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soglia Girolamo che veniva correndo, spaventato ancor egli da quel grido, che aveva udito risuonare per la notte.

      “Che cos'è?”

      “Scappa, scappa… Il metallo ha rotto la fornace e si riversa tutto…”

      Le imposte delle porte e delle finestre della fonderia, i correnti e i travi del tetto, tutto ciò che si aveva di legno là dentro, le pareti stesse divampavano, fiammavano, e il tremendo fiotto di fuoco già si precipitava di fuori nel cortile.

      Delle due ale del fabbricato, quella a sinistra conteneva i magazzini del combustibile, e lì presso subito, immediatamente confinante il quartiere abitato da Pietro, da sua moglie, dal bambino. La bollente lava di metallo fuso, come se fosse guidata dall'odio di chi le aveva dato l'aíre, si diresse a volute sempre più crescenti verso quella parte.

      Girolamo si cacciò a fuggire, urlando come un dannato; Atanasio corse qual dovette correre Caino, dopo il primo assassinio commesso nel mondo.

      Si fermò dopo dieci minuti sopra un'altura. Quale orrendo spettacolo! La fonderia era tutta una fiamma, il magazzino di combustibili ardeva come un mucchio di fascine, le fiamme lambivano colla loro lingua di fuoco la casa dove abitavano i Frangia, e del quartiere dove stavano Pietro, Lucietta e il bambino, già ardevano le persiane e i telai delle invetriate.

      In mezzo a tutto quel chiarore, si vedevano come macchie scure correre affaccendati alcuni uomini; dal villaggio venivano pur correndo gli abitanti, svegliati dalle grida di Girolamo prima, degli altri operai poscia, e affrettati per ultimo dai rintocchi della campana suonata a martello; fino al luogo dove s'era fermato Atanasio, si udiva arrivare un rumore confuso che era il suono assembrato di grida, di esclamazioni, di preghiere, di bestemmie, di pianti di tanti uomini e di tante donne disperati, spaventati.

      Atanasio stette un mezzo minuto a contemplare quello spettacolo, i denti stretti, le braccia serrate al petto, un mezzo minuto che gli parve un'ora; parevagli sentir nel volto il calore di quelle fiamme a cuocergli le carni. A un tratto sentì un fruscio fra le piante, e un essere animato giunse correndo presso di lui e gli saltò alle gambe guaendo, mugolando, vociando in ogni suo modo. Era Azor fuggito di casa, chi sa come, cui l'istinto aveva condotto sin là tra le gambe del suo padrone. Questi si chinò verso la povera bestia ad accarezzarla. Il cane lo addentava pei panni e pareva volerlo tirare.

      – Dove mi vuoi tu condurre? – diceva lo sciagurato, resistendo. – Laggiù? là in quell'inferno? Che cosa vuoi ch'io vada a fare?.. Là si compie ora la mia vendetta… All'uno tutto, e all'altro nulla! Ricchezze, agi, gioie, famiglia, e l'amore di lei! Tutto per lui!.. Ed io niente!.. D'ora in poi non avrà più nulla neanch'egli, nè sostanze, nè moglie, nè bambino… —

      L'idea del bambino lo scosse.

      – Ah! quell'innocente!.. E lei!.. lei!.. Morire così crudelmente!.. —

      Azor, come se vedesse che la pietà stava per entrare nell'animo del padrone, raddoppiava il suo mugolìo.

      – E lei che ti ha dato a me… La vuoi salva?.. Hai più cuore di questo miserabile. —

      Prese la corsa verso l'incendio, e il cane dietro di galoppo.

      Quando giunse, il fuoco già consumava il tetto dell'ala abitata da Lucietta; dalla finestra proprio della stanza di lei cominciavano ad uscir fumo e faville. Atanasio vide la donna con in braccio il suo bambino, che urlava con voce da straziare l'animo di qualunque.

      Pietro, svegliato in sussulto alle grida di Girolamo, non aveva avuto tempo che di dire alla moglie: – Salvati col bambino, – ed era corso dove allora più premeva il pericolo. La donna, resa incapace di muoversi dallo spavento, si era lasciata sopraggiungere dall'incendio.

      Un uomo accorreva con una lunga scala: dietro di lui, ansante, Pietro che in mezzo all'infernale tumulto, aveva pure udito il grido della madre di suo figlio. La scala fu appoggiata al muro; in quella un vortice di fiamme avvolse la misera donna col bambino alla finestra. S'udirono come un grido d'agonia suprema le parole: – Mio figlio! – e la madre e il piccino sparirono come inabissati.

