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Limosa aveva molti meriti: capelli neri a spazzola; barba corta all'inglese; abiti che rivelavano il tipo, quasi scomparso ai nostri giorni, del gentiluomo campagnolo, ma abiti di stoffa costosa e di bella fattura; muscoli temprati agli esercizi del corpo; un naturale buon umore e bastevole intelligenza e cultura perchè egli non si confondesse in conversazione alcuna. Dei contadini, fra cui viveva otto o nove mesi dell'anno senza orgoglio e senza abbassarsi troppo, o degli amici e delle amiche che trovava ai campi di corse, chi mai se lo sarebbe imaginato timido e trepidante? Bisognava vederlo tirare ai piccioni! saltar le siepi! guidare Luisella!

      Però egli meritava anche scusa, tant'era graziosa e sagace quella signora Claudia; con certi modi ingenui e volontari da far girar la testa a ben altri che a uno sportman non filosofo! Nè Claudia stentò molto a introdurre il povero Gianni in un dialogo per cui egli credè meglio finirla e confessarsi innamorato cotto.

      – Sissignora! Io sono un uomo alla buona, franco, robusto, sano. Non leggo romanzi, io! E non avrei mai creduto d'innamorarmi fino a questo punto.

      – Di chi?

      – Oh bella! Di lei!

      Gianni rispose con voce un po' aspra, perchè il cuore gli picchiava il petto; e con la sinistra accomodava la barba, mentre Claudia, niente affatto meravigliata, restava con la testa appoggiata al divano mostrandogli, senza volere, la bianca gola e sorridendo d'un'ironia lieve, non priva d'indulgenza.

      – Povero Limosa! – ella disse poi. – Non conosce neppur tutta la gravità del suo malanno! Perchè, scusi, se non è sano chi legge romanzi, non sarà sano neppure chi è innamorato come nei romanzi e come dice di essere lei.

      Egli mormorò:

      – Già, mi contraddico; non capisco più nulla!.. Tanto più che io amo non da eroe, ma da onest'uomo; disposto a qualunque sacrificio.

      – Bravo! E quale sarebbe il sacrificio più grande?

      – … Rinunciare alla mia libertà!

      Il modo con cui fece l'offerta e il tono che aveva imposto alle parole un peso maggiore a quello stesso ch'egli v'attribuiva, ottennero dalla signora una risata schietta.

      – Dio mio! Ma il sacrificio della propria libertà è il più piccolo, il più semplice, il più naturale per l'amore, cioè per il matrimonio! È necessario; se no, il matrimonio non sarebbe un legame!

      – Ebbene – disse rosso in volto Limosa – , io farò di più: rinuncerò ai cavalli, alla caccia, alla campagna; andrò nel bel mondo; leggerò dei romanzi; cercherò duelli; farò della politica; ascolterò concerti wagneriani; ballerò la season…

      – Inutile, povero Limosa!

      – Perchè lei non mi amerà mai? mai?

      Che impeto nella dimanda! che passione, che disperazione nel secondo «mai!»

      Allora Claudia abbassò il capo, coprendosi la faccia con le mani, ascoltandosi e riflettendo; indi scosse il capo a viso scoperto.

      – Io – disse – potrei rinunciare a tutto: ai cavalli, al mondo, ai romanzi, ai concerti, alla season…; a tutto, fuorchè alla mia libertà!

      – Come? – esclamò pieno di gioia Limosa, dopo aver riflettuto anche lui. – Voi, dunque?.. Voi… lei… Amandomi lei non rinuncerebbe alla sua, alla nostra libertà? Voglio dire che se poteste non rinunciare alla vostra libertà, voi forse…?

      Non solo Claudia, ma nessun altro ci avrebbe capito nulla; o avrebbe capito che il cervello a quell'infelice gli aveva dato la volta.

      Tuttavia la signora strinse le ciglia quasi dubitasse d'un'offesa e attendesse un opportuno schiarimento.

      – Sì! – egli dichiarò. – Non son io che lei odia; non è l'amore che lei odia: è il matrimonio!

      E pareva aggiungere: «Quando tutto l'ostacolo stesse qui, non ci vedrei tante difficoltà a superarlo.»

