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mia donna, io son disposto che mi sia tagliata la testa se tu mai a cosa che ti piaccia in cotale atto la puoi conducere; e se tu non puoi, io non voglio che tu perda altro che mille fiorin d’oro.»

      Ambruogiuolo, già in su la novella riscaldato, rispose: «Bernabò, io non so quello che io mi facessi del tuo sangue, se io vincessi; ma se tu hai voglia di vedere pruova di ciò che io ho già ragionato, metti cinquemilia fiorin d’oro de’ tuoi, che meno ti deono essere cari che la testa, contro a mille de’ miei; e dove tu niuno termine poni, io mi voglio obligare d’andare a Genova e infra tre mesi dal dì che io mi partirò di qui avere della tua donna fatta mia volontà, e in segno di ciò recarne meco delle sue cose più care e sì fatti e tanti indizii, che tu medesimo confesserai esser vero, sì veramente che tu mi prometterai sopra la tua fede infra questo termine non venire a Genova né scrivere a lei alcuna cosa di questa materia.»

      Bernabò disse che gli piacea molto; e quantunque gli altri mercatanti che quivi erano s’ingegnassero di sturbar questo fatto, conoscendo che gran male ne potea nascere, pure erano de’ due mercatanti sì gli animi accesi, che, oltre al voler degli altri, per belle scritte di lor mano s’obligarono l’uno all’altro.

      E fatta la obligagione, Bernabò rimase e Ambruogiuolo quanto più tosto poté se ne venne a Genova; e dimoratovi alcun giorno e con molta cautela informatosi del nome della contrada e de’ costumi della donna, quello e più ne ’ntese che da Bernabò udito n’avea: per che gli parve matta impresa aver fatta. Ma pure, accontatosi con una povera femina che molto nella casa usava e a cui la donna voleva gran bene, non potendola a altro inducere, con denari la corruppe e a lei in una cassa artificiata a suo modo si fece portare non solamente nella casa ma nella camera della gentil donna; e quivi, come se in alcuna parte andar volesse, la buona femina, secondo l’ordine datole da Ambruogiuolo, la raccomandò per alcun dì.

      Rimasa adunque la cassa nella camera e venuta la notte, allora che Ambruogiuolo avvisò che la donna dormisse, con certi suoi ingegni apertala, chetamente nella camera uscì nella quale un lume acceso avea; per la qual cosa egli il sito della camera, le dipinture e ogni altra cosa notabile che in quella era cominciò a raguardare e a fermare nella sua memoria. Quindi, avvicinatosi al letto e sentendo che la donna e una piccola fanciulla che con lei era dormivan forte, pianamente scopertala tutta, vide che così era bella ignuda come vestita, ma niuno segnale da potere rapportare le vide, fuori che uno che ella n’avea sotto la sinistra poppa, ciò era un neo dintorno al quale erano alquanti peluzzi biondi come oro; e ciò veduto, chetamente la ricoperse, come che, così bella vedendola, in disiderio avesse di mettere in avventura la vita sua e coricarlesi allato. Ma pure, avendo udito lei essere così cruda e alpestra intorno a quelle novelle, non s’arrischiò. E statosi la maggior parte della notte per la camera a suo agio, una borsa e una guarnacca d’un suo forzier trasse e alcuno anello e alcuna cintura, e ogni cosa nella cassa sua messa, egli altressì vi si ritornò e così la serrò come prima stava; e in questa maniera fece due notti senza che la donna di niente s’accorgesse. Vegnente il terzo dì, secondo l’ordine dato, la buona femina tornò per la cassa sua e colà la riportò onde levata l’avea; della quale Ambruogiuolo uscito, e contentata secondo la promessa la femina, quanto più tosto poté con quelle cose si tornò a Parigi avanti il termine preso.

      Quivi, chiamati que’ mercatanti che presenti erano stati alle parole e al metter de’ pegni, presente Bernabò, disse sé aver vinto il pegno tra lor messo per ciò che fornito aveva quello di che vantato s’era: e che ciò fosse vero, primieramente disegnò la forma della camera e le dipinture di quella, e appresso mostrò le cose che di lei n’aveva seco recate affermando da lei averle avute. Confessò Bernabò così essere fatta la camera come diceva e oltre a ciò sé riconoscere quelle cose veramente della sua donna essere state; ma disse lui aver potuto da alcuno de’ fanti della casa sapere la qualità della camera e in simil maniera avere avute le cose; per che, se altro non dicea, non gli parea che questo bastasse a dovere aver vinto.

      Per che Ambruogiuolo disse: «Nel vero questo doveva bastare: ma poi che tu vuogli che io più avanti ancora dica, e io il dirò. Dicoti che madonna Zinevra tua mogliere ha sotto la sinistra poppa un neo ben grandicello, dintorno al quale son forse sei peluzzi biondi come oro.»

