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Madama, più scuro e più brutto in viso che un temporale. Passando egli nell'anticamera, tutte le guardie in uniforme e senza che vi erano sorsero in piedi coi contrassegni del più timoroso rispetto. Un vecchio prete con bianchissima e folta capigliatura che sedeva sur una di quelle panche appoggiandosi alla mazza che teneva fra le gambe, con un cagnuolo di pelo nero accovacciato a' piedi, vedendo quel drizzarsi e quel contegno di tutti i presenti innanzi a colui che attraversava con passo da padrone la sala, senza dar segno nessuno di saluto, come se il luogo fosse deserto, capì che gli era un personaggio d'importanza, e levatosi in piedi ancor esso con umile atteggio, domandò timidamente sotto voce alla guardia che gli era più vicina:

      – Chi è?

      – È il Commissario: rispose brusco il poliziotto interrogato.

      Don Venanzio, poichè il vecchio prete era lui, il quale stava appunto aspettando con molta calma e rassegnazione, ma non senza sollecito desiderio, la venuta di codesto autorevole personaggio, spinto da un subito impulso, fece un passo verso il signor Tofi, con un gesto supplichevole nella mossa ed una parola interrogatrice alle labbra. Ma il fiero signor Commissario volse su quella faccia aperta e bonaria uno sguardo così burbero e incollerito sotto le sue sopracciglia aggrottate, che il povero Don Venanzio rimase lì in asso, il piè sospeso, la bocca aperta, la voce estinta nella gola. Il signor Tofi passò.

      – Signori: disse il parroco di campagna alle guardie, in mezzo a cui rimase, bersaglio ai loro sguardi e sogghigni schernitori: adesso che vi è il Commissario, potrò finalmente parlargli?

      – Aspetti: gli si rispose col tono insolente che suole avere verso i deboli questa razza di gente, quasi a compensarsi della viltà della loro soggezione innanzi ai forti. Quando il signor Commissario vorrà ricevere, chiamerà.

      Il signor Commissario aveva attraversato il corridoio ed era entrato nella stanza che precedeva il suo gabinetto.

      L'impiegato che sedeva alla scrivania, vedendolo entrare si alzò tutto rispettoso ancor egli, nè più, nè meno di quello che avevan fatto le guardie.

      – Barnaba, s'è visto? Domandò ruvidamente il signor Tofi senza rispondere nemmeno col menomo cenno al saluto, senza levare nè il cappello di testa, nè le mani di tasca.

      – Signor sì: rispose l'impiegato. Egli è nelle stanze dell'altra torre dove prepara un particolareggiato rapporto per Lei.

      – Mandatelo a chiamare.

      L'impiegato suonò un campanello ed una delle guardie che erano nell'anticamera fu lesta a presentarsi.

      – Andate negli uffici dell'altra torre e dite al signor Barnaba che venga qui subito: il signor Commissario lo chiama.

      La guardia s'affrettò ad eseguir l'ordine, l'impiegato sedette di nuovo alla scrivania guardando timorosamente di sottecchi il signor Tofi che si vedeva chiaramente avere un diavolo per capello; il Commissario, le mani sempre affondate nelle tasche, andava e veniva con passo concitato, la tesa del suo cappellaccio negli occhi, il capo chino, borbottando fra i denti delle parole inintelligibili.

      Cinque minuti non erano passati che Barnaba entrava con passo affrettato in quella stanza dove il terribile signor Commissario dava le volte del leone.

      – Son qua, signor Commissario.

      Questi si fermò d'un tratto a due passi dal nuovo venuto, lo fulminò con uno sguardo che era già tutta una rivelazione di corruccio e di condanna, e rispose con un accento, appetto al quale il più ruvido che avesse mai adoperato prima d'allora era una soavità.

      – Eh lo vedo che siete lì…

      Entrò in quella la guardia che era andata a chiamar Barnaba.

      – Che cosa volete? domandò brusco il signor Tofi.

      – Gli è quel prete che desidera parlare con Lei…

      – Vada a farsi benedire.

      – È venuto da parte del signor Comandante, accompagnato da un'ordinanza, che l'ha raccomandato.

