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disiderando, voi, graziose donne, sommamente peccate in una, cioè nel disiderare d’esser belle, in tanto che, non bastandovi le bellezze che dalla natura concedute vi sono, ancora con maravigliosa arte quelle cercate d’acrescere, mi piace di raccontarvi quanto sventuratamente fosse bella una saracina, alla quale in forse quatro anni avvenne per la sua bellezza di fare nuove nozze da nove volte.

      Già è buon tempo passato che di Babillonia fu un soldano, il quale ebbe nome Beminedab, al quale ne’ suoi dì assai cose secondo il suo piacere avvennero. Aveva costui, tra gli altri suoi molti figliuoli e maschi e femine, una figliuola chiamata Alatiel, la qual, per quello che ciascun che la vedeva dicesse, era la più bella femina che si vedesse in que’ tempi nel mondo; e per ciò che in una grande sconfitta, la quale aveva data a una gran moltitudine d’arabi che addosso gli eran venuti, l’aveva maravigliosamente aiutato il re del Garbo, a lui, domandandogliele egli di grazia speziale, l’aveva per moglie data; e lei con onorevole compagnia e d’uomini e di donne e con molti nobili e ricchi arnesi fece sopra una nave bene armata e ben corredata montare, e a lui mandandola la accomandò a Dio.

      I marinari, come videro il tempo ben disposto, diedero le vele a’ venti e del porto d’Allessandria si partirono e più giorni felicemente navigarono: e già avendo la Sardigna passata, parendo loro alla fine del loro cammino esser vicini, si levarono subitamente un giorno diversi venti, li quali, essendo ciascuno oltre modo impetuoso, sì faticaron la nave dove la donna era e’ marinari, che più volte per perduti si tennero. Ma pure, come valenti uomini, ogni arte e ogni forza operando, essendo da infinito mare combattuti, due dì si sostennero; e surgendo già dalla tempesta cominciata la terza notte e quella non cessando ma crescendo tuttafiata, non sappiendo essi dove si fossero né potendolo per estimazion marineresca comprendere né per vista, per ciò che obscurissimo di nuvoli e di buia notte era il cielo, essendo essi non guari sopra Maiolica, sentirono la nave sdruscire.

      Per la qual cosa, non veggendovi alcun rimedio al loro scampo, avendo a mente ciascun se medesimo e non altrui, in mare gittarono un paliscalmo, e sopra quello più tosto di fidarsi disponendo che sopra la isdruscita nave si gittarono i padroni; a’ quali appresso or l’uno or l’altro di quanti uomini erano nella nave, quantunque quegli che prima nel paliscalmo eran discesi con le coltella in mano il contradicessero, tutti si gittarono, e credendosi la morte fuggire in quella incapparono: per ciò che, non potendone per la contrarietà del tempo tanti reggere il paliscalmo, andato sotto, tutti quanti perirono. E la nave, che da impetuoso vento era sospinta, quantunque isdruscita fosse e già presso che piena d’acqua, non essendovi su rimasa altra persona che la donna e le sue femine (e quelle tutte per la tempesta del mare e per la paura vinte su per quella quasi morte giacevano), velocissimamente correndo in una piaggia dell’isola di Maiolica percosse. E fu tanta e sì grande la foga di quella, che quasi tutta si ficcò nella rena, vicina al lito forse una gittata di pietra: quivi, dal mar combattuta, la notte senza poter più dal vento esser mossa si stette.

      Venuto il giorno chiaro e alquanto la tempesta acchetata, la donna, che quasi mezza morta era, alzò la testa e così debole come era cominciò a chiamare ora uno e ora un altro della sua famiglia, ma per niente chiamava: i chiamati erano troppo lontani. Per che, non sentendosi rispondere a alcuno né alcuno veggendone, si maravigliò molto e cominciò a avere grandissima paura; e come meglio poté levatasi, le donne che in compagnia di lei erano e l’altre femine tutte vide giacere, e or l’una e or l’altra dopo molto chiamare tentando poche ve ne trovò che avessero sentimento, sì come quelle che tra per grave angoscia di stomaco e per paura morte s’erano; di che la paura alla donna divenne maggiore. Ma nondimeno, strignendola necessità di consiglio, per ciò che quivi tutta sola si vedeva, non conoscendo o sappiendo dove si fosse, pure stimolò tanto quelle che vive erano, che su le fece levare; e trovando quelle non sapere dove gli uomini andati fossero e veggendo la nave in terra percossa e d’acqua piena, con quelle insieme dolorosamente cominciò a piagnere. E già era ora di nona avanti che alcuna persona su per lo lito o in altra parte vedessero a cui di sé potessero far venire alcuna pietà a aiutarle.

