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a pena dato da mangiare al cavallo madido di pioggia e di sudore che il sire venne nella stalla e comandò: – Salta in groppa e corri dal proposto di Sestale: che per nessuna cosa al mondo manchi di essere qua prima di notte.

      Né era ancora notte quando, mentre le genti del Farneto e di Monveglio ricercavano tuttavia pe 'l bosco la donzella, il signore del Farneto e il signore di Monveglio appresero che madonna Giovanna, in cospetto di Dio e del prete di Sestale, era divenuta moglie a Raimondo di Santelmo.

      «Mi sta bene» disse quel di Monveglio; ma l'altro bestemmiò Iddio e la sorte e la figliola. E piú tardi, imparando il fatto del leardo, «Maledetto quel cavallo! – gridò con rabbia – . Per lui ho rinnegata la figliola e lascierò al diavolo la mia roba.»

      Ser Lapo, la notte, nei sogni torbidi osservava un cavallo furioso con sópravi la figlia traverso il bosco, e la visione e l'impressione dei sogni perdurandogli nella mente turbata e affievolita, egli ripeteva spesso anche di giorno: – Ah quel cavallo! quel cavallo!

      V

      Un giorno d'autunno, in tanto che madonna Giovanna e una fantesca distendevano il bucato al sole, arrivò di corsa a Santelmo uno scudiero del Farneto. – Madonna – disse – , messer Lapo sta male e vuol vedervi. – Ciò udito madonna Giovanna affollò lo scudiero d'inchieste e Raimondo fece sellare il leardo.

      Presero per via piú breve il sentiero occulto che l'amore di Raimondo aveva tracciato dentro il bosco. E andando, con l'anima in pena, la donna si raffigurava il padre morente nella camera ove egli era rimasto lieto un mattino ad attenderla sposa e poi in un tormentoso abbandono era rimasto dei mesi ad aspettare la morte; lo rivedeva quale l'aveva veduto un giorno fanciulla portare di peso dai servi entro la stessa camera, il volto contraffatto e gli occhi gonfi e sanguigni, brutto, pauroso; e a secondare cosí con la fantasia commossa il ricordo lontano, sentiva quasi un conforto risalendo piú addietro nelle memorie della puerizia, quando per virtú della sua gaja innocenza quetava le ire del padre, ne raddolciva le asprezze e ne dissipava forse i truci disegni: su 'l castello gravavano leggende di misteri foschi. Essa, con la visione precisa dalle cose infantili, ricorreva ora per le camere ampie fredde e sonore; nella corte chiusa da muraglie umide; nell'orto incolto; sotto il porticato conventuale; attorno la cinta tutta screpolata e macchiata di licheni e di muschi, e chiamava il padre con strilli di terrore e di gioia; ed egli con un pallido sorriso l'accoglieva nelle sue braccia.

      Ma ora egli moriva e forse era già morto senza averla riveduta, dopo averla invocata e attesa invano: forse era già morto! Ella guardò il marito che le veniva appresso pensoso e silenzioso.

      Sotto i piedi del leardo crepitavano le foglie secche. Nel bosco era una tristezza lugubre.

      Giunti che furono al castello madonna Giovanna corse dove ser Lapo, adagiato sopra un seggiolone e sorretto da guanciali, traeva a stento il respiro presso un'ampia finestra. Il suo aspetto non era piú quello di un tempo e non era quello che la figliola s'era raffigurato: nel viso esangue traspariva la sofferenza di un micidiale dolore per gran tempo raccolto e protratto, ma l'anima, che aveva conteso il corpo alla morte e per brev'ora aveva vinto, quasi purificata dalla contesa e dalla vittoria gli effondeva nel viso esangue una luce nuova di bontà e di pietà. Gli occhi non piú irosi e torvi guardarono con dolcezza placida, a lungo; poi dalle labbra raggricciate e livide uscirono finalmente parole miti e generose. E messer Lapo, che aveva perdonato a' suoi figli, volle vedere Raimondo, e riconoscendolo disse: – Muoio.

      Seguí un silenzio d'alcuni minuti, eterno, e rotto soltanto dai singhiozzi della figliola e dal gorgoglioso respiro del padre. Poi questi, quasi vaneggiasse o afferrasse in una riflessione estrema un'estrema ricordanza, balbettò ancora: – Quel cavallo… quello…

      O era l'ultima volontà di ser Lapo? Ordinando di condurre nella corte, sotto la finestra, il leardo, madonna Giovanna indovinava essa l'ultima volontà di ser Lapo? – Poco dopo il leardo raspava giú nella corte, e la figlia china su 'l padre – È là – disse tendendo la mano verso il cavallo.

      Il vecchio alzò le pálpebre ed abbassò uno sguardo dalla finestra; lo vide e parve che sorridesse: ma le pálpebre non ricaddero sopra le pupille spente.