      – Ah!..

      Tofi esitò un momentino, poi crollò le spalle e riprese col medesimo accento collerico:

      – Che m'importa?.. Alla croce d'Iddio, ho altro da fare io pel momento. Ditegli che se vuole parlarmi, aspetti, se non vuole aspettare, vada ai cento mila diavoli.

      La guardia sparì dietro il battente dell'uscio.

      – A noi due: disse il Commissario a Barnaba, sempre con quel tono tutt'altro che rassicurante.

      Come aveva fatto la sera innanzi, aprì l'usciolo chiovato di ferro del suo gabinetto, colla grossa chiave che trasse di tasca, ed entrando egli primo, comandò con accento militare a Barnaba:

      – Venite!

      La porta fu richiusa alle loro spalle, Tofi si recò nella profonda strombatura del finestrone, volse le spalle alle invetrate, ed avendo innanzi a sè il suo subalterno, di guisa che nella faccia gli batteva di pieno la luce che entrava per la finestra, cominciò il colloquio con quel suo accento più burbero ed aspro che mai.

      – Ve l'ho detto io che vi avventuravate sopra un terreno molto difficile e pericoloso. Voi non avete ancora una giusta opinione di quello che siete, di quello che potete, di quello che valete. Avere ardimento sta bene, ma la temerità di cimentarsi contro chi è più forte, conduce necessariamente a rovina. Nel mondo non vi hanno che vasi di terra e vasi di ferro: siete passato dalla parte di questi ultimi, va benissimo, ma non avete cessato d'essere meno di creta perciò. Avete ficcato la mano in un vespaio: mille influenze, mille raccomandazioni, mille autorità si sono suscitate a voler condannata l'opera vostra. La cosa è salita sino al Re, niente meno. Breve! Senza tanti discorsi, voi siete mandato via da Torino, e partirete il più presto possibile per Novara.

      Questo annunzio fu un colpo gravissimo per Barnaba, da cui parve atterrato.

      – Io! esclamò allibito, impallidendo, con voce e membra tremanti; abbandonar Torino!.. Adesso!.. E curvò il capo come uomo oppresso dalla desolazione.

      – Sì signore, voi: ripetè il Commissario ancor più burbero. Che cosa avevate bisogno di andarvi a cacciare in certi affari di quel…

      Trattenne sulle labbra la parola che stava per uscire, e la sostituì colle seguenti:

      – Di S. A. R. il Duchino di Lucca?

      Barnaba sollevò il capo ed un lampo d'intelligenza traversò il suo sguardo abbattuto.

      – Ah! gli è per lui che mi si punisce a questo modo?

      – Per lui e per gli altri. Voi avete maltrattato questa mattina arrestandolo quel giovane avvocato Selva.

      – Egli ha distrutto con audacia incredibile, sotto i miei occhi stessi, una carta dov'era forse la prova di tutto ciò ch'io sospetto.

      – Bisognava non lasciargliela distrurre. Come volsero le cose siete voi che avete torto.

      Tofi tacque un istante, poi facendo piombare più acuto e più penetrante quel suo sguardo osservatore sulla faccia sconvolta di Barnaba:

      – Olà, diss'egli, che ragione avete voi ad esplorare le gite del Principe in casa quella certa donna? Agli stipendi di chi e per quale interesse ciò facevate?

      Barnaba scosse le spalle, prese un atteggio più risoluto e guardando ancor esso in faccia al Commissario, rispose con una sicurezza che poteva dirsi vera audacia:

      – Agli stipendi di nessuno e per un interesse tutto mio particolare.

      Tofi interruppe con una voce tra d'impazienza tra di collera:

      – Uhff! Siete matto!.. Interesse vostro particolare a spiare il Duca!..

      – Ah! non è per lui: disse Barnaba con accento sommesso, contenuto, ma vibrante, gli è per quella donna…

      I suoi occhi mandarono strani sprazzi di fiamme.

      – Gli è da lungo tempo, oh assai da lungo tempo ch'io la conosco quella donna!

      – Stolto! proruppe il Commissario con collerica rampogna: quando si è nel vostro impiego, ne'

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