      In su la nona, per avventura da un suo luogo tornando, passò di quindi un gentile uomo, il cui nome era Pericon da Visalgo, con più suoi famigli a cavallo; il quale, veggendo la nave, subitamente immaginò ciò che era, e comandò a un de’ famigli che senza indugio procacciasse di su montarvi e gli raccontasse ciò che vi fosse. Il famigliare, ancora che con dificultà il facesse, pur vi montò su: e trovò la gentil giovane, con quella poca compagnia che avea, sotto il becco della proda della nave tutta timida star nascosa. Le quali, come costui videro, piangendo più volte misericordia adomandarono, ma accorgendosi che intese non erano né esse lui intendevano con atti s’ingegnarono di dimostrare la loro disaventura. Il famigliare, come poté il meglio ogni cosa raguardata, raccontò a Pericone ciò che su v’era. Il quale, prestamente fattene giù torre le donne e le più preziose cose che in essa erano e che aver si potessono, con esse n’andò a un suo castello; e quivi con vivande e con riposo riconfortate le donne, comprese per gli arnesi ricchi la donna che trovata avea dovere essere gran gentil donna, e lei prestamente conobbe all’onore che vedeva dall’altre fare a lei sola. E quantunque pallida e assai male in ordine della persona per la fatica del mare allora fosse la donna, pur pareano le sue fattezze bellissime a Pericone: per la qual cosa subitamente seco diliberò, se ella marito non avesse, di volerla per moglie, e se per moglie aver non la potesse, di volere avere la sua amistà.

      Era Pericone uomo di fiera vista e robusto molto; e avendo per alcun dì la donna ottimamente fatta servire e per questo essendo ella riconfortata tutta, veggendola esso oltre a ogni estimazione bellissima, dolente senza modo che lei intender non poteva né ella lui e così non poter saper chi si fosse, acceso nondimeno della sua bellezza smisuratamente, con atti piacevoli e amorosi s’ingegnò d’inducerla a fare senza contenzione i suoi piaceri. Ma ciò era niente: ella rifiutava del tutto la sua dimestichezza, e intanto più s’accendeva l’ardore di Pericone. Il che la donna veggendo, e già quivi per alcuni giorni dimorata e per li costumi avvisando che tra cristiani era e in parte dove, se pure avesse saputo, il farsi conoscere le montava poco, avvisandosi che a lungo andare o per forza o per amore le converrebbe venire a dovere i piaceri di Perdicon fare, con altezza d’animo propose di calcare la miseria della sua fortuna. E alle sue femine, che più che tre rimase non le ne erano, comandò che a alcuna persona mai manifestassero chi fossero, salvo se in parte si trovassero dove aiuto manifesto alla lor libertà conoscessero; oltre a questo sommamente confortandole a conservare la loro castità, affermando sé avere seco proposto che mai di lei se non il suo marito goderebbe. Le sue femine di ciò la commendarono e dissero di servare al lor potere il suo comandamento.

      Perdicone, più di giorno in giorno accendendosi e tanto più quanto più vicina si vedeva la disiderata cosa e più negata, e veggendo che le sue lusinghe non gli valevano, dispose lo ’ngegno e l’arti riserbandosi alla fine le forze. E essendosi avveduto alcuna volta che alla donna piaceva il vino, sì come a colei che usata non era di bere per la sua legge che il vietava, con quello, sì come con ministro di Venere, s’avisò di poterla pigliare: e mostrando di non aver cura di ciò che ella si mostrava schifa, fece una sera per modo di solenne festa una bella cena nella quale la donna venne; e in quella, essendo di molte cose la cena lieta, ordinò con colui che a lei servia che di varii vini mescolati le desse bere. Il che colui ottimamente fece; e ella, che di ciò non si guardava, dalla piacevolezza del beveraggio tirata più ne prese che alla sua onestà non si sarebbe richesto: di che ella, ogni avversità trapassata dimenticando, divenne lieta, e veggendo alcune femine alla guisa di Maiolica ballare essa alla maniera allessandrina ballò. Il che veggendo Pericone, esser gli parve vicino a quello che egli disiderava; e continuando in più abbondanza di cibi e di beveraggi la cena, per grande spazio di notte la prolungò.

      Ultimamente, partitisi i convitati, con la donna solo se ne entrò nella camera: la quale, più calda di vino che d’onestà temperata, quasi come se Pericone una delle sue femine fosse, senza alcuno ritegno di vergogna in presenzia di lui spogliatasi, se n’entrò nel letto. Pericone non diede indugio a seguitarla, ma spento ogni lume prestamente dall’altra parte le si coricò allato e, in braccio recatalasi senza alcuna contradizione di lei, con lei incominciò amorosamente a sollazzarsi. Il che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d’essere a così dolci notti invitata, spesse volte se stessa

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