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Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta. Massimo d' Azeglio
Читать онлайн.Название Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta
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Автор произведения Massimo d' Azeglio
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Tutti uscirono in silenzio ed io rimasi solo quasi allo scuro; non v'era altro lume che la lampada della Madonna. Udii alla lontana il bisbiglio ed i passi del popolo che usciva. In quella scoccò l'ora di notte, e camminava per la chiesa il sagrestano scuotendo il mazzo delle chiavi, e disponendosi a chiudere.
Nel passarmi, vicino, si accorse di me e mi disse – si chiude. – Io gli risposi – ed io rimango. —
Egli guardatomi, e facendo l'atto di chi riconosce taluno, disse:
– Sei l'uomo del duca? Troppo fosti sollecito… La porta rimarrà socchiusa; e poichè sei qui tu, io me ne vo pe' fatti miei. – E senza udir altro se n'andò.
Io poco li davo retta; pure quelle parole mi fecero risentire, e non sapevo se egli od io sognavamo. Che duca? che porta socchiusa? Che vuol dire questo sciagurato? pensavo fra me.
Pure lontano le mille miglia dal vero, nè essendo capace di molto ragionare in quei momenti, tornai presto nella prima risoluzione, e dopo breve spazio (tutto intorno era cheto) me ne venni col brivido della morte alla bara.
Tolto il drappo che la copriva, e, tratta la daga che era forte ed acuta, mi posi a sconficcar la cassa, e durai gran fatica con quel solo ajuto ad alzar le capocchie de' chiodi; ma tanto feci che n'ebbi levato il coperchio.
Il bel corpo stava avvolto in un lenzuolo vestito di panni bianchissimi. Io prima di morire volevo veder quell'angelo in viso ancora una volta. Mi posi ginocchioni, e andavo svolgendo i veli che mi toglievano quell'ultimo conforto. Alzai l'ultimo lembo, e apparve il volto di Ginevra: pareva una statua di cera. Tutto tremante calai la mia fronte sulla sua, ed alla sfuggita, che mi sembrò delitto, non potei fare di non baciarle le labbra. Le labbra diedero un piccolo tremito. Ebbi a cader morto. Può far tanto, dissi, Dio onnipotente, la tua misericordia! E le tenevo le mani ai polsi. Il batticuore mi toglieva il respiro. I polsi davano segno. Ginevra era viva!
Ma pensa com'io mi smarrii trovandomi solo a quel modo. S'ella si risente, dicevo, e si trova in questo luogo, lo spavento basta a darle la morte. Non sapevo che mi fare, e smaniavo. Mi volsi colle braccia stese a quella Madonna, e la pregavo: O vera Madre di Dio! fa ch'io possa salvarla, e giuro pel tuo divin Figliuolo, che sono volti solo al bene i miei pensieri. Ed in cuore feci voto solenne di non cercar mai da lei cosa che fosse contro l'onestà, s'io riuscivo a tornarla in vita, e cancellare in tutto e sempre ogni pensiero di dar morte al marito; la qual cosa sin allora avevo avuta fissa nell'animo, e deliberato prima o poi di porla ad esecuzione.
A questa preghiera fatta tanto di vero cuore non mancò il pietoso ajuto divino.
Il mio Franciotto che era uscito di casa, come ti dissi, nel tornare m'avea veduto andar verso ponte, e parte immaginandosi il vero, e temendo sempre, come mi disse dipoi, ch'io non prendessi partito disperato, m'era venuto dietro. Ma, come discreto, si studiava di parlarmi o darmi disturbo meno che poteva in quei momenti, ben conoscendo che il caso mio non era da consigli, ma solo da ajuti quando venisse il bisogno. Entrò cogli altri in chiesa, e vi rimase nascosto in un angolo oscuro: e mi ha detto più volte in appresso che vistomi por mano all'arme, fu per saltarmi in sulle braccia, e stava sull'ale, per non arrivar tardi: vedendo poi che m'affannavo soltanto ad aprir la cassa, stette saldo, e solo a questo punto, conosciuta la necessità, mi si scoperse. Sentii le sue pedate, quando appena finivo la preghiera; mi volsi e me lo trovai vicino. Così da terra gli abbracciai le ginocchia come colui che mi dava due vite ad un punto, e come un angelo che mi scendesse dal cielo: rizzatomi poi consideravo come senza disagio e pianamente si potesse levar di quivi la donna. Alla fine prendemmo la coltre di velluto che copriva la bara, e volta al rovescio, onde se si risentiva non s'avesse ad accorgere su qual lugubre panno si ritrovasse, ed accomodate le lenzuola che ravvolgevano, in modo di farle il miglior letto possibile, con gran diligenza la sollevammo dalla cassa, e piano piano la posammo su quest'involti.