      Pietro, forsennato, fece per islanciarsi sulla scala: una mano di ferro lo fermò.

      – Indietro! – gli gridò una voce che egli non riconobbe. – Tocca a me. —

      E Atanasio, lesto come uno scoiattolo, si arrampicò su pei piuoli, e in un attimo fu alla finestra e si precipitò dentro.

      Azor, postato innanzi a quella finestra, accompagnava il suo padrone cogli abbaiamenti, come se lo volesse incoraggiare.

      Atanasio, avvolto nel fumo che turbinava, non vide nulla, ma inciampò in un corpo disteso per terra; si chinò, sentì che la era una donna, l'afferrò e stringendola fra le braccia, scavallò di nuovo il parapetto e incominciò a discendere con essa.

      Lucietta era caduta in uno svenimento cagionatole dal terrore, ma le fiamme non l'avevano ancora toccata. Però l'incendio pareva che non volesse lasciarsi rapire la sua preda. Atanasio, con precauzione, cercava col piede il piuolo su cui posare, quando un'ondata di fuoco si scatenò addosso a lui, lo avviluppò, ne pose in fiamme la capigliatura e lo svolazzo della tunica sulla schiena. Egli col suo fardello fra le braccia vacillò: un alto grido d'orrore eruppe dai petti di tutti gli astanti, che tremavano e palpitavano. Pure il robusto uomo non fu vinto, con una mano aveva già afferrato il capo della scala, vi si mantenne e fra mezzo alle fiamme continuò a scendere.

      Giunse in terra; tutti gli furono attorno ed aiutarlo, a sorreggerlo che barcollava come ebbro. Pietro gli tolse dalle braccia Lucietta sempre svenuta. Ma subito un'idea orribile gli venne.

      – E mio figlio?! —

      La madre, a queste parole del marito, gridate con accento di disperazione, risensò.

      – Mio figlio! mio figlio! – ripetè. – Oh! salvatemelo, per amor di Dio! —

      La infelice, nello svenire, l'aveva lasciato cadere…

      Vide in quella Atanasio che si premeva la fronte e le occhiaie dove sentiva un orribile dolore.

      “Voi, voi qui, Atanasio!” disse, puntando il dito contro di lui. “Voi dovete salvarlo.”

      Atanasio fremette a quell'accento, a quelle parole; tese le braccia innanzi a sè, brancolando come per cercar la scala, volle camminare ed inciampò; mandò un urlo da bestia selvaggia.

      “Sono cieco!” gridò stramazzando al suolo come corpo morto.

      Fu portato all'ospedale, insieme coi parecchi feriti di quel disastroso incendio. Le gravi scottature che aveva riportato posero in pericolo la sua vita, ma pur guarì tuttavia; i suoi occhi però furono irremissibilmente perduti.

      Durante la lunga malattia, egli non chiese mai novella nè di Lucietta, nè di Pietro, nè della fonderia. Guarito, seppe che questa e la casa erano rimaste un cumulo di rovine; che Pietro, per cercare di alleviare il dolore della moglie che aveva minacciato divenirne pazza, l'aveva condotta a fare un lungo viaggio lontano, lontano; che prima di partire il padrone aveva lasciata una buona somma per lui.

      Atanasio volle che questa somma fosse data ai poveri del villaggio; e senza un soldo, uscito dallo spedale, prese la prima strada che gli si parò dinanzi, per andare tanto lontano, che di lui in quel paese non si sapesse mai più novella.

      Fatto poco cammino, udì un guaiolare festoso e le piote d'un cane si appoggiarono alle sue coscie: era Azor. Come aveva egli vissuto sino allora? chi può saperlo?

      – Sei qui tu? – esclamò Atanasio commosso. – Il solo amico, il solo bene che mi resti… Vuoi seguirmi nell'esilio? Vuoi essere la guida del povero cieco?.. Vieni. —

      Come capitasse nel villaggio in cui l'ho conosciuto, questo sciagurato non sapeva dire.

      Quando il cieco morì, fu sotterrato in un cantuccio del cimitero, senza una croce, senza un segno qualunque di memoria dei sopravvivi, ma il domani Azor vecchissimo, fu trovato morto sulle zolle smosse, sotto cui avevano riposto la salma del suo padrone.

      UN GENIO SCONOSCIUTO

      RACCONTO

      I

      Era

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