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sotto il mar per camin cieco e strano.

20

      Non vide né 'l più bel né 'l più giocondo

      da tutta l'aria ove le penne stese;

      né se tutto cercato avesse il mondo,

      vedria di questo il più gentil paese,

      ove, dopo un girarsi di gran tondo,

      con Ruggier seco il grande augel discese:

      culte pianure e delicati colli,

      chiare acque, ombrose ripe e prati molli.

21

      Vaghi boschetti di soavi allori,

      di palme e d'amenissime mortelle,

      cedri ed aranci ch'avean frutti e fiori

      contesti in varie forme e tutte belle,

      facean riparo ai fervidi calori

      de' giorni estivi con lor spesse ombrelle;

      e tra quei rami con sicuri voli

      cantando se ne gìano i rosignuoli.

22

      Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,

      che tiepida aura freschi ognora serba,

      sicuri si vedean lepri e conigli,

      e cervi con la fronte alta e superba,

      senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,

      pascano o stiansi rominando l'erba;

      saltano i daini e i capri isnelli e destri,

      che sono in copia in quei luoghi campestri.

23

      Come sì presso è l'ippogrifo a terra,

      ch'esser ne può men periglioso il salto,

      Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,

      e si ritruova in su l'erboso smalto;

      tuttavia in man le redine si serra,

      che non vuol che 'l destrier più vada in alto:

      poi lo lega nel margine marino

      a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.

24

      E quivi appresso, ove surgea una fonte

      cinta di cedri e di feconde palme,

      pose lo scudo, e l'elmo da la fronte

      si trasse, e disarmossi ambe le palme;

      ed ora alla marina ed ora al monte

      volgea la faccia all'aure fresche ed alme,

      che l'alte cime con mormorii lieti

      fan tremolar dei faggi e degli abeti.

25

      Bagna talor ne la chiara onda e fresca

      l'asciutte labra, e con le man diguazza,

      acciò che de le vene il calor esca

      che gli ha acceso il portar de la corazza.

      Né maraviglia è già ch'ella gl'incresca;

      che non è stato un far vedersi in piazza:

      ma senza mai posar, d'arme guernito,

      tremila miglia ognor correndo era ito.

26

      Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato

      tra le più dense frasche alla fresca ombra,

      per fuggir si rivolta, spaventato

      di non so che, che dentro al bosco adombra:

      e fa crollar sì il mirto ove è legato,

      che de le frondi intorno il piè gli ingombra:

      crollar fa il mirto, e fa cader la foglia;

      né succede però che se ne scioglia.

27

      Come ceppo talor, che le medolle

      rare e vote abbia, e posto al fuoco sia,

      poi che per gran calor quell'aria molle

      resta consunta ch'in mezzo l'empìa,

      dentro risuona e con strepito bolle

      tanto che quel furor truovi la via;

      così murmura e stride e si corruccia

      quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.

28

      Onde con mesta e flebil voce uscìo

      espedita e chiarissima favella,

      e disse: – Se tu sei cortese e pio,

      come dimostri alla presenza bella,

      lieva questo animal da l'arbor mio:

      basti che 'l mio mal proprio mi flagella,

      senza altra pena, senza altro dolore

      ch'a tormentarmi ancor venga di fuore. —

29

      Al primo suon di quella voce torse

      Ruggiero il viso, e subito levosse;

      e poi ch'uscir da l'arbore s'accorse,

      stupefatto restò più che mai fosse.

      A levarne il destrier subito corse;

      e con le guance di vergogna rosse:

      – Qual che tu sii, perdonami (dicea),

      o spirto umano, o boschereccia dea.

30

      Il non aver saputo che s'asconda

      sotto ruvida scorza umano spirto,

      m'ha lasciato turbar la bella fronda

      e far ingiuria al tuo vivace mirto:

      ma non restar però, che non risponda

      chi tu ti sia, ch'in corpo orrido ed irto,

      con voce e razionale anima vivi;

      se da grandine il ciel sempre ti schivi.

31

      E s'ora o mai potrò questo dispetto

      con alcun beneficio compensarte,

      per quella bella donna ti prometto,

      quella che di me tien la miglior parte,

      ch'io farò con parole e con effetto,

      ch'avrai giusta cagion di me lodarte. —

      Come Ruggiero al suo parlar fin diede,

      tremò quel mirto da la cima al piede.

32

      Poi si vide sudar su per la scorza,

      come legno dal bosco allora tratto,

      che del fuoco venir sente la forza,

      poscia ch'invano ogni ripar gli ha fatto;

      e cominciò: – Tua cortesia mi sforza

      a discoprirti in un medesmo tratto

      ch'io fossi prima, e chi converso m'aggia

      in questo mirto in su l'amena spiaggia.

33

      Il nome mio fu Astolfo; e paladino

      era di Francia, assai temuto in guerra:

      d'Orlando e di Rinaldo era cugino,

      la cui fama alcun termine non serra;

      e si spettava a me tutto il domìno,

      dopo il mio padre Oton, de l'Inghilterra.

      Leggiadro e bel fui sì, che di me accesi

      più d'una donna: e al fin me solo offesi.

34

      Ritornando io da quelle isole

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