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alcuna cosa dicesse di quanto non si doveva dir mai.

      Il miglior partito a prendersi sarebbe stato quello di incaricarsi essa stessa di servire il sig. Barnaba; ma codesto non venne neppure in mente alla Maddalena, come quello che per nulla s'accordava colla sua gran voglia di fare il meno possibile. Laonde, pur conoscendo l'impero che le sue attrattive avevano sulla grossa natura di quel giovane soro, e sicura che una sua parola bastasse a farne quanto ella volesse, Maddalena, quando già aveva messo il piede sul primo scalino per risalire nell'osteria, si volse indietro verso Meo e gli disse:

      – Bada sopratutto, per qualunque cosa ti possa dire ser Barnaba, a non lasciarti sfuggir di bocca parola intorno al medichino.

      Meo divenne rosso più che un tacchino in bizza, e i suoi occhi di cristallo rotearono come usano quelli delle figure di cera dei gabinetti meccanici.

      – Ah! Il medichino, rispos'egli a denti stretti; oh sì il medichino… Potessi vederlo impiccato quel cicisbeo della malora!

      Queste parole avevano dato l'aire alla collera ed alle ciancie della Maddalena.

      Allorchè mastro Pelone sopraggiunse, perchè non trovando nello stanzone di sopra nè la fante ne il garzone, era disceso nella canova; allorchè egli sopraggiunse, la ragazza diceva sfavillante d'ira gli occhi:

      – Tu non parlerai, o guai a te!

      – Parlerò: rispondeva coi denti serrati e colla sua aria e col suo accento da testardo, il giovane tenendo sempre fra le mani il piatto e la bottiglia.

      – Che cosa è questo? Esclamò Pelone pigliando dal suo sdegno tanta forza da poter parlare ad alta voce e con accento concitato. Figlioli di male femmine che state qui a perdere il tempo a bisticciarvi invece di servir gli avventori!.. Non so chi mi tenga dal misurarvi un calcio dove so io… che il fistolo v'accoppi.

      Maddalena che mostrava chiaro non esser per nulla intimorita alle parolaccie del padrone, si volse vivacemente a quest'esso e gli disse in tutta fretta:

      – Questo martuffo di Meo vuol dire al signor Barnaba che il medichino era qui adess'adesso.

      Pelone divenne pallido, se pur poteva dirsi che la sua pelle d'alluda impallidisse. Stette un momento senza parlare, quasi glie ne mancasse il fiato, poi con voce soffocata ma tremenda, disse al garzone:

      – Disgraziato! Se una sola parola ti sfugge, hai finito di vivere.

      Alle parole del padrone, Meo rimase il più sgomento uomo del mondo. Stava là piantato sulle sue gambaccie, cogli occhi sbarrati, colla bocca larga, e guardava mastro Pelone con un'attonitaggine spaventata che fece rompere la Maddalena in uno scoppio di risa.

      Il bettoliere, rimessosi alquanto della emozione che lo aveva fatto uscire in quella minaccia, disse al garzone colla sua voce più affranta e più cavernosa di prima:

      – Or va, sollecita, servi messer Barnaba, e bada di tenere la lingua a segno.

      Meo balbettò qualche parola inintelligibile, roteò gli occhi ancora smarriti, fissando ora Pelone ora Maddalena, e salì la scala coi piatti e col fiasco in mano, seguito dalle risate beffarde della giovane.

      – Sei qui finalmente, lumacone d'un addormentato? Disse Barnaba vedendo comparirsi dinanzi il povero Meo ancora tutto sconvolto. Eh! ci vuol egli un secolo a portar questa poca roba?

      Il garzone non rispose e mise innanzi all'avventore. Ma questi s'accorse che nell'apparecchiargli in tavola, le mani di Meo tremavano, e guardatolo in faccia, gli vide i segni del turbamento, da cui non s'era ancora compiutamente riavuto.

      – Che cos'hai. Meo, che la tua faccia par quella d'un mascherone da fontana?

      Meo crollò la testa, soffiò forte, e rispose in fretta a parole mozzicate:

      – Nulla, non ho nulla.

      E fece per andarsene tosto: ma Barnaba lo trattenne.