      Quando Bernabò udì questo, parve che gli fosse dato d’un coltello al cuore, sì fatto dolore sentì: e tutto nel viso cambiato, eziandio se parola non avesse detta, diede assai manifesto segnale ciò esser vero che Ambruogiuolo diceva; e dopo alquanto disse: «Signori, ciò che Ambruogiuolo dice è vero; e per ciò, avendo egli vinto, venga qualor gli piace e sì si paghi.» E così fu il dì seguente Ambruogiuolo interamente pagato.

      E Bernabò, da Parigi partitosi, con fellone animo contro alla donna verso Genova se ne venne. E appressandosi a quella non volle in essa entrare, ma si rimase ben venti miglia lontano a essa, a una sua possessione; e un suo famigliare, in cui molto si fidava, con due cavalli e con sue lettere mandò a Genova, scrivendo alla donna come tornato era e che con colui a lui venisse; e al famiglio segretamente impose che, come in parte fosse con la donna che miglior gli paresse, senza niuna misericordia la dovesse uccidere e a lui tornarsene. Giunto adunque il famigliare a Genova e date le lettere a fatta l’ambasciata, fu dalla donna con gran festa ricevuto; la quale la seguente mattina, montata col famigliare a cavallo, verso la sua possessione prese il cammino.

      E camminando insieme e di varie cose ragionando, pervennero in un vallone molto profondo e solitario e chiuso d’alte grotte e d’alberi; il quale parendo al famigliare luogo da dovere sicuramente per sé fare il comandamento del suo signore, tratto fuori il coltello e presa la donna per lo braccio, disse: «Madonna, raccomandate l’anima vostra a Dio, ché a voi, senza passar più avanti, convien morire.»

      La donna, vedendo il coltello e udendo le parole, tutta spaventata disse: «Mercé per Dio! anzi che tu m’uccida dimmi di che io t’ho offeso, che tu uccider mi debbi.»

      «Madonna,» disse il famigliare «me non avete offeso d’alcuna cosa: ma di che voi offeso abbiate il vostro marito io nol so, se non che egli mi comandò che senza alcuna misericordia aver di voi io in questo cammin v’uccidessi; e se io nol facessi mi minacciò di farmi impiccar per la gola. Voi sapete bene quanto io gli son tenuto e come io di cosa che egli m’imponga possa dir di no: sallo Idio che di voi m’incresce ma io non posso altro.»

      A cui la donna piagnendo disse: «Ahi! mercé per Dio! non volere divenire micidiale di chi mai non t’offese, per servire altrui. Idio, che tutto conosce, sa che io non feci mai cosa per la quale io dal mio marito debbia così fatto merito ricevere. Ma lasciamo ora star questo; tu puoi, quando tu vogli, a un’ora piacere a Dio e al tuo signore e a me in questa maniera: che tu prenda questi miei panni e donimi solamente il tuo farsetto e un cappuccio, e con essi torni al mio e tuo signore e dichi che tu m’abbi uccisa; e io ti giuro, per quella salute la quale tu donata m’avrai, che io mi dileguerò e andronne in parte che mai né a lui né a te né in queste contrade di me perverrà alcuna novella.»

      Il famigliare, che malvolentieri l’uccidea, leggiermente divenne pietoso: per che, presi i drappi suoi e datole un suo farsettaccio e un cappuccio e lasciatile certi denari li quali essa avea, pregandola che di quelle contrade si dileguasse, la lasciò nel vallone a piè; e andonne al signor suo, al quale disse che ’l suo comandamento non solamente era fornito, ma che il corpo di lei morta aveva tra parecchi lupi lasciato. Bernabò dopo alcun tempo se ne tornò a Genova e, saputosi il fatto, forte fu biasimato.

      La donna, rimasa sola e sconsolata, come la notte fu venuta, contraffatta il più che poté n’andò a una villetta ivi vicina; e quivi da una vecchia procacciato quello che le bisognava, racconciò il farsetto a suo dosso, e fattol corto e fattosi della sua camiscia un paio di pannilini e i capelli tondutisi e trasformatasi tutta in forma d’un marinaro, verso il mare se ne venne, dove per avventura trovò un gentile uom catalano, il cui nome era segner En Cararh, il quale d’una sua nave, la quale alquanto di quivi era lontana, in Alba già disceso era a rinfrescarsi a una fontana. Col quale entrata in parole, con lui s’acconciò per servidore e salissene sopra la nave faccendosi chiamare Sicuran da Finale. Quivi, di miglior panni rimesso in arnese dal gentile uomo, lo ’ncominciò a servir sì bene e sì acconciamente, che egli gli venne oltre modo a grado. Avvenne ivi a non guari tempo che questo catalano con un suo carico navicò in Alessandria e portò certi falconi pellegrini al soldano e presentogliele:

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