      – Padre! – gridò la donna.

      Il sire di Farneto, morto, pareva che sorridesse.

      LIBERALITÀ DI MESSER BERTRAMO D'AQUINO

      La corte di Carlo primo d'Angiò, dopo la strage di Tagliacozzo e poscia che da un colpo di scure fu troncata l'adolescente baldanza di Corradino di Svevia, fioriva di nobili donne e baroni e cavalieri e splendeva in magnificenza di conviti, danze, tornei e feste mai piú vedute.

      Ad una di tali feste messer Bertramo d'Aquino, che tra i cavalieri del re aveva lode di singolare valore e cortesia, conobbe la moglie di messer Corrado, suo amico di molti anni, la quale era bellissima donna e si chiamava Fiola Torrella; e cominciando egli súbito a vagheggiarla, in breve se ne innamorò di guisa che non poteva pensare ad altro. E giacché madonna Fiola, non per freddezza di natura o per amor del marito o per sincerità di virtú, ma per diffidenza degli uomini e timore di scandalo e troppa stima di sé medesima, gli si mostrava aspra e fiera, messer Bertramo si perdeva ogni dí piú nel desiderio di lei e per lei giostrava, faceva grandezze, vinceva ogni altro cavaliere in gentilezza e liberalità.

      Tutto invano: madonna era sorda alle sue ambasciate; gli rinviava lettere e doni; non gli rivolgeva pure uno sguardo. Ond'egli, che oramai non sperava piú nulla, nulla piú le chiedeva; e non sentendo alcun bene se non in vederla, triste e sconsolato, ma sempre con destrieri nuovi e mirabili, passava tutti i giorni sotto alle finestre di lei e ogni volta poteva vederla la salutava umilmente: essa moveva altrove i begli occhi.

      Un amico, il quale vantava grande esperienza in conoscer le donne, confortava Bertramo: – O madonna ha un altro amante, ciò che non sembra da credere, o finirà con innamorarsi di voi – . E Bertramo per mezzi sottili ebbe certezza che Fiola non aveva altro amante; ma ella non cedeva, anzi diveniva piú rigida; sí che quell'amico esperto assai delle donne avrebbe dovuto ricredersi se la fortuna, impietosita delle angoscie del cavaliere, non avesse trovata una strana via per aiutarlo.

      Certo giorno messer Corrado condusse la moglie e una gaia compagnia di cavalieri e di dame alla caccia del falcone in una villa che aveva poco lungi da Napoli; e poi che con loro fu stato in piú parti senza molta fortuna, giunto a una valletta, la quale pareva fatta dalla natura per cacciarvi, disse tutto allegro: – Ora vedrete se il mio sparviero sa spennacchiare! – Presto i cani si misero in traccia delle starne e levandone un bracco un fitto drappello, egli fe' il getto e gridò: – Guardate! – Lo sparviero, che era ben destro, scese di furia sulle starne frullanti e le disperse; una ghermí e stracciò e inseguí le altre, come un soldato valoroso che piombi sopra una schiera di nemici e abbattutone uno fughi e persegua i rimanenti.

      – Come Bertramo d'Aquino, mio capitano, a Tagliacozzo – disse messer Corrado; e per dar ragione del confronto tra il suo caro sparviero e l'amico assai caro, narrò di questo le belle prodezze quando l'avea veduto irrompere impetuoso nel furor della mischia.

      – Certo – aggiungeva – non è alla corte e fuori chi uguagli Bertramo in piacevolezza di parlare, grazia di modi e generosità e magnificenza d'animo; e anche il re gli vuole gran bene. – E di Bertramo proseguiva a narrare piú geste e vicende.

      Madonna Fiola ascoltava attenta il marito e le lodi al cavaliere, che aveva posto ardentissimo amore in lei, le pungevano l'animo di compiacenza, quasi lodi fatte alla sua bellezza, se la sua bellezza aveva potuto accendere senza misura uomo cosí perfetto; e come le lusinghe della vanità nelle donne possono tutto, anche piegare a sensi miti le piú proterve, ella rivolgeva nel pensiero quante pene aveva sostenute Bertramo; quanto acerba noncuranza gli aveva dimostrata, e le pareva d'aver fatto male.

      Potenza d'Amore! Essa già sentiva che meglio che una durezza superba e una fredda virtú soddisfaceva il suo orgoglio l'innalzare a sé il piú ammirato dei cavalieri, senza piú timore alcuno d'abbassarsi a lui; e nella esuberante sua giovinezza già serpeva un desiderio vago di consolazioni nuove e di nuove gioie suscitate e acuite, per lo spirito e per i sensi, dalla forza della passione e dalla fatalità della colpa. Perché era fatale che amasse Bertramo

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