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sulla sedia per tenersi il più possibile lontano dalla signora, cominciava a guardarla di sottecchi.

      Essa aveva un soprabito come un uomo, ma era un gran bel… soprabito.

      Dopo alcune domande, buttate là a caso da Giacomino, si avviò subito un’animatissima conversazione. Il signor Daniele stava attento, a bocca aperta, ma capiva poco perchè parlavano in francese e molto in fretta. Ad un tratto vide Giacomino alzarsi; si alzò subito anche lui, credendo di andar via; invece c’erano le presentazioni: il tic di Giacomino.

      – Mon père – poi voltandosi – Mademoiselle Fanny Richard.

      – Monsieur Richard, le frère de mademoiselle. – Ah, era suo fratello!…

      Il signor Daniele s’inchinò, riafferrò a tempo il vecchio cilindro che gli scappava di mano un’altra volta, poi mentre Giacomo chiamava il cameriere e gli ordinava due altri punch frappès, disse sottovoce al figliuolo che avrebbe preso anche lui un’acqua d’arancio. E fu contento di quella risoluzione. Dinanzi alla sua acqua d’arancio, si sentiva tornare il coraggio, aveva qualche cosa per occupare il tempo e le mani, e, bevendo l’aranciata a sorsi, poteva sbirciare a suo bell’agio madamigella Fanny.

      Sotto il soprabito essa aveva la giacchettina e il gilet bianco, la camicia, la cravatta, tutto come un uomo.

      – Ah, il giovinetto non era che suo fratello – continuava a pensare il signor Daniele, e guardava la signorina con maggior fiducia.

      Quella madamigella era proprio… un bell’ometto!

      La grazia femminile risaltava in lei maggiormente per il contrasto dell’abito. I labbruzzi procaci, bagnati dal punch frappé, parean foglie di rosa. Daniele continuava a star attento, a sorridere quando ridevano gli altri e a non capire. Gli pareva che parlassero di cavalli: certo dovevano parlar di cavalli. Giacomino ci prendeva tanto gusto! Giacomino andava matto per i cavalli! Certe volte rimaneva estatico persino dinanzi ai brum di porta Romana. E il babbo, dopo aver guardato con compiacenza il figliuolo, tornava a bere un sorso d’aranciata e tornava a rimirare la signorina. A un tratto egli arrossì, abbassò gli occhi. Madamigella Fanny aveva caldo, si era sbottonata, con una rapida scorsa della mano scintillante di gemme, tutta la giacchettina e lo splendore del gilet bianco aveva abbarbagliato il signor Daniele. Giacomo e gli altri parlavano proprio di cavalli. Figurarsi! Erano due cavallerizzi del Circo Stanislao.

      Ma niente sottanino corto; «amazzone» e «alta scuola». Madamigella e monsieur Richard erano ricchi proprietari di una scuderia in Inghilterra, artisti per passione; l’ippodromo era uno sport.

      Giacomino spiegò tutto questo al babbo, soggiungendo con calore: – E domani sera un gran debutto al Dal Verme!

      Domani sera?…

      Quel domani sera ricordò al signor Daniele il ritorno della moglie che aveva dimenticato. Il pover’uomo si rannuvolò, sospirò, e fece cenno al figliuolo che era tardi, era ora di tornar a casa.

      Ma che! Giacomino faceva il bravo col suo francese!… già aveva sempre preso il dieci anche a scuola; e parlava persino coll’erre!

      – Voi dovete essere – come si dice, – molto fiero di vostro figlio – esclamò ad un tratto madamigella Fanny, rivolgendosi a Daniele, sforzandosi di parlar italiano, e guardandolo per la prima volta con certi occhi neri e luccicanti che diventavano sempre più grandi.

      Il babbo sorrise: chinò in fretta la testa arruffata e si accostò il bicchiere alle labbra per bere un altro sorso d’aranciata, ma il bicchiere era vuoto..

      Dopo aver parlato di cavalli, parlarono di scherma. Un’altra gran passione di Giacomino: ora peraltro non poteva esercitarsi come avrebbe voluto, perché alla palestra non si dava se non una lezione alla settimana.

