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canta gli avi onde l'origin ebbe:

2

      di cui fra tutti li signori illustri,

      dal ciel sortiti a governar la terra,

      non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri,

      più gloriosa stirpe o in pace o in guerra;

      né che sua nobiltade abbia più lustri

      servata, e servarà (s'in me non erra

      quel profetico lume che m'ispiri)

      fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

3

      E volendone a pien dicer gli onori,

      bisogna non la mia, ma quella cetra

      con che tu dopo i gigantei furori

      rendesti grazia al regnator dell'etra.

      S'istrumenti avrò mai da te migliori,

      atti a sculpire in così degna pietra,

      in queste belle imagini disegno

      porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

4

      Levando intanto queste prime rudi

      scaglie n'andrò con lo scarpello inetto:

      forse ch'ancor con più solerti studi

      poi ridurrò questo lavor perfetto.

      Ma ritorniano a quello, a cui né scudi

      potran né usberghi assicurare il petto:

      parlo di Pinabello di Maganza,

      che d'uccider la donna ebbe speranza.

5

      Il traditor pensò che la donzella

      fosse ne l'alto precipizio morta;

      e con pallida faccia lasciò quella

      trista e per lui contaminata porta,

      e tornò presto a rimontar in sella:

      e come quel ch'avea l'anima torta,

      per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,

      di Bradamante ne menò il cavallo.

6

      Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita

      ordisce inganno, il suo morir procura;

      e torniamo alla donna che, tradita,

      quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.

      Poi ch'ella si levò tutta stordita,

      ch'avea percosso in su la pietra dura,

      dentro la porta andò, ch'adito dava

      ne la seconda assai più larga cava.

7

      La stanza, quadra e spaziosa, pare

      una devota e venerabil chiesa,

      che su colonne alabastrine e rare

      con bella architettura era suspesa.

      Surgea nel mezzo un ben locato altare,

      ch'avea dinanzi una lampada accesa;

      e quella di splendente e chiaro foco

      rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

8

      Di devota umiltà la donna tocca,

      come si vide in loco sacro e pio,

      incominciò col core e con la bocca,

      inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.

      Un picciol uscio intanto stride e crocca,

      ch'era all'incontro, onde una donna uscìo

      discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,

      che la donzella salutò per nome.

9

      E disse: – O generosa Bradamante,

      non giunta qui senza voler divino,

      di te più giorni m'ha predetto inante

      il profetico spirto di Merlino,

      che visitar le sue reliquie sante

      dovevi per insolito camino:

      e qui son stata acciò ch'io ti riveli

      quel c'han di te già statuito i cieli.

10

      Questa è l'antiqua e memorabil grotta

      ch'edificò Merlino, il savio mago

      che forse ricordare odi talotta,

      dove ingannollo la Donna del Lago.

      Il sepolcro è qui giù, dove corrotta

      giace la carne sua; dove egli, vago

      di sodisfare a lei, che glil suase,

      vivo corcossi, e morto ci rimase.

11

      Col corpo morto il vivo spirto alberga,

      sin ch'oda il suon de l'angelica tromba

      che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,

      secondo che sarà corvo o colomba.

      Vive la voce; e come chiara emerga,

      udir potrai dalla marmorea tomba,

      che le passate e le future cose

      a chi gli domandò, sempre rispose.

12

      Più giorni son ch'in questo cimiterio

      venni di remotissimo paese,

      perché circa il mio studio alto misterio

      mi facesse Merlin meglio palese:

      e perché ebbi vederti desiderio,

      poi ci son stata oltre il disegno un mese;

      che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse,

      termine al venir tuo questo dì fisse. —

13

      Stassi d'Amon la sbigottita figlia

      tacita e fissa al ragionar di questa;

      ed ha sì pieno il cor di maraviglia,

      che non sa s'ella dorme o s'ella è desta:

      e con rimesse e vergognose ciglia

      (come quella che tutta era modesta)

      rispose: – Di che merito son io,

      ch'antiveggian profeti il venir mio? —

14

      E lieta de l'insolita avventura,

      dietro alla Maga subito fu mossa,

      che la condusse a quella sepoltura

      che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.

      Era quell'arca d'una pietra dura,

      lucida e tersa, e come fiamma rossa;

      tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,

      dava splendore il lume che n'usciva.

15

      O che natura sia d'alcuni marmi

      che muovin l'ombre a guisa di facelle,

      o forza pur di suffumigi e carmi

      e segni impressi all'osservate stelle

      (come più questo verisimil parmi),

      discopria lo splendor più cose belle

      e di scoltura e di color, ch'intorno

      il venerabil luogo aveano adorno.

16

      A pena ha Bradamante da la soglia

      levato il piè ne la secreta cella,

      che 'l vivo spirto da la morta spoglia

      con

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