La povera Ginevra non avea aperti gli occhi, ma le usciva dal petto qualche tronco sospiro. Franciotto cercando per gli armadj, trovò per buona sorte le ampolle delle messe, e ci venne fatto, mettendole quel becco sottile fra le labbra farle scendere qualche stilla nello stomaco a riconfortarla: poco tuttavia e solo per dare un leggiero ajuto agli spiriti; che non avremmo voluto fosse tornata in sè in cotesto luogo. Dipoi con gran cura, io da capo e Franciotto da piedi, presi i lembi della coltre, l'alzammo, e senza accidente come volle la Vergine Santissima la portammo fuori di chiesa, e per San Michele venimmo a Ripa, dove sono le barche. Fra queste ve n'era una di Franciotto. Non sapevamo così su due piedi trovar luogo nè migliore nè più sicuro. Vi portammo la Ginevra; ed accomodatole un poco di letto sotto coverta, ajutati da due o tre uomini che guardavano la barca, me le posi accanto, e Franciotto corse per un barbiere amico suo, uomo di fede e dabbene, onde venisse ad ajutarla, e trarle sangue se bisognava.
Dovea ripassare per Santa Cecilia. Giuntovi s'avvide d'una compagnia d'uomini armati che era ferma davanti la porta, e sulle prime credette fosse la corte. S'andò accostando pianamente muro muro, finchè giunto ad appiattarsi vicino a loro s'accorse che non era la corte altrimenti. Erano da trenta pezzi d'arme tra picche e spadoni a due mani. In disparte una lettiga vuota portata da due uomini. E quello che pareva lor guida stava guardando verso la chiesa, serrato nel mantello, e si mutava or s'un piede or s'un altro in atto d'impazienza. Poco stante uscirono due come famigli, ed accostandosegli dissero: Eccellenza, la cassa è sconfitta e vuota!..
Fu tanta la potenza di queste parole, che scioltosi colui dal mantello percosse con una lanterna, che tenera sotto, sul capo del servo, e se lo fe' cadere ai piedi; e l'altro, a non essersi cacciato a correre, avrebbe avuto di peggio, che già colui aveva posto mano alla spada. Dopo molto tempestare gli convenne partirsi scornato.
Franciotto avea notato fra quegli armati uno in cappa e mantello alla curiale, ed al lume di certi torchi che avean con loro, riconosciutolo per quel ribaldaccio di maestro Jacopo da Montebuono. La presenza di costui in tal luogo, ed in tal compagnia, gli fece nascer di strani sospetti.
Quando si furono avviati, tenne loro dietro alla lontana, e invece d'andar pel barbiere, fece disegno sul sopradetto maestro Jacopo. Solo dubitava non si facesse accompagnare sino all'uscio da alquanti di costoro. Ma, come a Dio piacque, abitando al principio della Longara, quando fu a Ponte Sisto, per esser così breve tragitto, lasciò andar gli altri che passarono il ponte; ed egli s'avviò a casa sua. Franciotto lo raggiunse sotto l'arco, e dettogli non temesse di nulla, lo pregò venisse insino a Ripa grande per una giovane che stava col mal di morte; e tante gliene seppe dire che lo condusse da noi.
Come fu entrato sotto coverta, tosto riconobbe me e la Ginevra, e s'accorse ch'egli aveva dato in un trabocchetto. Franciotto, trattomi da parte, mi narrò ciò che aveva veduto avanti a Santa Cecilia e le parole udite, tantochè principiai a riflettere: mi si squarciò il velo, e capii come doveva essere andata la cosa. E stringendo maestro Jacopo, e minacciandolo, chè era il più pauroso uomo del mondo, lo feci cantare, e mi disse che per ordine del Valentino avea dato alla donna la sera della cena un vino medicato, per virtù del quale era rimasta assopita, ed ajutando esso l'inganno, l'avea dichiarata morta, onde, portata in chiesa, il duca avesse agio a venirsela a prender la notte.
Era un vero miracolo che una trama tanto bene ordita fosse andata a vuoto: e pensa quanto ne ringraziai Iddio.
Allora volto a maestro Jacopo, gli dissi: Ascoltatemi, maestro Jacopo. Io potrei farvi cascar morto con questa daga, ma vi voglio conceder la vita col patto che sia salva quella di costei: onde adoperate i vostri argomenti se volete tornar sano alle vostre brigate. Se poi direte ad anima viva come sia finito questo fatto, io v'ammazzerò come un cane ad ogni modo.
Il maestro spaventato mi promise tutto ciò che volli, e con gran premura si mise attorno alla donna; onde io consigliatomi con Franciotto feci scioglier la barca, e tutti insieme pel fiume ne venimmo alla Magliana, che di poco eran suonate le cinque ore.
Il buon maestro non disse mai nulla di questo.
Ginevra frattanto s'era risentita, ed avendo aperti gli occhi, li girava intorno attonita. Io, fatto oramai sicuro d'averla viva, e parendomi d'aver operato un miracolo, attendevo di tutto cuore a ringraziar Dio, posto ginocchioni al capezzale di lei, che avevamo allogata in una cameretta del vignajuolo.
Dopo