      Il signor Richard gli promise allora d’insegnargli un colpo straordinario: un colpo, col quale a Parigi aveva; passato da parte a parte un certo conte Brakonine, un russo, che si era permesso con sua sorella certi modi che non gli andavano. E parlando mezzo francese e mezzo italiano si voltò a raccontare il fatto al signor Trebeschi, mentre madamigella Fanny, bisbigliando pianino con Giacomo, gli dava appuntamento per la sera dopo al Dal Verme.

      Il racconto del signor Richard andava per le lunghe. Aveva già consegnato due schiaffoni al conte Brakonine, lo aveva mandato a gambe all’aria nella «pista», lo aveva già passato da parte a parte più d’una volta, quando la signorina si alzò e dopo essersi fatta promettere una visita per la sera dopo al Dal Verme, cominciò a fissare il signor Daniele… continuò a fissarlo.

      E mentre Giacomo impediva a monsieur Richard di pagare, essa strinse la mano del babbo due volte con tanta forza, che il pover’uomo ne rimase scombussolato.

      – Bonsoàr, madamoasèl!

      Il signor Daniele non seppe dir altro.

      Per tutto il giorno dopo il brav’uomo fece il muso lungo con Giacomino, modi bruschi, poche parole condite col voi a tutto spiano; cercava insomma di imitare la cera ed il farà imperioso della moglie.

      Ma l’altro non se ne diede per inteso; dopo cena, dietro le spalle della madre che, stanca del viaggio, cascava dal sonno, continuava a strizzar l’occhio e a far l’atto di tirare un colpo colla stecca.

      Daniele era sulle spine, temendo che sua moglie si accorgesse di tutta quella mimica.

      – Sì!… ho capito!… – diceva Giacomo sottovoce – appena la mamma sarà andata a letto.

      Si riservava di fare al figliuolo una solenne paternale per la strada; e infatti, mentre camminavano in via Lentasio per sbucare a porta Romana, ne rimuginava l’esordio, quando a un tratto Giacomino, prendendolo a braccetto colla sua solita monelleria affettuosa, sparò il colpo a bruciapelo:

      – Mon père, andiamo al Dal Verme?

      – Sei matto?… Siete matto!

      E Daniele che aveva pensato tutto il giorno a quel teatro, appunto perché non ci voleva pensare, si staccò a viva forza dal figliuolo.

      – Siete matto! È ora di finirla! Dovreste imitare il mio esempio! Lavorare! Andare a letto!

      – Allora dammi i denari! andrò io solo – rispose Giacomo arrabbiandosi lui pure, ma sul serio. – Ho dato la mia parola e non voglio mancare. Non voglio aver osservazioni dal signor Richard. Non sono più un bimbo, sono un uomo.

      Che c’è di male? Meglio al teatro che in una bisca! – E, borbottando e gesticolando, continuò a camminare in fretta verso il Dal Verme, mentre il signor Daniele, curvo, muto, gli teneva dietro per non saper che fare, per non lasciarlo andar solo, per paura che gli scappasse.

      E così Giacomino sempre innanzi, il signor Daniele sempre dietro, si trovarono alla porta del teatro.

      – I denari per i biglietti – intimò il giovinotto fermandosi su’ due piedi.

      L’altro cercò di qua e di là il portafogli, con una lentezza da far disperare; infino lo trovò, lo apri meticolosamente e non meno meticolosamente scelse il più sudicio fra i biglietti da dieci lire… durò un pezzo a fregarlo colle dita per assicurarsi che non erano due. Poi, scrollando la testa, seguì un po’ alla lontana il figliuolo… e finì col sorridere ancora di compiacenza, vedendo come sapesse farsi largo fra la calca fino al finestrino.

      – Pardon messieurs, pardon mesdames, due fauteuils di prima fila, s’il vous plait!

      IV

      Il signor Daniele era sempre rannicchiato nel cantuccio buio del fondaco; pure, al ricordo di quel suo primo ingresso al Dal Verme, si sentì come avvolto da una gran luce allegra e calda: la folla muta gremiva il teatro: l’orchestra sonava in tono lamentevole la Stella confidente.

      Gladiator, montato all’alta scuola da madamigella Fanny, eseguiva il «passo spagnuolo».

      Gladiator, come spiegava il manifesto, era il «famoso stallone arabo, regalato alla Stella del Circo Stanislao da Mohamed-pascià»,

      – Sediamoci? – aveva detto Daniele a Giacomino, subito quando, a furia di gomitate e di spintoni, erano arrivati ai loro, posti. – Sediamoci?

      Il

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