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e appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea.

      Disse il santo frate: «Figliuol mio, che hai tu?»

      Rispose ser Ciappelletto: «Ohimè, messere, ché un peccato m’è rimaso, del quale io non mi confessai mai, sì gran vergogna ho di doverlo dire; e ogni volta che io me ne ricordo piango come voi vedete, e parmi essere molto certo che Idio mai non avrà misericordia di me per questo peccato.»

      Allora il santo frate disse: «Va’ via, figliuolo, che è ciò che tu di’? Se tutti i peccati che furon mai fatti da tutti gli uomini, o che si debbon fare da tutti gli uomini mentre che il mondo durerà, fosser tutti in uno uom solo, ed egli ne fosse pentuto e contrito come io veggio te, si è tanta la benignità e la misericordia di Dio che, confessandogli egli, gliele perdonerebbe liberamente: e per ciò dillo sicuramente.»

      Disse allora ser Ciappelletto, sempre piagnendo forte: «Ohimè, padre mio, il mio è troppo gran peccato, e appena posso credere, se i vostri prieghi non ci si adoperano, che egli mi debba mai da Dio esser perdonato.»

      A cui il frate disse: «Dillo sicuramente, ché io ti prometto di pregare Idio per te.»

      Ser Ciappelletto pur piagnea e nol dicea, e il frate pur il confortava a dire; ma poi che ser Ciappelletto piagnendo ebbe un grandissimo pezzo tenuto il frate così sospeso, e egli gittò un gran sospiro e disse: «Padre mio, poscia che voi mi promettete di pregare Idio per me, e io il vi dirò. Sappiate che, quando io era piccolino, io bestemmiai una volta la mamma mia.» E così detto ricominciò a piagnere forte.

      Disse il frate: «O figliuol mio, or parti questo così gran peccato? o gli uomini bestemmiano tutto il giorno Idio, e sì perdona Egli volentieri a chi si pente d’averlo bestemmiato; e tu non credi che Egli perdoni a te questo? Non piagner, confortati, ché fermamente, se tu fossi stato un di quegli che il posero in croce, avendo la contrizione che io ti veggio, sì ti perdonerebbe Egli.»

      Disse allora ser Ciappelletto: «Ohimè, padre mio, che dite voi? la mamma mia dolce, che mi portò in corpo nove mesi il dì e la notte e portommi in collo più di cento volte! troppo feci male a bestemmiarla e troppo è gran peccato; e se voi non pregate Idio per me, egli non mi serà perdonato.»

      Veggendo il frate non essere altro restato a dire a ser Ciappelletto, gli fece l’absoluzione e diedegli la sua benedizione, avendolo per santissimo uomo, sì come colui che pienamente credeva esser vero ciò che ser Ciappelletto avea detto: e chi sarebbe colui che nol credesse, veggendo uno uomo in caso di morte dir così? E poi, dopo tutto questo, gli disse: «Ser Ciappelletto, coll’aiuto di Dio voi sarete tosto sano; ma se pure avvenisse che Idio la vostra benedetta e ben disposta anima chiamasse a sé, piacevi egli che ’l vostro corpo sia sepellito al nostro luogo?»

      Al quale ser Ciappelletto rispose: «Messer sì; anzi non vorrei io essere altrove, poscia che voi mi avete promesso di pregare Idio per me: senza che io ho avuta sempre spezial divozione al vostro Ordine. E per ciò vi priego che, come voi al vostro luogo sarete, facciate che a me vegna quel veracissimo corpo di Cristo, il qual voi la mattina sopra l’altare consecrate; per ciò che, come che io degno non ne sia, io intendo colla vostra licenzia di prenderlo, e appresso la santa e ultima unzione, acciò che io, se vivuto son come peccatore, almeno muoia come cristiano.»

      Il santo uomo disse che molto gli piacea e che egli diceva bene, e farebbe che di presente gli sarebbe apportato; e così fu.

      Li due fratelli, li quali dubitavan forte non ser Ciappelletto gl’ingannasse, s’eran posti appresso a un tavolato, il quale la camera dove ser Ciappelletto giaceva dividea da un’altra, e ascoltando leggiermente udivano e intendevano ciò che ser Ciappelletto al frate diceva; e aveano alcuna volta sì gran voglia di ridere, udendo le cose le quali egli confessava d’aver fatte, che quasi scoppiavano: e fra sé talora dicevano: «Che uomo è costui, il quale né vecchiezza né infermità né paura di morte alla qual si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi al giudicio del quale di qui a picciola ora s’aspetta di dovere essere, dalla sua malvagità l’hanno potuto rimuovere, né far ch’egli così non voglia morire come egli è vivuto?». Ma pur vedendo che sì aveva detto che egli sarebbe a sepoltura ricevuto in chiesa, niente del rimaso si curarono.

