho davvero perso ogni concetto del tempo. Avrei giurato che quando sono stata al mio appartamento fossero almeno le nove.

      Quel pensiero la fece sentire stanca tutto d’un tratto. Ma ignorò la propria spossatezza mentre si avvicinava con Finley al gruppetto dei detective. Mostrò distrattamente il distintivo e Finley fece un cenno educato accanto a lei.

      “Sei sicura di sentirtela?” le chiese.

      Avery si limitò ad annuire mentre entravano nel vicolo, chinandosi oltre il nastro della scena del crimine. Avanzarono per diversi metri e poi svoltarono a sinistra, dove la stradina si apriva in su una piccola area piena di polvere, macerie e graffiti. Qualche vecchio cassonetto cittadino era abbandonato in un angolo, dimenticato. Non troppo distante c’era la donna che Avery aveva visto nelle foto della scena del crimine. Le immagini non l’avevano preparata alla visione nella vita reale.

      Innanzitutto il sangue era decisamente peggio. Senza la patina lucida delle foto, era opaco e brutale. La natura sconvolgente dell’omicidio la riportò immediatamente alla realtà, allontanando quasi del tutto la sua mente e i suoi pensieri dalla stanza d’ospedale di Ramirez.

      Si avvicinò quanto più poté senza pestare il sangue e lasciò lavorare il proprio cervello.

      Il reggiseno e le mutande non sono affatto sensuali o provocanti, rifletté. Non era una ragazza in giro a divertirsi. Se è quello l’aspetto delle sue mutande, è probabile che anche i suoi vestiti non fossero particolarmente sexy.

      Si mosse lentamente attorno al corpo, assorbendo più i dettagli che il sangue. Vide il segno di puntura dove il chiodo era entrato sotto la mascella. Ma notò anche altre ferite, tutte uguali, tutte inflitte con una sparachiodi. Una tra gli occhi. Una appena sopra l’orecchio sinistro. Una in ogni ginocchio, una alla base del petto, una attraverso la mascella e una dietro

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