      – Sta qui meco un momento, che diavolo!.. Tu hai dei dispiaceri, povero tambellone, non è vero? Te lo leggo chiaro su quella luna piena che ti serve da faccia.

      Meo sospirò a suo modo, ma non disse verbo.

      – Vuoi che te lo dica il tuo segreto? Tu sei innamorato morto.

      Il babbuino si torse della persona con mossa di vergognoso, divenne rosso in volto e fece nello stesso tempo il più scemo sorriso.

      – Quella birbona di Maddalena, eh?

      – Ah sì! Quella birbona! Non potè a meno di ripetere Meo con un grosso sospiro.

      – La è una civettuola che si lascia amoreggiare dal terzo e dal quarto.

      – Ah si! Tornò ad esclamare Meo con un altro sospiro.

      – Ed inoltre fra tutti i suoi galanti ce ne avrà qualcheduno di preferito.

      Altro sospirone ed altra esclamazione affermativa di Meo.

      – E questo preferito non sei tu?

      – Non son io: ripetè dolentemente il garzone chinando la testa, con un sospiro più desolato degli altri.

      – Ma sai tu almeno questo fortunato mortale chi sia?

      Il giovane alzò vivamente la testa, ed un lampo balenò nei suoi occhi da stupido.

      – Oh! se lo so: diss'egli serrando i pugni.

      Barnaba si sporse di più verso il garzone e soggiunse sotto voce:

      – Si dice che sia un cotale che viene qui soltanto di soppiatto: un bel giovane che fa il signore…

      Meo digrignava i denti e seguitava a far girare le pallottole di vetro dei suoi occhi, come fanno quelle certe figure dipinte su alcuni dei pendoli a contrappesi.

      Il poliziotto s'accostò ancora maggiormente al giovane, e continuò con voce più sommessa ancora ma con accento autorevolmente affermativo, fissando bene in volto l'imbecille:

      – E questo tale è conosciuto qui col nomignolo di medichino.

      A questa parola il povero Meo tutto si riscosse e si trasse indietro vivamente spaventato, come alla vista improvvisa d'una voragine che gli si aprisse sotto i piedi.

      – Non so nulla: esclamò egli; non ho detto nulla; non mi fate dir nulla.

      Barnaba lo prese ad un braccio e lo tirò presso di sè.

      – Ah, ah! Disse. Ho posto il dito sulla piaga io. Vien qui, tambellone; e non ti pentirai d'aver parlato meco; ne avrai anzi sotto ogni riguardo vantaggio. Quel tal medichino, adunque…

      Ma in quella l'uscio a vetri s'aprì, e comparvero, prima il naso enorme, poi la faccia cadaverica di mastro Pelone.

      – Eh! marmotta: disse questi parlando a Meo. Si ha bisogno di te, e tu pianti le radici dappertutto dove ti fermi.

      Barnaba lasciò andare tostamente il braccio di Meo, il quale s'affrettò a partire. Il poliziotto mirava con una certa intentività acuta e maliziosa il bettoliere ed il garzone.

      – Comandate qualche cosa? Chiese Pelone a Barnaba, avanzandosi verso il suo desco.

      – No, non mi occorre più nulla: rispose Barnaba. Va pure alle tue faccende anche tu, che io mangerò tranquillamente questa roba senz'altro.

      L'oste che pareva desiderar mediocremente soltanto di rimanere un'altra volta solo coll'agente della polizia, uscì sulle peste di Meo, e Barnaba rimase solo.

      Allora questi si alzò, e con passo leggerissimo corse all'uscio a vetri a chiarirsi se di là ci fosse chi potesse vedere entro la stanza: tirò bene le tendoline ai cristalli, e poi si diede ad esaminare minutamente le pareti della camera, intorno alle quali correva ad altezza d'uomo una impiallacciatura di legno volgare di pioppo mal verniciato.

      Guardò, toccò, battè riguardosamente qua e colà colla nocca delle dita, e ad un punto si fermò più lungamente che altrove. Gli parve poi udire l'appressarsi di qualcheduno, e più lesto ed agile che un gatto, fu al suo posto dove riprese a mangiare così tranquillo come se non si fosse mai mosso.

      – Va bene:

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