      Ser Ciappelletto poco appresso si comunicò: e peggiorando senza modo, ebbe l’ultima unzione; e poco passato vespro, quel dì stesso che la buona confessione fatta avea, si morì. Per la qual cosa li due fratelli, ordinato di quello di lui medesimo come egli fosse onorevolmente sepellito, e mandatolo a dire al luogo de’ frati, e che essi vi venissero la sera a far la vigilia secondo l’usanza e la mattina per lo corpo, ogni cosa a ciò opportuna dispuosero.

      Il santo frate che confessato l’avea, udendo che egli era trapassato, fu insieme col priore del luogo; e fatto sonare a capitolo, alli frati ragunati in quello mostrò ser Ciappelletto essere stato santo uomo, secondo che per la sua confessione conceputo avea; e sperando per lui Domenedio dovere molti miracoli dimostrare, persuadette loro che con grandissima reverenzia e divozione quello corpo si dovesse ricevere. Alla qual cosa il priore e gli altri frati creduli s’accordarono: e la sera, andati tutti là dove il corpo di ser Ciappelletto giaceva, sopr’esso fecero una grande e solenne vigilia; e la mattina, tutti vestiti co’ camisci e co’ pieviali, con libri in mano e con le croci innanzi, cantando andaron per questo corpo e con grandissima festa e solennità il recarono alla lor chiesa, seguendo quasi tutto il popolo della città, uomini e donne. E nella chiesa postolo, il santo frate che confessato l’avea, salito in sul pergamo, di lui cominciò e della sua vita, de’ suoi digiuni, della sua virginità, della sua simplicità e innocenzia e santità maravigliose cose a predicare, tra l’altre cose narrando quello che ser Ciappelletto per lo suo maggior peccato piagnendo gli avea confessato, e come esso appena gli avea potuto mettere nel capo che Idio gliele dovesse perdonare, da questo volgendosi a riprendere il popolo che ascoltava, dicendo: «E voi, maladetti da Dio, per ogni fuscello di paglia che vi si volge tra’ piedi bestemmiate Idio e la Madre, e tutta la corte di Paradiso.»

      E oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtà e della sua purità: e in brieve colle sue parole, alle quali era dalla gente della contrada data intera fede, sì il mise nel capo e nella divozion di tutti coloro che v’erano, che, poi che fornito fu l’uficio, colla maggior calca del mondo da tutti fu andato a basciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli furono in dosso stracciati, tenendosi beato chi pure un poco di quegli potesse avere: e convenne che tutto il giorno così fosse tenuto, acciò che da tutti potesse essere veduto e visitato. Poi, la vegnente notte, in una arca di marmo sepellito fu onorevolmente in una cappella: e a mano a mano il dì seguente vi cominciarono le genti a andare e a accender lumi e a adorarlo, e per conseguente a botarsi e a appicarvi le imagini della cera secondo la promession fatta. E in tanto crebbe la fama della sua santità e divozione a lui, che quasi niuno era che in alcuna avversità fosse, che a altro santo che a lui si botasse, e chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto; e affermano molti miracoli Iddio aver mostrati per lui e mostrare tutto giorno a chi divotamente si raccomanda a lui.

      Così adunque visse e morì ser Cepparello da Prato e santo divenne come avete udito. Il quale negar non voglio essere possibile lui esser beato nella presenza di Dio, per ciò che, come che la sua vita fosse scelerata e malvagia, egli poté in su lo stremo aver sì fatta contrizione, che per avventura Idio ebbe misericordia di lui e nel suo regno il ricevette: ma, per ciò che questo n’è occulto, secondo quello che ne può apparire ragiono, e dico costui più tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione che in Paradiso. E se così è, grandissima si può la benignità di Dio cognoscere verso noi, la quale non al nostro errore, ma alla purità della fé riguardando, così faccendo noi nostro mezzano un suo nemico, amico credendolo, ci essaudisce, come se a uno veramente santo per mezzano della sua grazia ricorressimo. E per ciò, acciò che noi per la sua grazia nelle presenti avversità e in questa compagnia così lieta siamo sani e salvi servati, lodando il suo nome nel quale cominciata l’abbiamo, Lui in reverenza avendo, ne’ nostri bisogni gli ci raccomanderemo, sicurissimi d’essere uditi.

      E qui si tacque.

      NOVELLA SECONDA

      Abraam giudeo, da Giannotto di Civignì stimolato, va in corte di Roma; e, veduta la malvagità de’ cherici, torna a Parigi e fassi cristiano.

      La

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