      Ma la signora con voce e attitudine convenevoli alle parole, eppure quasi benigna:

      – Io non odio nulla e nessuno, amico mio; solo, non ho voglia d'amare, perchè più mi piace viver libera; nè una donna come me intenderebbe l'amore senza il sacrificio assoluto e… legale della propria libertà. Chiaro?

      A ogni parola la faccia di Limosa era andata acquistando una linea di mestizia; sicchè all'ultima rassomigliava, lui, a Iacopo Ortis, ma in barba corta all'inglese.

      – … Perciò, amico mio… lasciate… (dolcemente ella cedette al voi)… lasciate questo discorso; e piuttosto facciamo una partita a scopa.

      Il naso sul mento e il mento sul petto, Gianni, quando rispose, disse con un sospiro che venne fuori dal broncio:

      – Non conosco le carte!

      – Nemmeno avete imparato a conoscerle? – ella domandò tra compassionevole e ironica, secondo la sua usanza.

      Allora egli proruppe:

      – Per l'addietro vi dicevo: non so giocare; oggi, signora, vi dico: nemmeno conosco le carte! e me ne vanto!

      – Oh oh!.. Ma dunque che fate assistendo alle nostre partite? a che pensate?

      La passione lo rese eloquente e furente.

      – A voi penso! Io vi guardo; vi studio; vi esamino; vi giudico; entro in voi; scappo disperato; mi perdo… Oh che martirio amarvi e vedervi con le carte in mano! Un supplizio! Diventate cattiva e debole; perfida con chi vince; lusinghiera con chi vi fa vincere…

      – Limosa!

      – Quante volte soffro io più di voi a vedervi palpitante, tremante, pallida in attesa d'un colpo di fortuna! Quante volte vi ho sorpresa con occhi pieni di fiamma interrogare, invitare, accarezzare un compagno più brutto del demonio! Quante volte ho dovuto augurarmi d'essere io il re bello, che vi rallegrava, o l'asso di bastoni o il bagattino!

      – O l'angelo, o il diavolo, bugiardo che siete! – esclamò giuliva la signora. – Conoscete fino i tarocchi!

      Ma l'altro seguitava a infuriarsi:

      – Quante volte ho pianto, ho quasi pianto a vedervi consumare in tal modo gioventù, bellezza, salute, intelligenza, anima! Ma io che vi amo tanto, io giudico che anche questa è una colpa, perchè è questo esecrabile vizio, questa obbrobriosa catena che v'impedisce di amare e di rinunciare alla vostra libertà. Vergogna!

      A questo punto Gianni s'aspettava che ella rispondesse un «grazie» per canzonatura, o che inferocita lo mettesse alla porta; tanta foga egli aveva data all'invettiva. Al contrario, fredda e severa, Claudia parlò:

      – Il vostro rimprovero è ingiusto. Non mi offende: mi affligge; e non vi perdonerei se non vi credessi innamorato perbene e troppo inesperto nell'amore onesto.

      Bel colpo!; che Gianni ricevette senza ribattere.

      – Sapete voi perchè gioco? – ella continuava.

      Cosa poteva saper lui, che non sapeva neanche perchè si fosse innamorato così?

      – … Gioco perchè l'alcoolismo in una donna è turpe; perchè se sono religiosa, non sono bigotta, non ipocrita nè egoista; perchè (e qui la bella voce s'inteneriva), perchè quando mio marito m'ebbe abbandonata sola al mondo, io, che l'amavo perbene, non gli sarei sopravvissuta e mi sarei lasciata struggere dal dolore se non avessi trovato scampo e consolazione in una passione onesta. Inebriarmi? Schiodar Cristi? Mai! Il mio Vittorio m'aveva insegnato lui il faraone, il macao, il tresette, i tarocchi, la scopa!.. – E sgorgarono le lagrime; piovvero lagrime sul fazzoletto.

      – Perdono, perdono! – scongiurava Limosa, pari a un eroe da romanzo, afferrandole una mano e coprendola di baci; mentre si chiedeva: «Debbo mettermi in ginocchio?»

      – … Perdonatemi! – riprese. – La colpa è proprio della mia inesperienza! Se io fossi avvezzo a innamorarmi, non invidierei le carte e non desidererei per me quel che date a loro; mi negherei il diritto di

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